Gaspard-Félix Turnachon, in arte Nadar, dal 1860 al 1871, si trasferisce a Rue Saint-Lazare, in Boulevard des Capucines 35. Il suo nuovissimo studio è dipinto di rosso sia all’interno che all’esterno: sulla facciata si vede in bella mostra il nome Nadar che, per diverso tempo, sarà un vero e proprio marchio noto e rispettato da tutti.
Come racconta Zannier nel suo Occhio della fotografia, l’atelier, che diviene uno dei più frequentati “salotti” intellettuali parigini, è florido e ben avviato; un ritratto di Nadar, “il grande”, come verrà chiamato per non confonderlo con il figlio Paul (1856-1939) che sarà a sua volta fotografo ed erediterà la ditta, costava circa 150 franchi, una cifra notevole per quegli anni, quando Disderi, il concorrente principale di Nadar a causa dell’invenzione della “carte de visite”, ne chiedeva soltanto 20, addirittura per una dozzina di immagini, sua pure nel piccolo formato 6×9 delle sue “carte” stereotipate.
Nel 1861, Nadar si sposta dal cielo al sottosuolo, compiendo un’esplorazione fotografica nelle catacombe e nelle fogne di Parigi. È la prima volta che questi luoghi vengono ripresi in immagine e la cosa più interessante è che questo lavoro di documentazione fotografica è stato richiesto dal Comune della città. Per l’illuminazione utilizza alcune pile Bunsen, per cui fu costretto a trascinare con sé i lunghi fili conduttori, servendosi anche di un ingegnoso battellino, simile a un moderno canotto, scrive ancora Zannier. Il lavoro dura circa tre mesi.
Eseguito a più riprese, viene anche descritto, in maniera assolutamente suggestiva, in un racconto dello stesso Nadar. I suoi assistenti, infatti, collocano un manichino nel quadro da riprendere – in questo modo possono avere un migliore rapporto dimensionale con l’ambiente molto ristretto –, del resto un uomo “reale” non potrebbe mai restare in posta per circa diciotto minuti, tempo purtroppo necessario nonostante l’utilizzo delle pile. In questi tre mesi vengono realizzate cento fotografie, le prime in assoluto a essere eseguite con luce artificiale – escludendo altre rare e sporadiche prove pioneristiche – ma la passione di Nadar per la sua mongolfiera è tale che torna presto a volare.
Durante l’assedio delle truppe prussiane, nel 1870, l’inventiva di Nadar sarà importantissima per Parigi: la prima occasione è il 18 settembre, quando il fotografo-inventore organizza un “ponte aereo” composto da centocinquanta palloni aerostatici che per più di cento giorni trasportano merci e persone; nella seconda occasione invece Nadar sollecita il fotografo Prudent René Dagron a usare i suoi “microfilm” di collodio – grandi 3×5 cm – che possono contenere sedici pagine di un libro in folio, per “far uscire” dalla città documenti e messaggi militari che è possibile leggere ingrandendo il tutto con una lanterna magica.
Con il governo di Thiers, per Nadar inizia una crisi economica importante, dovuta soprattutto alle spese di costruzione dei palloni; tuttavia, il lavoro dell’atelier riprende con successo.
Nel 1874, anno in cui i pittori impressionisti vengono rifiutati dal Salon, Nadar decide di ospitarli presso il suo vecchio studio in Boulevard des Capucines – trasferitosi ormai in Rue d’Anjou 51. Un gesto sicuramente generoso, ma anche coraggioso perché va contro l’Accademia e, anche, la cultura cittadina. Negli anni, l’artista continua a interessarsi a nuove tecniche fotografiche: nel 1858 inizia con il brevetto della photochromie, poi con l’applicazione alla fotografia delle pile Bunsen per illuminare artificialmente il suo atelier nel 1861. In generale Nadar usa la tecnica del collodio umido, quello secco e, dopo 1880, anche la gelatina-bromuro d’argento. Partecipa alle più importanti esposizioni mondiali di fotografia e, a partire dal 1857, apre una sede a Marsiglia, con l’aiuto del figlio Paul, e dal 1890 assume la rappresentanza esclusiva per la Francia della Kodak, distribuendo in altri paesi d’Europa macchine e pellicole Eastman nel momento in cui inizia la massificazione della fotografia.
La massificazione di questa arte porta al lento declino di atelier come quello di Nadar, tuttavia il fotografo francese mantiene a lungo il suo prestigio, soprattutto perché, come scrive Michel Braive: al gusto teatrale di Disderi, egli oppose un ritratto di carattere […]; continua poi Zannier: rifiutando l’incipiente massificazione, in favore di una adesione più intima e meditata al soggetto, che egli tenta, nel ritratto, di presentare in termini psicologici (e anche “artistici”, quando raramente accenna a imitazioni di schemi pittorici nell’atteggiamento dei personaggi) piuttosto che soltanto fisionomici e lusinghieri, escludendo per quanto possibile anche l’invadente ritocco.
Nadar si spegne all’età di 90 anni, a Parigi, nel 1910, lasciando ai posteri soprattutto il suo Panthéon fotografico dei grandi del suo tempo. Come scrive Benjamin nel suo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica quella di Nadar è stata una generazione di trapasso che scomparve molto lentamente; sembrerebbe addirittura che una sorta di biblica benedizione si fosse posata su quei primi fotografi: quasi tutti […] raggiunsero i novant’anni, talora i cento.