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Gianni Lamagna, l’Arte colta e popolare di Napoli

Antonio Salzano di Antonio Salzano
21 Gennaio 2024
in AZETA di Antonio Salzano, Interviste
Tempo di lettura: 5 minuti
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Cantante e attore, punta di diamante della Compagnia del Maestro Roberto De Simone, interprete di musica sacra e di tradizione, di arie antiche e musica contemporanea. La Gatta Cenerentola, L’opera Buffa del Giovedì Santo, Il Canto de li Cunti, Il Drago, Dedicato a Maria, Le 99 disgrazie di Pulcinella, L’Opera dei Centosedici, Piedigrotta, Crispino e la Comare, Requiem per Pasolini, Stabat Mater, Carmina Vivianea, Cantata per Masaniello, Le Cantatrici Villane sono soltanto alcune delle sue prime partecipazioni con la sua voce di raffinato interprete. Un curriculum di tutto rispetto costituito oltre che da importanti collaborazioni e spettacoli in Italia e all’estero (Germania, Francia, Spagna, Israele, Russia, Iraq, USA, Brasile, Algeria, Messico, Argentina), anche dalla partecipazione alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, che arriva fino al Festival di Sanremo e a concerti in tutto il mondo.

Tre anni fa, dopo un lungo periodo di approfondite ricerche, decide di pubblicare Neapolitan Shakespeare, 17 sonetti tradotti, musicati e cantati in napoletano, un’opera che corona i suoi quasi cinquant’anni di carriera, un lavoro che lo colloca non solo tra i grandi interpreti di maggior prestigio ma soprattutto tra quegli autori che hanno fatto sempre della  ricerca e dello studio dei testi la centralità del loro impegno artistico, fino ad arrivare anche al più grande poeta e drammaturgo di tutti i tempi. Ma è preferibile entrare nel merito leggendo quanto il Maestro Gianni Lamagna ci ha detto nel corso della nostra intervista.

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Maestro Lamagna, alla soglia di quasi mezzo secolo di carriera percorso tra continua ricerca, canto, recitazione, composizione, grandi collaborazioni, è possibile tracciare un primo bilancio e, magari, indicare cosa non rifaresti tornando indietro?

«Un bilancio sicuramente positivo circa la crescita personale e relazionale con colleghi, musicisti, attori, cantanti e altri rappresentanti delle diverse categorie che compongono il mondo dello spettacolo, ma conflittuale con le scelte, cosiddette artistiche, che per me sono state sempre fondamentali, mentre altri, spesso, fanno questo lavoro in maniera quasi meccanica, basta che ci sia una retribuzione, anche miserevole, e senza badare dove e per chi si va a esibirsi. Ragion per cui, ho poche cose da rimproverarmi, ma ce l’ho. A tal proposito, proprio in virtù delle mie consapevoli azioni, mi ritrovo da sempre a fare i conti con la benedetta fine del mese. E dopo quasi cinquant’anni di “mestiere” la cosa ha alcuni aspetti poco gratificanti. Due o tre sono le scelte che non rifarei, ma sono state fatte, è inutile parlarne, tanto non le rifarò.»

La musica e la recitazione colta sono state sempre una costante che ha accompagnato la tua carriera collocandoti tra i più raffinati interpreti dell’anima napoletana. Si tratta di una tua scelta sin dall’inizio o è frutto di una scuola e di maestri che hai avuto la fortuna di incontrare in particolare agli inizi del tuo percorso artistico?

