Chissà cosa avrebbe detto e scritto Susan Sontag (1933 – 2004), la filosofa e storica statunitense autrice dei saggi contenuti in Malattia come metafora. Cancro e Aids (Mondadori, 2002), nel tempo odierno dominato dalla pandemia causata dal nuovo coronavirus denominato COVID-19. Proprio lei che aveva così acutamente riflettuto sull’immaginario che la società ha costruito intorno a malattie come la tubercolosi o, in tempi storici più recenti, il cancro e l’Aids.
La saggista e scrittrice americana nacque a New York e poi visse in Arizona, ma fu a Los Angeles, in California, che fece gli studi superiori. Si laureò poi a Berkeley in Filosofia, a Chicago in Storia e, infine, alla Harvard University in Letteratura inglese. A soli diciassette anni sposò Philip Rieff, dal quale divorziò soltanto pochi anni dopo, nel 1958. Il loro figlio David, qualche decennio più tardi, diventò editore della madre, prendendosi cura della sua eredità intellettuale.
L’autrice newyorkese insegnò Letteratura e Filosofia in diverse università statunitensi e, soprattutto, si dedicò alla libera ricerca, diventando una voce importante della cultura americana e internazionale. Quasi alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, ebbe una relazione con la fotografa Annie Leibovitz che durò fino alla morte per leucemia della scrittrice, nel dicembre del 2004.
Lettrice e autrice instancabile, Susan Sontag produsse un’ampia letteratura saggistica e, tra i tanti suoi contributi, ci piace citare Contro l’interpretazione (stampato per la prima volta in Italia da Mondadori nel 1967). In questo testo, la studiosa mostra la varietà dei suoi interessi – dal teatro di Eugène Ionesco al cinema di Robert Bresson e Jean-Luc Godard e alla letteratura europea –, soprattutto con il saggio che dà il titolo al libro, fondamentale per la riflessione contemporanea sull’ermeneutica, e quello intitolato Note su “Camp”.
Nel primo dei due contributi, la Sontag afferma che l’interpretazione dei testi e dell’arte non fa comprendere meglio l’opera su cui si sofferma, ma spesso la oscura perché la nostra è una delle epoche in cui l’idea dell’interpretazione è generalmente reazionaria e soffocante, argomenta l’autrice, finendo per dire che l’interpretazione è la vendetta dell’intelletto sull’arte. Nel secondo, invece, la filosofa americana parla del camp, distinguendolo dal trash, la manifestazione del cattivo gusto, perché il concetto di camp rifiuta la distinzione tra il bello e il brutto del tradizionale giudizio estetico, affidandosi a un’espressione artistica ingenua.
Anche per la narrativa Susan Sontag scrisse molto, tra raccolte di racconti e storie scritte per il cinema, ed ebbe un successo persino popolare quando, nel 1992, uscì L’amante del vulcano, un romanzo storico ambientato nella Napoli di fine Settecento alle prese con il movimento rivoluzionario che porterà alla Repubblica Napoletana e che racconta del triangolo amoroso vissuto da lady Emma Hamilton, suo marito l’ambasciatore sir William Hamilton e l’ammiraglio Horatio Nelson.
Tra le opere di saggistica, come abbiamo già ricordato, Malattia come metafora. Cancro e Aids costituisce un’importante riflessione che prende spunto anche dalla sua esperienza personale perché per anni la saggista americana lottò contro un tumore. Le argomentazioni contenute nel testo allargano il campo all’Aids e risultano illuminanti, dal momento che analizzano le metafore che la collettività umana usa per mistificare la malattia, ribadendo scontati pregiudizi ed evocando fantasmi di paure ataviche che da sempre accompagnano l’immaginario al lato oscuro della vita, al senso di colpa e alle discriminazioni che fanno parte della vita societaria. Bisogna demetaforizzare la malattia, invece, eliminando le interpretazioni che aumentano la distanza tra salute e patologia e descrivono quest’ultima come una colpa o un peccato da punire. Un immaginario negativo che viene messo, infine, al servizio del potere e della repressione degli esseri umani.
In effetti, Susan Sontag riflette sul pensiero e i comportamenti umani quando è in atto una malattia così come analizzò, per l’intera esistenza, la marginalità dei pazzi, degli artisti e di quelle persone che conducono stili di vita contrari a ciò che viene definito socialmente e politicamente corretto. Da qui il risultato anti-intellettualistico e liberatorio della sua opera, che riconsidera criticamente le dicotomie maschio/femmina, giovane/vecchio, eterosessualità/omosessualità e riformula il rapporto tra amore, amicizia e il più ampio discorso intorno all’eros e alla sessualità.
D’altra parte, già nella citazione in esergo al suo Contro l’interpretazione, la Sontag parte dall’aforisma di Oscar Wilde che recita: soltanto i superficiali non giudicano dalle apparenze. Il mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile. E al rapporto fra interpretazione e realtà sensibile del mondo è dedicato il saggio Sulla fotografia. Realtà e immagine della nostra società, (1977), per il quale le fu attribuito il Premio National Book Critics’ Circle per la miglior opera critica dell’anno.
Chissà cosa avrebbe pensato la scrittrice statunitense dell’infodemia al tempo del coronavirus – la circolazione ossessionante e incontrollata di notizie riguardanti la pandemia in atto – scatenata dalla rete massmediatica e digitale. Ogni giorno, siamo informati correttamente da persone qualificate che operano per la salute pubblica e cercano, soprattutto, di informarla in maniera responsabile e trasparente su ciò che accade. Purtroppo, siamo anche bombardati da notizie pseudoscientifiche, chiacchiere da social e scontri verbali tra giornalisti e politici in cerca di audience o futuri successi elettorali.
Chissà quali sarebbero stati i commenti di una coscienza imbrigliata al corpo – come è descritta l’autrice nel titolo del secondo volume dei suoi diari e taccuini pubblicati di recente dalle edizioni Nottetempo – su questo teatro dell’assurdo, dove spesso gli attori sociali dell’epidemia massmediatica che diffondono la paura quotidiana sono gli stessi che ammoniscono i cittadini a non diffondere allarmismi e a evitare comportamenti discriminatori.