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Roger Ballen, gli psicodrammi esistenziali della fotografia

Francesca Testa di Francesca Testa
21 Febbraio 2024
in Camera Chiara
Tempo di lettura: 5 minuti
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Roger Ballen è un artista e fotografo americano nato a New York l’11 aprile del 1950, ma vive e lavora a Johannesburg, Sud Africa, dagli anni Settanta. Il padre, Irving, era un avvocato, mentre la madre, Adrienne, è stata un membro dell’agenzia fotografica Magnum dal 1963 al 1967 prima di aprire la Photography House Gallery con Inge Bondi a New York nel 1968. Anche grazie a lei, Roger si è avvicinato presto al mondo delle immagini e ha conosciuto l’arte di Andre Kertesz, Edward Steichen, Paul Strand, Elliot Erwitt, Bruce Davidson e Henri Cartier-Bresson.

La sua ricerca è iniziata con il campo della fotografia documentaria, evolvendosi velocemente e integrando il teatro, la scultura, i film, la pittura e il disegno. I soggetti che ha ritratto più spesso sono animali, persone emarginate, oggetti, disegni infantili e quello che fa parte di mondi non “individuabili”. Ballen stesso ha descritto le sue opere come psicodrammi esistenziali che toccano la mente subconscia ed evocano il ventre della condizione umana. Lo scopo è quello di infrangere i pensieri, far uscire i sentimenti repressi trattando temi quali caos, ordine, follia e stati dell’essere indisciplinati, ma non tralasciando il rapporto umano con il mondo animale, la vita e la morte, e gli archetipi universali della psiche. Ha studiato psicologia alla Berkeley, in California, e proprio qui è stato esposto al movimento antipsichiatrico di R. D. Laing al concetto di inconscio collettivo di Jung, al Teatro dell’assurdo di Pinter, Beckett e Ionesco e ai filosofi esistenziali come Sartre e Heidegger.

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Nel 1969 ha fotografato Woodstock e catturare quei momenti ha giocato un ruolo nel conoscere l’esperienza umana, lo sforzo umano, trovare il momento, lavorare con le persone, cercare in circostanze difficili qualcosa che si distinguesse. «Se dovessi dire qual è l’aspetto importante che prende forma attraverso il lavoro, è il tentativo di venire a patti con il caos puro».

Nel 1973, Ballen ha trascorso alcuni mesi presso l’Art Students della League of New York dove ha dipinto l’art brut e primitivisti. Subito dopo ha intrapreso un lungo viaggio, di circa cinque anni, che lo ha portato da Il Cairo a Città del Capo e da Istanbul alla Nuova Guinea. Questi anni hanno spinto l’artista americano a interessarsi a immortalare uomini enigmatici su sfondi drammatici come santuari, templi e mercati. Durante questo viaggio, che lo ha condotto anche in Sud Africa, ha incontrato la futura moglie, Lynda Moross, artista e insegnante d’arte, che ha poi sposato nel 1980. Al termine di questi viaggi ha pubblicato il suo primo libro fotografico, Boyhood, che rappresenta una serie di immagini universali e iconiche di ragazzi che aveva incontrato nel tentativo di ricreare la sua infanzia nell’avventura del viaggio.

Ballen non ha mai apprezzato la fotografia commerciale, non l’ha mai considerata come un vero e proprio lavoro e, per questa ragione, si è iscritto alla Colorado School of Mines conseguendo poi un dottorato di ricerca in Economia mineraria nel 1981. Nel 1982 si è trasferito definitivamente a Johannesburg dove ha iniziato a fotografare, in piccoli villaggi remoti chiamati dorps e aree rurali denominate platteland, bianchi emarginati, un tempo privilegiati dall’Apartheid. I suoi lavori di street photography e di ritrattistica psicologica quali Boyhood, Dorps e Platteland, sono stati influenzati da personaggi importanti del mondo della fotografia quali Cartier-Bresson, Walker Evans, Diane Arbus ed Elliot Erwitt.

