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Le carte alla gelatina bromuro d’argento: a sviluppo e politenata

Francesca Testa di Francesca Testa
21 Febbraio 2024
in Camera Chiara
Tempo di lettura: 2 minuti
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Grazie agli importanti esperimenti di R. L. Maddox, Peter Mawdsley, fondatore della Liverpool Dry Plate Company, mise in commercio carte da stampa alla gelatina bromuro d’argento che necessitavano di uno sviluppo chimico per rivelare l’immagine latente. La differenza, tra queste carte e quelle all’albumina, era la struttura molecolare dell’argento. A differenza degli aristotipi e delle celloidine, la struttura della carta rimaneva invariata. Quest’ultima, anche se aveva una veloce esposizione, facilità del trattamento e una buona stabilità dell’immagine, si affermò soltanto verso il 1886, anno in cui fu brevettata una macchina capace di produrre industrialmente grandi quantità di carta.

È possibile distinguere le carte alla gelatina a sviluppo dalle gelatine ad annerimento diretto per lo strato di barite più sottile e per alcuni segni di deterioramento tipici di questo procedimento, oltre al dato che l’immagine appare più nitida e i suoi toni sono più decisi rispetto alle precedenti. Inizialmente, per ovviare ai toni neutri che non avevano incontrato il favore del pubblico, venivano virate con un bagno allo zolfo che conferiva un tono marrone-seppia, avvicinando così l’immagine alle tonalità calde delle carte ad annerimento diretto.

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Nel tentativo di incentivare il mercato della fotografia, vennero messe in commercio delle carte con emulsioni più facili da trattare, ad esempio quelle al cloruro o quelle al cloro-bromuro d’argento che, essendo meno sensibili alla luce, permettevano di operare in condizioni di semioscurità, facilitando il lavoro degli amatori. Queste carte erano chiamate gas light, proprio per la peculiarità di poter essere trattate alla debole luce del gas.

L’emulsione alla gelatina bromuro d’argento a sviluppo fu usata anche per fabbricare carte plastificate con una resina al polietilene che veniva stesa, in un primo momento, sul lato emulsionato, poi successivamente su entrambi i lati del foglio così da impedire alla carta di imbibirsi di prodotti chimici e dell’acqua durante le varie fasi. In questo modo, fu possibile abbreviare i tempi di trattamento e asciugatura, eliminando inconvenienti tipici delle carte baritate come l’arricciamento del supporto dovuto agli sbalzi di umidità. Inizialmente, queste vennero plastificate, successivamente lo strato di solfato di bario fu sostituito con altri pigmenti politenati più efficaci. Tali carte furono messe in commercio dalla Kodak a partire dal 1970, molto apprezzate dagli amatori in ambito commerciale per la facilità e la rapidità nell’utilizzo.

La sensibilità dei procedimenti fotografici, dunque, compì grandi passi in tempi abbastanza ristretti:

•1827 – incisione con bitume di Giudea, tempo di esposizione 6 ore;

•1839 – dagherrotipo, tempo di esposizione 30 minuti;

•1841 – talbotipo e carta salata, tempo di esposizione 3 minuti;

•1851 – collodio umido, tempo di esposizione 10 secondi;

•1864 – collodio bromuro d’argento (P.O.P.), tempo di esposizione 15 secondi;

•1878 – gelatina bromuro d’argento (P.O.P.), tempo di esposizione 1-1/200 secondo;

•1900 – gelatina bromuro d’argento (D.O.P.), tempo di esposizione 1/1000 secondo.

Prec.

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