L’Italia s’è desta e mai come in questo momento storico le parole presenti nel nostro inno nazionale si stanno concretizzando. L’Italia s’è desta e parlo dell’iniziativa contro l’autonomia differenziata che ha mobilitato cittadine e cittadini a firmare, online e nelle piazze, il quesito per la richiesta referendaria al fine di ridiscutere una delle leggi più divisive degli ultimi anni.
La domanda in questione è: Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”?. Mentre scrivo, le sottoscrizioni online sono 369.137, il 73,83% del totale del quorum per richiedere il referendum abrogativo. Pare che con le altre metodiche di raccolta, la soglia di 500mila firme sia stata già raggiunta e ci si aspetta che il numero di sostenitori possa continuare a crescere.
Questo slancio dimostra che i diritti di cittadine e cittadini possono tornare a essere al centro delle agende politiche. Siamo abituati a vedere uomini e donne ai vertici utilizzare il sostegno della comunità per realizzare le proprie ambizioni, ma è giunto il momento di rivendicare che è chi si mette al servizio dei cittadini che ripone le ambizioni personali per soddisfare quelle di una comunità.
Quella dell’autonomia differenziata è sempre stata “ambizione” di un solo partito. Si tratta della Lega Nord, negli anni ribattezzata Lega per Salvini Premier. Oggi, 500mila persone, destinate a essere ancora di più, stanno dicendo “no” a un’ambizione partitica che andrebbe soltanto ad acuire un divario, già presente, tra le regioni del Paese.
Approvo e condivido l’entusiasmo mostrato dalle forze politiche di opposizione, associazioni e sigle sindacali, ma non aspettiamoci che un referendum possa sanare i numerosi divari sul territorio. Il referendum – qualora raggiungesse il risultato sperato – dovrà essere soltanto un punto di partenza per iniziare ad adottare delle reali politiche di abbattimento di tali disparità. Come? Con amministrazioni competenti che, in primis, riequilibrino le risorse finanziarie.
Pensare a una nazione che corre a più livelli è estremamente controproducente poiché la migrazione interna verso aree geografiche con opportunità migliori porta a sovrappopolazione nelle regioni sviluppate causando aumento del costo della vita, congestione urbana e pressione sui servizi pubblici. Lo spopolamento delle regioni meno sviluppate causa invece declino economico, mancanza di lavoro e ulteriore carenza di servizi pubblici. Le regioni meno sviluppate, dunque, restano intrappolate in un circolo vizioso di povertà e mancanza di investimenti, mentre quelle più avanzate affrontano problemi legati alla sovracrescita.
Le differenze nei livelli di sviluppo tra le regioni sollevano questioni di giustizia sociale ed equità. In una nazione equa, tutti i cittadini dovrebbero avere pari opportunità indipendentemente dalla loro residenza. Affrontare queste disparità attraverso politiche di redistribuzione delle risorse, investimenti infrastrutturali e promozione della solidarietà nazionale è essenziale per costruire una società che possa dirsi più giusta, democratica ed equa, appunto. Un Paese unito.
Adesso che l’Italia s’è desta, speriamo sia la volta buona per fare gli italiani.
Se non hai ancora sostenuto il referendum puoi farlo qui.