Il suo stile ha preso il nome di ballenesco, caratteristico della sua narrativa documentaria che fa riferimento ai generi artistici del teatro assurdo, dell’outsider art, dell’art brut, del naivismo, del surrealismo fotografico e del grottesco fotografico. Ma gli scatti di Roger Ballen sono stati influenzati anche dalle opere letterarie artistico-filosofiche di Beckett, Kafka, Jung e Artaud.

Robert Young, parlando del lavoro fotografico di Ballen, lo definisce come varie combinazioni e relazioni mutevoli che includono la presenza del soggetto emarginato. Il suo lavoro non riguarda la sociopolitica bensì è una dichiarazione psicologica ed estetica. Del resto, i soggetti che ha fotografato non sono persone anonime, ma ha stretto con questi amicizie durature. Ballen usa un formato quadrato che, con la sua ridotta profondità di campo, mette lo spettatore di fronte alla vicinanza e simultanea inaccessibilità di queste persone che sembrano avere, molto spesso, “disturbi psichici”. Si tratta di soggetti quindi lontani, e questa inaccessibilità è evidenziata da spazi che appaiono ultraterreni; qualcosa che prende forma nel regno della fotografia, ma sembrano non avvicinarsi mai al mondo reale.

Questo senso di distacco è accentuato poi dall’utilizzo del bianco e nero: Il bianco e nero è una forma d’arte molto minimalista e, a differenza delle fotografie a colori, non pretende di imitare il mondo in un modo simile al modo in cui l’occhio umano lo percepisce. Il bianco e nero è essenzialmente un modo astratto di interpretare e trasformare ciò che si potrebbe chiamare realtà.

Dall’inizio degli anni Novanta in poi, nelle fotografie di Ballen compaiono anche elementi quali antenne, cavi elettrici, recinzioni, appendiabiti e tanto altro. Queste “stanze chiuse” sono state definitive dallo stesso artista americano come incarnazioni visive del luogo e della mente subconscia; ambientazioni nelle quali persone e animali si presentano e interagiscono con oggetti e disegni, momenti preservati dall’immobilità della fotografia. «Non è tanto una questione di contenuto, è anche una questione di forma. Sono prima di tutto un formalista. Dico sempre che la forma viene prima del significato. Prima penso all’immagine, prima di premere il pulsante devo sentire che la cosa è un tutto organico, che le forma si integrano in un modo cruciale».

Dopo i primi lavori, l’artista americano nel 2005 ha realizzato Shadow Chamber: si tratta di immagini ambigue di persone, animali e oggetti posti in misteriose stanze simili a cellule. Con questo progetto è stato inaugurato il surrealismo di Ballen e l’integrazione della fotografia documentaria con altre forme d’arte. Boarding House invece comprende settanta immagini in bianco e nero: si tratta di tableaux con maggiore enfasi sugli elementi disegni e scultorei, gli scatti diventano così metafore degli spazi della mente. In Asylum of the Birds Roger Ballen ha ulteriormente esplorato i suoi misteriosi spazi fotografici come rifugi e prigioni. Nel 2016 ha poi realizzato The Theatre of the Apparitions ispirato dalla vista di incisioni disegnate a mano su finestre oscurate in una prigione femminile abbandonata. Ha poi collaborato, dirigendone il video musicale, con Die Antwood per la canzone I Fink U Freeky.

Oggi Roger Ballen è in mostra a Senigallia Città della Fotografia dove presenta la sua personale, The Place of the Upside Down a cura di Massimo Minini nella doppia sede di Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera fino al 2 ottobre di quest’anno. Inoltre ha partecipato alla LIX Biennale di Venezia per cui è stato chiamato a rappresentare il Sud Africa nel padiglione nazionale.

Caratteristica importante della fotografia di Ballen è la presenza del “perturbante”: la giustapposizione di elementi incongrui o inaspettati per produrre nuovi significati che devono essere ancora formulati. Didi Bozzini ha scritto che il rapporto di Roger Ballen e i soggetti che ha fotografato hanno sconvolto la pigrizia del nostro sguardo quotidiano, proprio perché le opere di questo grande artista sovvertono schemi visivi, sintassi e narrazioni.

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