Che Instagram non sia un luogo in cui è permessa la libera espressione è noto a tutti. Eppure ci ostiniamo a usarlo, a condividere le nostre cose – fotografie, video, articoli, lavori, stralci di vita quotidiana – perché pensiamo: dove altro farlo? Qual è l’alternativa?
Facebook è ormai archeologia, X (ex Twitter) è controllata da quel genio incompreso di Musk, TikTok non consente video di nudo e violenza (famosa la questione della censura della Venere di Botticelli e del David di Michelangelo) ma consente messaggi di odio e bullismo nei confronti di Davide Garufi, ragazzo di 21 anni che stava affrontando una transizione di genere e che si è tolto la vita pochi giorni fa, dimostrando, ancora una volta, che non esiste una vera e propria censura di tipo qualitativo operata in base a criteri che effettivamente potrebbero garantire una tutela, ma solo un’ottusa sanzione che punisce chi “osa” andare contro le regole. Ma le regole di chi? E quali?
Il Messaggero, a febbraio 2025, pubblica un articolo che titola: Instagram: boom di contenuti violenti e disturbanti: da risse a sparatorie senza censura. Se l’algoritmo – quel benedetto algoritmo – per qualche motivo impazzisce e non discrimina più video di questo tipo, mi domando perché mai non accada lo stesso quando si tratta di fotografie di nudo o post sulla situazione in Palestina.
Potremmo dire lo stesso sul controllo di notizie false o violente: dov’è la censura quando ci sono casi di cyberbullismo, offese, minacce, o fake news? L’impressione è che a rimetterci siano solo quelle persone che esulano da questi comportamenti, con sentimenti ovvi di stizza e frustrazione. Mi capita sempre più spesso di leggere post e stories di amici e amiche, stanchi della censura insensata di Instagram, che non solo cancella contenuti rimossi a causa delle “violazioni” degli standard della community, ma oscura quegli stessi profili tacciandoli in qualche modo di scandalizzare e inquietare le genti tutte. Mi domando se mai qualcuno si sia davvero scandalizzato per un capezzolo.
Chiariamo prima di tutto che gli standard non sono della community. Sono di chi li ha creati. Inoltre, spesso ci si sente dire: “la tua storia/post non rispettava le nostre linee guida in materia di nudo o atti sessuali”. Errato anche questo: non esistono linee guida. Esiste un rifiuto totale di tutto ciò che gira intorno ai contenuti erotici, sessuali, divulgativi sul tema, tant’è che alcune persone, per non essere penalizzate, si sono dovute ridurre a parlare come bot senza rotelle, infarcendo la lingua di simboli e numeri.
Proprio qualche giorno fa un’artista che seguo, Rebeca Fleur, illustratrice e disegnatrice di figure femminili nude, ha dichiarato in una storia di essere stanca delle restrizioni e della censura. Ha deciso perciò di oscurare tutte le sue illustrazioni evitando di mostrare agli utenti parti anatomiche “sensibili”, ovvero seni, pube e così via. Ha messo su una pagina personale su Pixieset (per chi fosse interessato a migrare altrove) dove riesce a indirizzare i suoi follower che possono finalmente vedere le sue opere senza pallini, pixel, bande nere e compagnia cantante.
Ora, Rebeca non fa pornografia, Rebeca è un’artista. È lo stesso discorso di quando viene censurata la Venere di Botticelli. Ricordo di aver letto da qualche parte la grande risposta che diede Michelangelo al papa quando completò la Cappella Sistina (e il pontefice gli chiese di coprire le nudità dei personaggi del Giudizio Universale, dimostrando non solo un tempismo terribile ma anche una poca conoscenza delle Sacre Scritture – sfido io a pensare alla gente che aspetta di essere giudicata da Dio abbigliata con abitini a fiori e tacco 12): “Dite al Papa che è un ritocco semplice da fare. Ma che cominci lui a ritoccare il mondo, e i dipinti seguiranno”.
Come sappiamo, dopo la morte di Michelangelo e a causa del Concilio di Trento, al pittore Daniele da Volterra detto Il Braghettone fu commissionata la penosa opera di nascondimento delle nudità. Lungi da me voler sostenere di essere tornati al 1565, ma è ovvio che ci sia dello scontento, per usare un eufemismo.
Su Reddit (e altri siti e forum) esiste un filtro sui contenuti sensibili, una sorta di patina velata sulle foto di violenza o nudità che l’utente può disattivare cliccandoci sopra, un po’ quello che succede anche su Instagram quando, su un contenuto, compare il filtro NSFW (non safe for work) – per intenderci l’occhietto sbarrato con la didascalia “Content warnign: contenuti sensibili”. Sulle foto di nudo questo filtro non compare, lo vediamo su fotografie di guerra, ferite, sangue. Comprensibile, direi, com’è anche comprensibile che questa patina velata non venga utilizzata sul nudo: il nudo non è un contenuto sensibile, a meno che non parliamo di atti sessuali espliciti. In quel caso, allora e forse, il filtro NSFW sarebbe consono perché sta all’utente decidere se vedere o meno.
Cosa vuol dire tacciare una foto di una persona senza veli come contenuto sensibile? Significa applicare a quella persona e al suo lavoro un pericoloso cartellino che suggerisce di diffidare, di evitare, di orientarsi su materiale più neutro, anestetizzante (ad esempio, video idioti di influencer del nulla, tutorial dello spaghetto alla carbonara 7.0, ragazzini che prendono a calci animali per gioco, Trump che dice che farà della Striscia di Gaza un parco giochi per ricchi, ragazze o ragazzi che mostrano il culo, ma ATTENZIONE, coperto da quel leggings di Skims di proprietà di Kim Kardashian, o dalle mutandine e dai choker di latex di Marie Mur).
