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Dispersione scolastica: il Paese che invecchia

Mariaconsiglia Flavia Fedele di Mariaconsiglia Flavia Fedele
14 Settembre 2018
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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Quando diciamo che il nostro è un Paese solo per vecchi, in fondo, non andiamo poi così lontano dalla verità. Ogni anno, infatti, i dati parlano chiaro, sono sempre più i ragazzi che lasciano l’Italia – il Sud con frequenza maggiore –, alla ricerca, ancor prima che di una stabilità effettiva, di un’opportunità lavorativa e di vita. Le terre d’Oltre Manica restano le mete favorite, con la Germania che segue e spadroneggia in Europa anche grazie alla nostra mano d’opera. Lo Stivale, d’altro canto, non offre alternative sufficienti a restare, né dal punto di vista impiegatizio né dal punto di vista retributivo e, nonostante il governo del cambiamento, il movimento migratorio non sembra arrestarsi. Tantomeno, stando ai numeri, un’inversione di rotta appare vicina, con la disoccupazione giovanile che aumenta e l’età pensionabile che negli anni si è alzata sempre di più.

A rendere un Paese vecchio, tuttavia, non è soltanto l’ingiustamente stigmatizzata fuga, bensì anche l’atrofizzarsi dei cervelli, con la loro conseguente riluttanza alla curiosità, allo studio, all’educazione civica e sociale, alla formazione che porta all’evoluzione della società tutta. Un aspetto, questo, fin troppo spesso sottovalutato e che, invece, condiziona le scelte del singolo, influenzando inevitabilmente anche quelle dell’intera comunità che si ritrova così a stagnarsi o a cercare rifugio nel passato. Ecco che, allora, i patriottismi, le più svariate forme di razzismo e intolleranza, nonché la cieca e infondata messa in discussione della scienza, catapultano l’essere umano in un’epoca oscura che definire Medioevo sarebbe scorretto nei confronti dello spessore culturale che, in ogni ambito, ci ha tramandato il periodo che va dal secolo V al XV. Piuttosto buio, al contrario, è il tempo che stiamo vivendo adesso, nel mondo e in Italia, dove il pensiero si è fatto restio al progresso.

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A tal proposito, è di questi giorni il dossier realizzato dalla rivista specializzata Tuttoscuola che rende noti i più recenti dati sulla dispersione scolastica nel Bel Paese. Numeri enormi che in campagna elettorale – ma, spesso, nemmeno a poltrone affidate – chi di dovere non denuncia e scandaglia al fine di trovare una soluzione concreta. 590mila sono gli alunni che a settembre hanno iniziato le scuole superiori, di questi 1 su 4 non arriverà al diploma. Ogni anno, infatti, più di 150mila studenti ripongono libri e zaini nell’armadio, o nella spazzatura, dimenticando per sempre banchi e professori. Un flusso che dal 1995 a oggi non si è mai concretamente arginato, se non in sporadici casi grazie all’attività di volontari e associazioni. Invero, in questo arco di tempo si stima che circa 3 milioni e mezzo di ragazzi abbiano smesso di formarsi (il 30.6% per cento degli iscritti), di cui poco più della metà – 1.8 milioni – soltanto negli ultimi dieci anni. Nel 2018, tuttavia, il tasso di abbandono scolastico è risultato diminuito, passando da una percentuale del 36.7% del 2000 al 24.7%. Un miglioramento rincuorante, certo, ma tutt’altro che un trionfo. Istituti fatiscenti, proposta scolastica sempre più superficiale – con conseguente calo della qualità dell’insegnamento –, insicurezze adolescenziali e, soprattutto, sfiducia nel futuro spingono i nostri giovani a rinunciare aprioristicamente alla propria crescita culturale e, quindi, con alta probabilità a quella professionale. Da non sottovalutare, inoltre, altri due fattori a nostro dire fondamentali: i costi che implica studiare e il modello di figura di successo proposto dalla società odierna.

Stando ai dati formulati da Federconsumatori e Codacons, gli iscritti alle prime classi delle medie spenderanno, per questo nuovo anno, circa 954.80 euro pro capite, mentre quelli delle superiori circa 1177 euro. Per tutti gli altri, invece, l’aumento della spesa varierà dai 526 ai 1110 euro per alunno. Con l’aumentare della povertà e del numero di famiglie che ne sfiorano la soglia, quindi, è inevitabile che in tanti siano costretti a non rispondere all’appello per cercare un lavoretto che consenta loro di sopravvivere, di aiutare i genitori e permettere il sostentamento del nucleo familiare. Una scelta che, di conseguenza, accresce quell’offerta di impiego doppiamente illegale perché per la maggiore rivolta a minorenni e perché a nero, dunque ufficialmente esentasse. L’inafferrabilità del domani, poi, contribuisce al resto. Depressione, instabilità emotiva, smarrimento: gli adolescenti di oggi, nonché i prossimi giovani adulti, ne soffrono con frequenza insistente sviluppando titubanze e ammirazione in modelli sbagliati propinatici dai media e, soprattutto, dai social network con invadenza ossessiva. Tronisti, fashion blogger, influencer, instagramer: l’immagine è tutto, ed ecco che il liceo diventa una perdita di tempo.

Come ci spiega Tuttoscuola, però, la rinuncia agli studi non è solo un’insufficienza dal punto di vista culturale. Anche l’economia, infatti, ne risente in modo importante con uno spreco annuo di milioni e milioni di euro. Basti pensare che solo nell’ultimo decennio, abbiamo versato nelle casse dell’ignoranza circa 2.7 miliardi l’anno, per un totale di ben 27 miliardi. Dunque, se come si prevede anche questa volta saranno almeno in 100mila a posare penne e quaderni prima del diploma, lo spreco sarà pari a 700 milioni, un’infinità. Il dossier, inoltre, analizza l’importanza della frequenza scolastica anche in termini di salute e criminalità. Tre anni e mezzo in più tra i banchi, ad esempio, abbattono di un terzo il rischio di malattie cardiache, dunque anche i costi della sanità. Il 10% di anni di studi in più, invece, riduce i crimini contro la proprietà di oltre il 2%, implicando anche minori investimenti sulla sicurezza. Meno istruzione, infine, significa più disagio sociale e meno lavoro: la disoccupazione per chi ha la licenza media è doppia rispetto a chi ha il diploma e quadrupla rispetto ai laureati.

La risposta a questo enorme danno per il singolo e per la comunità, sembra ovvio, non può che essere la scuola stessa, lì dove questa deve smettere di diventare un luogo in cui molti, prima di lasciare, si limitano a scaldare la sedia. Dalla politica alla società civile, l’istruzione deve tornare al centro della discussione, ma cancellata dall’elenco dei tagli necessari per gestire le finanze dello Stato. Restituire dignità ai libri e agli insegnanti. Mettere a disposizione strutture degne di ospitare e appassionare i giovani. Permettere a tutti di accedere alla formazione propria e dei propri figli. Svecchiare il Paese ridestando i cervelli, l’obiettivo non può che essere questo. Se vogliamo che restino, se vogliamo che lo Stivale non muoia di ignoranza e solitudine, se davvero esiste un domani, il momento di intervenire è adesso, adesso che streghe e untori stanno tornando a bussare alle nostre porte. Il sonno della ragione genera mostri, non lasciamo che ci mangino.

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