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Decreto Carceri: ancora una volta, si decide di non intervenire

Giusy Santella di Giusy Santella
2 Agosto 2024
in Margini
Tempo di lettura: 4 minuti
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Quante volte in questi giorni ci saremo lamentati per il caldo? Quante volte siamo arrivati fradici di sudore a lavoro per aver fatto pochi passi, o lamentandoci se non avevamo a disposizione l’aria condizionata? Ecco, tutto legittimo.

Ora immaginate di sentirvi soffocare perennemente, 24 ore su 24, e di trovarvi in una stanza di pochi metri quadrati, in cui dormite in tre, quattro, forse cinque, chissà. Immaginate di essere in una stanza in cui non vi è possibile sentire neppure un filo di vento, perché il passaggio è ostruito dalle grate, o che non abbiate a disposizione neppure un ventilatore. Immaginate di poter fare solo una doccia al giorno, uscendo dalla vostra stanza. O che magari le vostre “ore d’aria”, in cui poter fare una passeggiata all’aperto, sono previste nei momenti più torridi, quando il sole riscalda l’asfalto e quelle possenti mura difficilmente si libereranno da quel calore.

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Ecco, in questo scenario, pensate che a ritmo continuo vedete arrivare altre persone. Allora addirittura le aule possono diventare celle, si aggiungono brandine, lo spazio diventa sempre meno. Ma non è solo una questione di spazio: il sovraffollamento raggiunto nelle carceri ha oramai eguagliato i livelli del 2013, della famosa sentenza Torreggiani, quando la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sanzionò l’Italia per trattamenti inumani e degradanti. Perché non garantiva alle persone sotto la propria custodia lo spazio calpestabile sufficiente.

Ora provate, usando i vostri piedi, a disegnare lo spazio di tre metri. Uno, due, tre metri quadrati. E poi pensate di doverci passare giorno e notte, in quel minuscolo spazio. A rimuginare sulla vostra vita, fino a quando forse non ne potrete più.

Poche righe per descrivere lo stato attuale delle carceri italiane: al 30 giugno 2024, le presenze delle persone detenute erano pari a 61.480, ben oltre la capienza regolamentare di 51.234 unità. Come abbiamo più volte specificato, la situazione di sovraffollamento è ancora più critica di quello che appare se si considera che una percentuale dei posti “ufficiali” non è utilizzabile per manutenzione o per altre ragioni. Il tasso di sovraffollamento supera il 200% in alcuni istituti, in cui è letteralmente impossibile vivere. E così si muore: dall’inizio dell’anno sono già 60 le persone che si sono tolte la vita tra le mura penitenziarie, probabilmente alla ricerca di un aiuto che non hanno ricevuto. Persone che in molti casi non avrebbero neppure dovuto essere in carcere, che, nella maggior parte, hanno ricevuto la sola risposta della medicalizzazione, che in media avevano la possibilità di parlare con educatori e psicologi per pochi minuti a settimana.

In un simile contesto, il decreto legge licenziato questo mese dal Ministro della Giustizia Nordio, Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia, ha lasciato molti perplessi. Innanzitutto, perché si interviene ancora una volta con misure emergenziali e urgenti in una situazione critica che necessita di interventi strutturali, perché strutturale è oramai il problema del sovraffollamento. Il decreto legge, che inizialmente era stato presentato da molti come “Decreto svuota-carceri”, in realtà non interviene in maniera incisiva sulle presenze negli istituti né sulla vivibilità degli stessi, come sostenuto anche dall’Associazione Antigone.

Tra le misure proposte, una riduzione dei tempi procedimentali per l’ottenimento della liberazione anticipata, in particolare prevedendo che la riduzione di pena sia già prevista nel totale della pena comminata, e che in qualche modo l’onere probatorio sia invertito, deflazionando così gli uffici della magistratura. Tuttavia, non si tratta di una novità che riuscirà realmente a incidere in maniera deflattiva sulle presenze poiché non si aumentano i giorni di liberazione anticipata.

Ancora, si prevedono assunzioni per il corpo della polizia penitenziaria: pur essendo anch’esso in una situazione critica per quanto riguarda la mancanza di personale, non si è deciso di fare lo stesso con educatori, psicologi e figure dell’area trattamentale. Ancora una volta, quindi, si è deciso di non intervenire sulla vivibilità degli istituti e in particolare sulla possibilità che la pena persegua, rendendo effettivi gli interventi previsti dal legislatore, il fine rieducativo e risocializzante a essa attribuito dalla Costituzione.

Proprio da quest’ultimo sarebbe necessario ripartire per incidere in maniera reale su una situazione oramai gravissima, come riconosciuto anche dallo stesso Presidente della Repubblica: se infatti abbandonassimo le pulsioni securitarie tipiche del nostro Paese, si potrebbero ridurre gli ingressi in carcere, soprattutto nei casi in cui si tratti di pene brevi. Per queste sarebbe infatti possibile incentivare l’applicazione di misure alternative alla detenzione (una minima disposizione è contenuta all’interno del decreto legge con la previsione di specifici fondi a supporto di strutture di comunità), ma soprattutto sarebbe necessario riformare il testo unico sugli stupefacenti abbandonando un proibizionismo che non solo non risolve i problemi della tossicodipendenza, ma soprattutto ingolfa le fila di un carcere già stracolmo. E invece i nostri rappresentanti politici continuano a introdurre provvedimenti, come il Decreto Caivano, che rendono molto più facile la carcerazione e sempre più dure le pene, anche per i minori.

Il sovraffollamento porta con sé ripercussioni gravissime sulla salute psicofisica delle persone detenute, sottoposte a una continua mancanza di luce, aria, in condizioni igienico-sanitarie precarie, senza la possibilità di uscire dalla propria agonia quotidiana. Il carcere è chiaramente un ambiente patogeno, ma noi dimostriamo di essere un Paese che non riesce a immaginare alcuna alternativa a esso e di non aver imparato nulla neppure quando il Covid ce ne ha dato la possibilità.

Ancora una volta, a mancare è la volontà politica di intervenire con una risposta diversa da quella repressiva e afflittiva, revisionando il modo di intendere la pena e il carcere. Fino ad allora, tutti questi provvedimenti non resteranno altro che teoremi che non tengono in alcun conto la vita e la dignità delle persone.

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