Il pensiero e l’agire di Eve Arnold è semplice da riassumere: se un fotografo ha a cuore le persone davanti all’obiettivo ed è compassionevole, gli viene dato molto. È il fotografo, non la macchina fotografica, lo strumento.
Nata Eve Cohen il 21 aprile del 1912 a Philadelphia da genitori immigrati russi, Eve Arnold fu sempre motivata dalla sua insaziabile curiosità e cercò di catturare la persona dietro il personaggio, di raccontare la storia dietro la storia.
Iniziò a scattare nel 1946, mentre lavorava presso uno stabilimento di fotoritocco di New York, e la sua prima macchina fotografica, una Rolleicord da 40 dollari regalo di un amico, le diede modo di far pratica e immortalare i soggetti preferiti da chi si approccia per la prima volta a questo mondo: i senzatetto, il sole tra i palazzi e nelle strade, la trama della vernice sulle pareti. Nel frattempo sposò Arnold Arnold, dal quale prese il cognome che mantenne per tutta la vita, anche dopo la separazione.
Nel 1950 decise di studiare fotografia iscrivendosi all’unico corso che avrebbe mai frequentato presso la New School for Social Research di New York con Alexey Brodovitch. Sebbene Eve Arnold fosse una straordinaria autodidatta, a 36 anni, si sentì sin da subito indietro rispetto alla classe, tanto che una volta mostrate le sue prime fotografie, seppur contro la sua volontà, tutto ciò che ricevette non furono altro che critiche. A tal proposito, la Arnold dichiarò: «Mi sentii scorticata viva, ma quello che ne ricavai fu importante. Quella sera ho imparato più cose sul significato di una fotografia di quante ne abbia mai imparate da allora. Fu quello il mio vero inizio».
Durante il primo compito assegnato da Brodovitch, scattare fotografie di moda, Eve Arnold iniziò a mostrare ciò che avrebbe segnato per sempre le sue immagini: illuminare chi viene tagliato fuori dalla storia. Scegliere di fotografare modelle afroamericane di Harlem fu, quindi, il suo primo gesto politico e la luce naturale ne divenne la firma. Non vi è nulla di posato e artificiale nei suoi scatti, un lavoro davvero straordinario, e lo dimostra il modo in cui le modelle mostrano i loro corpi in pose incredibilmente spontanee.
Eve Arnold, in questo lavoro, ma come in molti altri, ebbe la capacità di imprimere nei suoi scatti la vicinanza emotiva tra lei e il soggetto fotografato, ottenendo da quest’ultimo una naturalezza disarmante. L’uso particolare della luce e il forte messaggio politico che traspare dagli scatti le hanno permesso di lasciare, nella storia della fotografia del Novecento, un segno indelebile. Le foto delle sfilate di Harlem, pubblicate sulla rivista Picture Post, sono considerate ancora oggi alcun dei suoi ritratti più iconici e intimi. E, proprio grazie a queste immagini, Henri Cartier-Bresson e Robert Capa – che avevano fondato nel 1947 la Magnum Photos – invitarono Eve Arnold a entrare a far parte dell’agenzia, diventandone nel 1957 un membro effettivo, nonché prima donna freelance.
Per conto della Magnum iniziò a scattare foto a personaggi famosi, prima tra tutti, nel 1952, Marlene Dietrich e ancora Marilyn Monroe, la regina Elisabetta, Malcom X, Joan Crawford, Elizabeth Taylor e tanti altri. In questi scatti è stata l’unica a mostrare il lato più umano delle divinità di Hollywood: «Se tu sei attento alle persone e rispetti la loro privacy, ti offriranno una parte di loro stessi che potrai usare» dichiarò la Arnold. Il suo, forse, “azzardo” in quegli scatti contiene però tutta la sua poetica, andando a restituire la normalità laddove regna l’irraggiungibilità. Come è stato raccontato da Chiara Tagliaferri e Drusilla Foer nel podcast Morgana: è una donna che guarda un’altra donna e le concede di essere finalmente umana. È un gesto politico, così com’è la sua rappresentazione degli ultimi, costante fulcro della sua ricerca.
Ma il mondo della moda e dello spettacolo sono soltanto alcuni dei temi a cuore della Arnold. Altri, tra i più importanti, sono uguaglianza razziale, religione, sessualità, diritti umani, abuso di potere. Per conto della Magnum arriva in una Cuba devastata dalla povertà e dal regime di Batista, documenta le udienze della commissione per le attività anti-americane guidate dal senatore McCarthy, il popolo mongolo, un tribunale per il divorzio in Russia, donne mediorientali in un harem e molto, molto altro. Due strade, dunque: la fotografia documentaristica e parallelamente i ritratti di personaggi famosi. Che siano scatti in bianco e nero o a colori, le immagini sono da brividi e inesorabilmente vere.
Eve Arnold attraverso la fotografia capisce che riproducendo le sue paure, forse, riuscirà a esorcizzarle. Fotografare quello che non si ha è quindi un modo per liberarsi dall’incantesimo, dalla tristezza e allo stesso tempo la sua difesa più potente. Un mezzo attraverso il quale cambiare ciò che affligge se stessa, ma anche il mondo.
Venticinque anni fa quando sono diventata fotoreporter ero considerata un caso strano, una donna in carriera, una fotografa donna, per i miei colleghi invece nessuno usava le virgolette, non erano uomini in carriera né fotografi uomini. Non potevo combattere con quel genere di atteggiamento ma volevo saperne di più sulle altre donne e cercare di dire cosa mi spingesse a tollerare quella situazione. È stato allora che ho iniziato a fotografare e a parlare con le donne, seguendo un progetto che mi vedeva, al tempo stesso, osservatrice e partecipe, ho fotografato bambine e adulte ricche e povere, la migrante che raccoglie patate a Long Island e la regina d’Inghilterra. […] Non sono una femminista radicale, perché non credo nell’efficacia della mentalità dell’assedio, però so qualcosa delle disuguaglianze e dei problemi legati all’essere donna. Nel corso degli anni le donne che ho fotografato mi hanno parlato di sé e della loro vita, ognuna aveva la sua storia da raccontare, femminile, sì, ma assolutamente umana. Oggi mi rendo conto che attraverso il mio lavoro, negli ultimi venticinque anni, ho cercato me stessa, ho indagato il mio tempo e il mondo in cui vivo, sono stata povera e ho voluto documentare la povertà, ho perso un figlio e sono stata ossessionata dalle nascite, mi interessava la politica e ho voluto scoprire come influiva sulle nostre vite, sono una donna e volevo sapere delle altre donne.
In The unretouched woman, primo libro di una lunga serie, Eve Arnold racconta i corpi delle donne che ha incontrato e amato. Quasi tutti gli scatti non sono post-prodotti oppure posati, in anticipo di diversi decenni, rifiutando il fotoritocco e l’imposizione patriarcale di standard estetici irraggiungibili, ritraendo i suoi soggetti per ciò che sono, privati della loro maschera. Cosa la spinse ad andare avanti per tutti questi anni? È una domanda che si è posta nel libro: Se dovessi usare una parola sola, sarebbe curiosità, l’imprevedibilità stessa della fotografia mi affascinava, le possibilità erano infinite e bisognava decidere cosa includere e cosa escludere. L’inquadratura. Tentare di definire il momento di osservare la luce che si muove su un volto e il caleidoscopio di emozioni tra cui scegliere. Tutto così vario e intercambiabile.
Eve Arnold si è spenta il 4 gennaio del 2012 e, a 99 anni, è diventata una leggenda.