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Vesuvio in fiamme: tre anni di silenzi

Mariaconsiglia Flavia Fedele di Mariaconsiglia Flavia Fedele
23 Luglio 2020
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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Sono trascorsi tre anni da quell’estate che ha visto il Vesuvio in fiamme. Tre anni in cui di giorni, anche più caldi, se ne sono susseguiti tanti, troppi per non farsi qualche domanda, per non sospettare, per avere il dubbio che no, non sono state le temperature a dare fuoco agli arbusti. Chi vive queste terre sa bene che non è così, lo sapeva anche allora e non ha dimenticato. Non ha dimenticato quelle immagini, proprio non ci riesce. Ancora gli bruciano negli occhi e nella gola. Non ha dimenticato nemmeno le bugie, i canadair, le storie raccontate per farlo tacere, un’altra volta. Prima il caldo, poi il 24enne con l’accendino, infine il silenzio. Un silenzio che fa comodo a tutti: alla politica, alla giustizia, ai giornali e pure a noi che ci siamo abituati a non cercare e a non ricevere risposte, spesso persino a non domandare.

Che cosa è successo in quelle settimane? Perché, ancora una volta, siamo rimasti senza un perché? Che cosa ne è stato dei fondi erogati (?) per la bonifica e la messa in sicurezza dell’area? Quando il gigante alle porte di Napoli bruciava come in preda a un’eruzione, non erano molto diversi gli attori che popolavano la scena, non a livello locale almeno. Il Presidente di Regione era lo stesso di adesso, probabilmente lo stesso del dopo elezioni. Quello che è oggi il Ministro dell’Ambiente e che, per un lungo periodo, si è pensato potesse sostituire o sfidare lo sceriffo alle urne, era quel tale Sergio Costa generale regionale dei carabinieri forestali che si disse preoccupato per ciò che potrebbe accadere, uno che queste terre le conosce bene. Uno che a pochi mesi dal suo insediamento non negò una visita a Ottaviano, tra i centri più colpiti da roghi e soprusi ai piedi del vulcano che ci sorveglia e minaccia al contempo.

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In quell’occasione, furono annunciate ben trentacinque telecamere di sorveglianza, di cui dieci fisse sulle strade di accesso e sui siti considerati a rischio, quindici dome, vale a dire capaci di ruotare e registrare alcuni secondi per ogni visuale, dieci in grado di leggere le targhe e di segnalare quelle inserite in una lista nera già utilizzata per sversamenti e altri reati. Un sistema capace, inoltre, di interagire con tecnologie diverse come i droni, i grandi protagonisti del lockdown repentinamente scomparsi. Ma da allora, da quel luglio del 2017, del Vesuvio, e di quei giorni in fiamme, non parla più nessuno. Non ne parla la politica – appunto – e non ne parla la stampa, soddisfatta, forse, della versione ufficiale, di un giovane piromane che si diverte a dare fuoco a un patrimonio naturale di inestimabile valore.

Ma a non parlarne – e  qui lo sconforto suona come inevitabile – è anche la cittadinanza, le vittime dirette di un attentato alla nostra terra, così come scrisse all’epoca il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris: Chi commette un omicidio in un attimo distrugge la vita di un persona. La cancella, in un momento. Chi incendia un bosco, una foresta, una montagna distrugge in pochi giorni quello che uomo e natura hanno realizzato per decenni, per secoli in alcuni casi. Esseri umani portatori di morte. […] Gli incendi di queste ore, di questi anni stanno distruggendo i nostri paesaggi, la nostra bellezza, la nostra vita. L’incendio sul Vesuvio è un attentato alla nostra terra. Non può rimanere senza colpevoli. I responsabili devono avere pena esemplare. Manca profondamente il senso della vita. Solo l’amore e la difesa della natura, l’amore e la difesa dei beni comuni, l’amore della vita e per le persone, danno un senso alla nostra esistenza. Altrimenti non ci possono essere gioia e felicità.

Nessuna pena esemplare, però, è mai arrivata. Da tre anni, come ha dichiarato Agostino Casillo, Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, i Vigili del Fuoco presidiano l’area nel tentativo di impedire il ripetersi di quelle ore terribili. Ma nessun nome, nessun volto, nessun colpevole pare veramente essere stato affidato alla giustizia. Migliaia di ettari di terra in fumo e un solo apparente responsabile. Soltanto pochi mesi prima, invece, i piromani erano stati cinque o sei, non di più. E perché? Tutti eredi di quel Nerone che suonava la lira? Sembra strano da credere e sembra strano credere che, in fondo, non lo sappia chiunque vive all’ombra del Vesuvio, chiunque sappia che quell’area è già stracolma di rifiuti e illecito. E allora perché lo accettiamo? Perché alle istituzioni, alla stampa, alla cittadinanza va sempre tutto bene? Sono domande che quaggiù – ma non solo – ci siamo posti spesso, il più delle volte spaventati dalla risposta, inorriditi dal pensiero che profitto e rassegnazione muovano ormai ogni pedina sullo scacchiere delle nostre vite, dei nostri territori, delle inefficienze di uno Stato che, quando non fa, delega la malavita e viceversa. Eppure, chiunque non voglia negare la realtà sa bene essere così.

Quando un popolo si rassegna a respirare cenere, le speranze di un domani bruciano assieme alle piante e alle terre, scriveva su queste pagine il nostro direttore Alessandro Campaiola e, forse, non avrebbe potuto dirlo meglio. Perché noi ce li ricordiamo quei giorni lì, ne abbiamo ancora i polmoni pieni e il cuore in polvere. Ma cosa importa, in fondo… Oggi il nemico si cerca tra le acque o in un mercato a molti chilometri da qui. Di certo, non tra le fiamme.

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