Intendiamoci: mi piace Skims e mi piace Marie Mur, come mi piacciono i profili delle ragazze ammiccanti che mostrano il corpo, ma dov’è il bigottismo in quel caso? Allora diciamo che la nudità non è contemplata quando non monetizza, non che la nudità viola gli standard della community. La nudità non viola alcuno standard. È una cosa naturale, ovvia, ancestrale, e mi rifiuto di credere che a qualcuno dia realmente fastidio. È un concetto che ci inculcano quando ci viene detto che quel seno è un contenuto sensibile, che quel gesto è pornografia, che un video in cui viene mostrato un bacio con la lingua è ritenuto un atto sessuale illecito.
Forse la preoccupazione di chi controlla i social network è rischiare di diventare delle succursali di YouPorn o PornHub, ma come al solito si tratta di soldi o di fama: se a protestare è Peppino di Cuzzo sul Meno, non se lo fila nessuno; se la protesta è di una modella plus size nera che ha 73k follower e viene bannata per una foto in cui si vede un capezzolo, le cose cambiano. E grazie a Dio, sottolineo, ma questo non aggiunge e toglie nulla alle persone “comuni”.
Simile questione per l’uso delle parole, una questione che mi tocca particolarmente: non si può dire “cazzo”, “tette”, “clitoride” o quel che è, ma si può dire a un ragazzo di 21 anni “fai schifo, ammazzati”. Si può dire P4le§tina” ma non si può scrivere Palestina. Si può dire S€ss0, ma non si può scrivere sesso.
Le poesie di Catullo o gli epigrammi di Marziale vengono oscurati ma, quando nei geotag di Instagram cerco un ristorante, le prime foto (e anche quelle successive) sono di ragazze in abiti succinti. Ovviamente, lo ribadisco, non ho nulla contro le ragazze in abiti succinti, io stessa lo faccio, ma dov’è l’algoritmo in quel momento? Sto cercando un ristorante, non un contenuto “sensibile”, non mi interessa l’outfit dei clienti del locale, non mi interessa che si siano registrati lì. Eppure, andando contro se stesso e le sue regole, Instagram mi mostra il video di una ragazza in piscina quando io volevo solo capire se quel locale di sushi avesse lo chef giapponese o no.
Allo stesso modo mi devo sorbire video e video di persone che, per cucinarmi uno spaghetto al pomodoro, mugugnano succhiando dalla forchetta nemmeno sotto il tavolo ci fosse Rocco Siffredi impegnato in un cunnilingus epico. Ecco, questo contenuto mi dà fastidio, non il capezzolo di una foto artistica. È l’intenzione, non l’atto, è l’ammiccamento anche laddove non ce n’è bisogno, non il sesso o il post utile che ti dice perché la vulva è una cosa e la vagina un’altra.
Leccare un cetriolo spacciandolo per “una ricetta vegana” non è forse un contenuto a sfondo sessuale? Perché quel video non viene penalizzato, ma le illustrazioni di Rebeca Fleur sì? E dico Rebeca per dire qualsiasi artista colpito dalla cecità dell’algoritmo.
Mi dà fastidio la volgarità, la grettezza, la mediocrità. Ovviamente stiamo combattendo contro i mulini a vento perché, come ho detto subito, parliamo di un programma, non di una censura operata dalla valutazione onesta di un essere umano (e anche lì, dipende dalla sensibilità di ciascun essere umano). Quali sono allora le alternative per chi vuole essere libero (anche se, diciamolo, la libertà assoluta non esiste) di postare quello che preferisce, nel vero rispetto della sensibilità altrui?
Ho provato a chiedere, alcuni mi hanno risposto citandomi il cosiddetto Fediverso, una sorta di ecosistema digitale autofinanziato e gratuito, che raccoglie diversi social network in teoria liberi da censure. Mastodon, in particolare, pare il social del Fediverso più frequentato, con 6 milioni di iscritti. C’è Threads, che carica foto in una qualità migliore, ma non mi pare accolga nudo. C’è Telegram, app di messagistica parecchio superiore al più famoso WhatsApp, su cui molti fotografi/e e artisti/e hanno scelto di creare canali per divulgare le foto senza censura che vengono bannate da Instagram.
Qualcosa c’è, ma la verità è che niente è frequentato come Instagram. E quindi sottostiamo alle sue rigide regole perché non ne possiamo fare a meno. C’è anche da fare i conti con questo quando proviamo a cambiare il sistema, quando lo critichiamo. Instagram ci censura perché sa che può permetterselo: è lo stesso discorso quando urliamo di smettere di seguire Chiara Ferragni per la bufera che l’ha coinvolta. Chiara Ferragni continuerà a fare quello che fa perché ha ancora 29 milioni di follower.
Quello che ci possiamo augurare, allora, fin tanto che continuiamo a usare Instagram, è che qualcuno inventi un luogo migliore dove spostarsi, un altro modo di fare social, o un altro modo di condividere senza usare i social, per assurdo. Nel frattempo, combattiamo l’algoritmo con le ciliegine sui capezzoli e le serie di Fibonacci per nascondere il vero e nobile significato delle parole.