I dati pubblicati in questi giorni nel rapporto ISTAT sulla povertà assoluta del nostro Paese sono tragicamente chiari e confermano quanto constatano quotidianamente le famiglie, in particolare negli ultimi due anni, a seguito della pandemia sanitaria e della guerra che – è inutile negarlo – ha coinvolto non solo le parti direttamente interessate dal conflitto, ma tutta la comunità internazionale.
Come ancora una volta opportunamente osservato da Papa Bergoglio, infatti, stiamo vivendo la terza guerra mondiale, rischiando una catastrofe alimentare che ovviamente penalizzerà maggiormente i Paesi più poveri. Le parti direttamente in conflitto producono grano, orzo e mais e la sola Ucraina esporta cibo per sfamare oltre 400 milioni di persone, una guerra fatta con le armi e giocata sulla fame di buona parte del mondo.
In Italia, 5.6 milioni di persone sono in povertà assoluta, persone che non possono permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile; coinvolti 1.9 milioni di famiglie e 1.4 milioni di minori, con il Sud che – neanche a dirlo – paga il prezzo maggiore mentre si registra un calo al Nord.
L’aumento dei beni di prima necessità, i costi del grano e del mais tra i più alti degli ultimi decenni, quelli energetici ormai insostenibili per le aziende e le famiglie: si calcola che per queste ultime, per l’anno in corso, ci sarà un incremento medio della spesa di poco meno di 1000 euro e le previsioni per l’anno prossimo non possono che essere pessime dato il perdurare del conflitto e l’assenza assoluta di una volontà di pace.
La Coldiretti ha stilato una classifica dei prodotti che hanno subito maggiormente i rincari, ovviamente i beni di prima necessità: pane, pasta, riso, carne, salumi, frutta, latte e formaggi, un problema per chi si vede costretto a ridurre il carrello, se non a eliminarlo del tutto, ricorrendo alla spesa quotidiana per un acquisto più attento e controllato.
Il pensiero va subito alla genialità del solito personaggio della politica piccola e mediocre che vorrebbe ancora una volta giocare al referendum, quello sull’abolizione del Reddito di Cittadinanza e non su un’attenta rimodulazione delle parti del provvedimento eventualmente da rivedere. Meglio rincorrere quelle categorie che invece andrebbero maggiormente attenzionate per l’applicazione rigorosa delle leggi esistenti in materia di lavoro. Secondo il rapporto 2021 della Caritas, il futuro delle politiche contro la povertà nel nostro paese è, oggi più che mai, legato al buon funzionamento del Reddito di Cittadinanza. È, quindi, da qui che occorre partire per disegnare interventi sempre più adeguati a una povertà in evoluzione.
Una povertà in evoluzione di cui la politica sembra non accorgersi, poco interessata a quanto pubblicato nei rapporti ISTAT e Caritas su un tema tanto difficile da comprendere quanto da fare proprio, da rendere argomento centrale di un governo che ci assicurano dei migliori ma che di prioritario pare abbia soprattutto l’adesione al conflitto ucraino – partecipando alla fornitura di armi, equipaggiamenti, uomini e risorse ingenti – mentre la famiglie arrancano sempre di più non arrivando, altro che a fine mese, neanche ai primi giorni del mese. Si finisce così con l’indebitarsi tramite i canali ordinari e, purtroppo, anche quelli illegali, aumentando di circa 21.9 miliardi il debito da 574.8 miliardi di fine anno scorso, non considerando l’usura, problema da sempre preoccupante e difficilmente quantificabile, ma con cifre da capogiro e conseguenze catastrofiche sul piano della sicurezza personale e sociale.
Il passaggio alla povertà assoluta di quanti precari o disoccupati. da prima della pandemia ai giorni nostri, è stato un fenomeno ampiamente prevedibile causato dalle insensate e scellerate politiche del lavoro, dall’abolizione delle tutele essenziali, dalle retribuzioni più basse d’Europa, che riguardano tutte le categorie di lavoratori. Un’evoluzione della povertà non casuale le cui responsabilità vanno ricercate nei luoghi preposti, nelle istituzioni e nei rappresentanti di quegli esecutivi che hanno fatto finta di nulla, riempendosi la bocca di buoni propositi a favore delle fasce più bisognose, con qualche forza politica che, presa dall’eccessivo entusiasmo, aveva persino proclamato di averla sconfitta, la povertà.
Il rapporto Oxfam relativo al nostro Paese ha chiaramente evidenziato che la pandemia ha aggravato le condizioni economiche delle famiglie e nel contempo ha accresciuto la concentrazione della ricchezza dei pochi. Nel periodo che va da marzo 2020 a novembre 2021 la lista Forbes dei più facoltosi si è arricchita di almeno tredici unità e il patrimonio dei supermiliardari è aumentato di almeno il 56%. Altro dato, i 40 supermiliardari italiani possiedono l’equivalente della ricchezza del 30% dei loro connazionali più poveri: diciotto milioni di persone, come del resto avviene anche in altre parti del mondo.
Cifre che dovrebbero far riflettere sui modelli di società in cui la forbice tra ricchezza e povertà diventa sempre più larga e inaccettabile sul piano della giustizia sociale, dell’equa distribuzione delle ricchezze e dei sistemi ormai ampiamente fallimentari che privilegiano il benessere, la vita, l’esistenza di pochi a svantaggio della maggioranza. Sono questi i temi di cui si parla poco o per niente. Eppure, le piazze si sono riempite persino dei no tutto, rasentando spesso il ridicolo e ponendo il bene comune in fondo alla lista delle priorità.
Un futuro certamente pieno di ombre riservato ai giovani costretti a pagare l’idiozia di buona parte dei lori padri, incapaci di creare le condizioni di un cambiamento radicale, sempre più una chimera, spalancando le porte all’autodistruzione e salvando sull’arca di Noè quei pochi per i quali abbiamo provveduto a creare ricchezza.