Lo scorso 21 febbraio è andato in scena lo spettacolo Napoli Petrolio all’Hubside di Somma Vesuviana (NA), scritto e diretto da Gaetano Iervolino, in arte Tanuzzo, con “aneddoti” di Raimondo Castaldo, interpretato da Raimondo Castaldo, Chiara Cianciola, Michele D’Avino, Sabino Maiello, Michele Maione e Francesca Liguori, con musiche e voci di Marini.
Lo spettacolo ha lo scopo di indagare le contraddizioni e i contrasti della città di Napoli, fra poesia e prosa, musiche e monologhi. Al centro c’è il folclore, che si rivela non solo in quanto espressione immediata ma anche e soprattutto come ricerca di profondità.
Abbiamo intervistato l’autore e direttore artistico di Napoli Petrolio, Tanuzzo, per confrontarci sulle origini di questo spettacolo.
Napoli, per la ricchezza della delle sue sfumature e contrasti, sembra essere un campo ostico per chi narra, quale percorso ti ha spinto a definirla duale?
«La definizione di Napoli duale è venuta ancor prima della stesura della canzone omonima e poi dello spettacolo Napoli Petrolio. È nata da un’illustrazione, realizzata per il progetto The Napolitaner. È nata perché è così che vedo Napoli, un volto in cui ci sono sempre due lati della medaglia, impossibili da ridurre a uno. Il mio non è solo un legame con la città, è soprattutto un legame con la terra e le radici. So che narrare Napoli è un campo ostico, che cadere nella banalità è molto semplice, ma nel mio caso è stato estremamente naturale, sarebbe stato innaturale non provare a narrarla».
Qual è per te la dualità più fortemente pregna di Napoli e per Napoli?
«Non c’è una sola dualità in Napoli e per Napoli e allo stesso tempo è impossibile identificarne una sola. Se penso a Napoli mi viene in mente una città madre e al contempo una città figlia. Penso spesso a quanto dovremmo impegnarci per Napoli, perché se lei è nostra madre è vero anche che spesso chiama a invertire i ruoli. E da figli dovremmo diventare genitori di questa città, e proteggerla, come lei a suo modo protegge noi ogni giorno. A tal proposito mi viene in mente la mia forte e intima difficoltà nel lasciare Napoli. Sarebbe un’opportunità valida per me sul piano professionale ma visceralmente c’è qualcosa che mi trattiene. Non mi sento un eroe a restare, ma mi sentirei male a lasciarla».
Spicca in Napoli Petrolio un richiamo al folclore. Cos’è folclore per te?
«Il folclore nasce dal popolo e arriva al popolo. È qualcosa di popolare, ma soprattutto di popolano. Se dovessi associare delle immagini al folclore, mi vengono in mente i miei nonni, o i vecchietti che incontro quando vado a pescare, la pesca è una mia grande passione. C’è un detto che mi fa molto ridere, che dice “è peccato chella ’ca trase, ma no chella ’cà esce. È importante dare al folclore la dignità e il valore che merita. C’è immediatezza ma anche profondità nelle radici dei vecchietti che, in assenza di cultura per come la intendiamo noi oggi, fanno dono della loro saggia esperienza».
La canzone Napoli duale, uscita da pochissimo su tutte le piattaforme, cosa ti ha raccontato di Napoli che pensavi di non sapere?
«Scrivere Napoli duale mi ha fatto riflettere, tanto. Soprattutto sul mio rapporto con questa città. Napoli racconta sé stessa quando meno ce lo si aspetta. La battuta pronta, la risposta immediata dei napoletani a volte è data per scontata e non le si presta attenzione, ma è anch’essa una grande capacità e mi stupisce, ogni volta che cammino per le sue strade. È un racconto continuo, che sembra non esaurirsi mai, si impara sempre. Questo aspetto qui ho provato a metterlo in Napoli Petrolio dando ad esempio un volto a Pulcinella insolito, smanioso e fuori dagli schemi senza crearmi problemi, perché la dualità che rappresenta Napoli, ma anche un po’ me, spinge a inoltrarsi fra le contraddizioni, a non temerle».
In quando ridi, altra canzone dello spettacolo, ricordi e mani si intrecciano, soccorrendosi. Come spiegheresti questo legame?
«Quella canzone è nata dopo una storia d’amore finita. Elaborata la fine, mi è rimasto il ricordo dolce di mani che accarezzano le paure. A pensarci bene, anche questo è un ricordo “duale”. Il legame fra mani e ricordi è nelle mie radici. Mi fa pensare alla nonna che me le stringeva da bambino, o quando ho stretto le sue in vecchiaia. Forse il ricordo è anche una mano che accarezza».