«Tutte e due. Motivazioni personali – ho sempre dovuto fare i conti con un gusto principalmente rivolto al bello, e ciò lo si può trovare sia nelle scelte “colte” che in quelle “popolari” – e, insieme, la fortuna di aver avuto un grande maestro come Roberto De Simone, presso la cui scuola ho praticato un’intensa attività per diciassette anni (anche in questo caso si ripresenta il mio numero caratterizzante, il 17). Inoltre, a parte tutte le frequentazioni con gli amici con cui ho condiviso e condivido il palcoscenico tra concerti e spettacoli teatrali, mettiamoci tre incontri molto ravvicinati con il mitico Leonard Bernstein, circa tre mesi di lavoro per prove e spettacoli con una delle più grandi attrici del mondo, Irene Papas, collaborazioni con famose personalità, concerti e spettacoli nei teatri e nelle piazze più belle del globo, la realizzazione di sedici album – nove da solista e altri in varie produzioni –, da vent’anni voce della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ed ecco che posso ritenermi soddisfatto e fortunato. Ringrazio per avermi collocato tra le anime “raffinate”, ma oltre al merito personale devo confessare di aver avuto fortuna, e scelto progetti ambiziosi. Nel lavoro non mi è mancata ‘a bbona ciorta. Certo, ho sudato, ma per tenere dritto sulle idee ed essere coerente con quello che ti piace e che, forse, sai fare meglio, devi lottare e resistere.»

Che posto occupa nella tua carriera la Nuova Compagnia di Canto Popolare?

«Un posto di assoluto prestigio. La Nuova Compagnia di Canto Popolare ha rappresentato e rappresenta un “miraggio” per tutti i musicisti e i cantanti appassionati del genere popolare. Ho militato solo in due gruppi, e tutti e due molto importanti: Media Aetas, di cui sono stato anche fondatore dal 1980 al 1996, e, dal 1997 a oggi, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, in qualità di voce maschile.»

Neapolitan Shakespeare, 17 sonetti tradotti, musicati e cantati in napoletano, è un recente capolavoro che ritengo abbia richiesto una lunga e difficile ricerca. Ma come può venire in mente un approccio musicale con il più grande poeta e drammaturgo di tutti i tempi? Quale filo hai individuato che collega l’anima partenopea a  Shakespeare?

«Mi ha suggerito l’idea un amico attore e drammaturgo, Tonio Logoluso, ma la follia è tutta mia. Il difficile è stato l’inizio, poi vieni rapito completamente, le parole, le tematiche, i sentimenti diventano un vortice dal quale non puoi più uscire. Dopo i primi sonetti tradotti sembrava naturale che Shakespeare parlasse il napoletano. La sua poetica, il teatro, la letteratura sono collegate con l’anima di tutto il mondo e di tutti i popoli, parliamo dell’autore universale per eccellenza. Il più letto, il più amato, il più rappresentato. Avevo preso gusto e, se il lavoro non avesse dovuto diventare un disco, ne avrei tradotti anche di più, ma il fine era quello di una produzione discografica, allora mi sono “limitato” costringendomi al mio caro 17. Magari da vecchio, e con più tempo, proverò a tradurli tutti. Mi ci vorranno tantissimi giorni, sono in tutto centocinquantaquattro. Ringrazio ancora di tutto cuore chi mi è stato accanto nei tre anni di lavorazione: i musicisti tutti, gli ospiti, e specialmente il Maestro arrangiatore e concertatore Paolo Raffone.»

Quale altro grande della letteratura mondiale o italiana ti piacerebbe mettere in cantiere – o, magari, è già in lavorazione – per una tua prossima realizzazione ?

«Non mi piace ripetere certe operazioni, ma se proprio dovessi trovare un altro amico a spingermi a una cosa del genere, potrei fare un pensiero sulla poesia di Quasimodo. Sarebbe interessante mettere in napoletano la sua poetica essenziale e musicarla, in piena e totale libertà, con lo stesso “minimalismo” armonico e sonoro.» 

Mi piacerebbe conoscere una tua valutazione sullo stato di salute della canzone napoletana, magari dando anche soltanto un’indicazione numerica da uno a dieci.

«Non è proprio tragica, qualcosa cambia e alcuni giovani si appassionano seriamente, si informano, studiano, ricercano, chiedono consigli, scrivono i testi in napoletano, e scrivono anche un napoletano accettabile. Direi proprio che siamo a una sufficienza piena.»

*Foto di Ferdinando Kaiser©

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