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La sottile linea tra l’essere musa e l’essere artista: una lenta vittoria

Ludovica Ricceri di Ludovica Ricceri
9 Novembre 2021
in Lapis
Tempo di lettura: 5 minuti
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Quella donna dunque, nata nel Cinquecento con il dono della poesia, era una donna infelice, una donna in lotta con se stessa. Tutte le condizioni della sua vita, tutti i suoi istinti, erano ostili a quello stato d’animo che è tuttavia indispensabile, se si vuole esprimere liberamente ciò che si ha nel cervello.

Essere una scrittrice, in passato e in particolare nell’epoca di Virginia Woolf, è stato indubbiamente complesso. La donna, soprattutto se non benestante, non aveva l’opportunità di dedicarsi alle proprie passioni, di esprimersi nel modo che preferiva, di farsi apprezzare da un pubblico. Fu proprio questo il periodo in cui ella, difatti, combatté maggiormente per avere le stesse possibilità di un individuo di sesso maschile.

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Cambiarono i temi, cambiarono i soggetti, cambiarono gli ambienti: nacque, insomma, l’urgenza di raccontare quel mondo che apparteneva a tutti, ma partendo da un punto di vista femminile. Si andava delineando, quindi, ciò che le donne dell’epoca pensavano della propria posizione in rapporto a quella degli uomini, lasciando che sorgessero, in questo modo, delle esigenze più forti.

Se la tematica della donna scrittrice, però, è stato un tema a lungo dibattuto e ancora adesso, in più contesti, affrontato, quella della donna artista è stata decisamente meno analizzata. Al giorno d’oggi, dunque a un secolo di distanza dalle riflessioni della celebre scrittrice britannica, sono in tante a potersi addentrare facilmente nel mondo dell’arte: pittrici, illustratrici, fotografe, performer. Da parecchi anni, ormai, esso ha aperto le  proprie porte per accogliere la fortissima sensibilità femminile, che ha lottato per poter emergere, per potersi affermare, per creare il proprio spazio in un universo dal quale veniva esclusa.

Il periodo vittoriano, che si estende dalla fine degli anni Trenta dell’Ottocento all’inizio del Novecento, vide le donne protagoniste di una vera e propria rivoluzione: se da un lato la società le relegava nello condizione di mogli e madri, dall’altro le spingeva a ribellarsi, a cercare il proprio posto in un mondo che non concedeva loro la possibilità di esprimere la propria soggettività.

Bisogna ricordare che, come è facilmente immaginabile, non si trattò di un cambiamento semplice: le artiste non erano ammesse alle accademie e questo precludeva loro moltissime opportunità. L’esplosione di questo sentimento di rivendicazione nei confronti del proprio ruolo in campo artistico, difatti, divenne facilmente un mezzo per esprimere il proprio malcontento sul piano sociale.

È esistito, quindi, un momento in cui la figura femminile è passata dall’essere una musa all’essere una vera e propria fautrice dell’arte? Quando, dunque, questa è riuscita a prendere in mano gli strumenti del mestiere e a scegliere i propri soggetti?

L’universo femminile è sempre stato, da tempi immemori, l’oggetto preferito da rappresentare in arte. La donna era tra i soggetti privilegiati, il “mezzo” che suggeriva all’artista ciò che egli non sapeva o che, perlomeno, non era ancora in grado di esprimere. Ma c’è stato un momento in cui l’arte ha smesso di avere un genere, in cui la figura femminile è passata quindi dall’essere fonte di ispirazione al servizio dell’uomo all’essere forza creatrice. Forse, inizialmente, questa indole artistica veniva confusa e colei che si immetteva in questo mondo considerava certe attività non come potenziale mestiere, bensì più come un hobby che facesse da sfondo alle mansioni che le erano imposte. Per fortuna, con gli anni, tutto ciò si è radicalmente trasformato.

Un caso particolare di modella che ha afferrato il pennello e ha iniziato a creare le proprie opere è Berthe Morisot. Non sarà semplice trovarla in un libro di storia dell’arte, perché il suo nome è legato maggiormente alla sua attività “passiva” come soggetto dei quadri di Manet, più che alla sua produzione “attiva” come pittrice impressionista.

Frida Kahlo

Quando pensiamo a una donna che dipinge, però, ci sovviene immediato il collegamento con la celebre messicana Frida Kahlo, la quale si dedicò anche a molte altre attività che espressero al meglio il suo talento artistico. Tra queste, la poesia fu un campo in cui spiccò particolarmente.

Ti meriti un amore che ti voglia

spettinata,

con tutto e le ragioni che ti fanno

alzare in fretta,

con tutto e i demoni che non ti

lasciano dormire. 

Ti meriti un amore che ti faccia

sentire sicura,

in grado di mangiarsi il mondo

quando cammina accanto a te,

che senta che i tuoi abbracci sono

perfetti per la sua pelle.

Ti meriti un amore che voglia ballare

con te,

che trovi il paradiso ogni volta che

guarda nei tuoi occhi,

che non si annoi mai di leggere le

tue espressioni.

Ti meriti un amore che ti ascolti

quando canti,

che ti appoggi quando fai la ridicola,

che rispetti il tuo essere libera,

che ti accompagni nel tuo volo,

che non abbia paura di cadere.

Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie

che ti porti il sogno,

il caffè

e la poesia.

La sua vita fu caratterizzata da profondi tormenti interiori che vennero affrontati e sviscerati nel migliore dei modi attraverso il proprio talento artistico e, quindi, attraverso la tela e le parole. Come gran parte degli artisti, ella fu in grado di trarre del “bene” dalla sofferenza, trasformandola in qualcosa di prezioso.

La mia pittura porta dentro il messaggio del dolore. Credo che, quanto meno, a qualcuno interessi […]. La pittura mi riempì la vita. Persi tre figli e un’altra serie di cose che avrebbero dato un senso alla mia vita orribile. Tutto questo fu sostituito dalla pittura. Io credo che il lavoro sia la cosa migliore.

Frida Kahlo, ancora oggi, viene ricordata in particolar modo per i suoi autoritratti, con i quali ha voluto raffigurare ciò che conosceva meglio: se stessa. Un pensiero che sembrerebbe azzardato per qualunque individuo. Eppure, osservando le sue opere, sembra proprio che sia riuscita quasi senza difficoltà nell’intento: mostrare la natura di un essere fragile, in continuo confronto con la propria immagine allo specchio, mentre si ritrae e si esprime in tutta la propria debolezza.

La Kahlo riuscì a sublimare il suo dolore, a esternarlo, a renderlo non soltanto vivido, ma anche incredibilmente bello. Il fascino della sua arte risiede nella sua vita drammatica, difficile, impregnata di quell’angoscia che non l’abbandonò mai, ma che, al contempo, la rese l’artista che oggi è ricordata con immensa ammirazione.

Le donne, come Frida e Berthe, hanno, per le motivazioni più disparate, una sensibilità non sovrapponibile a quella degli uomini che può esser dovuta a un percorso storico differente, a un modo di approcciare alla vita e di sperimentarla dissimile, a delle conquiste che sono state costrette a raggiungere in maniera diversa: ciò permette loro di vivere l’arte da un altro punto di vista, ma con risultati egualmente capaci di affascinare il pubblico e di imprimersi nella memoria.

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