È necessario preparare il momento preciso per catturare lo spirito, l’essenza, l’anima di una fotografia. Se non avete il momento esatto, dovete aspettare. – Fan Ho
Nato a Shangai l’8 ottobre del 1931, Fan Ho è stato un “grande maestro” della fotografia di strada. All’età di quattordici anni inizia il suo viaggio nel mondo delle immagini grazie al padre che gli ha regalato la sua prima macchina, una Kodak Brownie box. Nel 1949 si trasferisce con la sua famiglia a Hong Kong e, non molto tempo dopo, passerà a una nuova macchina fotografica, la Rolleiflex a doppia lente, che diventerà a tutti gli effetti il suo “marchio di fabbrica”. Sarà proprio nella grande metropoli che i suoi scatti, realizzati tra gli anni Cinquanta e Sessanta, lo renderanno degno di nota e continueranno a ispirare e influenzare ancora oggi.
Fan Ho ha saputo padroneggiare le luci e le ombre, dando vita a composizioni accurate e incredibilmente uniche. Attraverso le sue immagini è possibile, inoltre, seguire i cambiamenti che hanno colpito Hong Kong. La sovranità britannica era ripresa dopo la fine dell’occupazione giapponese del 1945 e, dopo la vittoria del Partito Comunista Cinese nella guerra civile del 1949, la Repubblica popolare cinese è stata fondata sulla terraferma.
Anche grazie all’ondata di nuovi migranti, Hong Kong aveva raggiunto una velocissima industrializzazione che, nei decessi successivi, l’avrebbe resa a tutti gli effetti una metropoli moderna. Le fotografie di Fan Ho però non vengono “toccate” dal caos, dalla disperazione, dai tumulti. I suoi racconti mostrano l’atmosfera della città prima che venga risucchiata dallo sviluppo, le vie, le geometrie, le barche nei canali, le impalcature. Nelle sue immagini non sono mai rappresentate folle: preferisce poche persone che, con la loro solo presenza, riescono a raccontare e dare un senso a ogni cosa, nell’immancabile gioco di luci e ombre. Nelle sue fotografie il bianco e il nero vengono usati con un poetico equilibrio, un’armonia precisa, spesso geometrica, che conquista l’occhio al primo sguardo.
Prima devi trovare la location ideale. Poi devi essere paziente e attendere il soggetto giusto capace di suscitare il tuo interesse, anche semplicemente un gatto per esempio. Devi essere capace di cogliere l’attimo in cui lo spirito, l’essenza, l’anima del soggetto si rivelano. Se quell’attimo non arriva, devi aspettare la sensazione giusta. È un lavoro creativo, perché quella sensazione la devi avere dentro. È così che il “grande maestro” ha raccontato del suo metodo di realizzazione dell’immagine.
Le persone nei suoi scatti sono il fulcro del suo racconto, della sua testimonianza artistica. Nelle sue immagini, in formato 6×6, Fan Ho ha spesso sfruttato il ritaglio per rendere la composizione assolutamente perfetta. La mattina presto o la sera tarda, erano quelli i momenti giusti, in quelle ore del giorno il sole all’orizzonte crea delle lunghe e dense ombre che hanno reso il suo bianco e nero di una profondità unica.
Fan Ho è stato definito il Cartier-Bresson asiatico, tuttavia non è pensabile paragonare due grandi artisti così incredibili e allo stesso tempo così diversi l’uno dall’altro. Il fotografo cinese ha saputo imprimere su carta delle linee perfette che si sposano in maniera magistrale con le ombre, con angoli prospettici, con geometrie armoniose. I soggetti ritratti rendono i suoi scatti e le sue composizioni tutt’altro che statiche; si percepisce sempre un profondo dinamismo.
Nonostante i tantissimi premi vinti, l’esser stato membro della Photographic Society of America, della Royal Photographic Society e della Royal Society of Arts in Inghilterra, l’essere membro onorario delle società fotografiche di Singapore, Argentina, Brasile, Italia, Belgio, Francia e Germania, nonostante sia stato nominato uno dei dieci migliori fotografi al mondo tra il 1958 e il 1965, la fotografia, per lui, non era altro che una passione.
Fan Ho è infatti stato regista e anche attore, ma ha spesso dichiarato: «Preferisco la fotografia perché mi lascia più libertà di espressione, non ho la pressione del pubblico e dei botteghini […] Mi piaceva concentrare e semplificare il mondo in bianco e nero, era più simile alla mia natura. Potevo esprimere meglio e più liberamente le mie emozioni, potevo tenerle sotto controllo, ed i risultati erano surreali e semi astratti. Mi piace quella distanza, non troppo vicino, non troppo lontano…».
L’arte di Fan Ho, morto il 19 giugno del 2016 per una polmonite, ha spinto e spinge i fotografi del suo tempo e contemporanei a catturare l’essenza della vita urbana attraverso la luce e l’emozione.
Sento che la tecnica non è troppo importante. È più importante usare gli occhi, la mente e il cuore…