Anche i premi Nobel fanno sesso. È un pensiero banale, eppure è stato il primo che ho fatto quando ho cominciato a riflettere su Perdersi di Annie Ernaux (L’Orma Editore). A voler essere onesta, è anche stato il modo in cui l’ho introdotto a chi mi chiedeva di cosa parlasse il libro che stavo leggendo. Chissà perché mi viene da dirlo.
Non sono particolarmente ossessionata dall’idea che gli intellettuali abbiano una vita sessuale (o semplicemente una vita e basta), piuttosto mi incuriosisce la tendenza a considerare le grandi menti imperturbabili. Nessun desiderio, nessun impeto della carne a renderle più fragili e più vicine. Separare ancora emozione e ragione, rendere umano il saggio solo attraverso lo scandalo.
La decisione di Ernaux di pubblicare il diario di una passione appare come operazione di ricongiungimento fra due anime che abitano lo stesso corpo, si abbandonano allo stesso anelito. Scrittura e desiderio sono indissolubilmente avvinghiati, mossi nella stessa direzione, eiaculati dallo stesso getto di penna nera su pagina bianca. Oggetto della bruciante passione di Ernaux è S., uomo di cui conosciamo solo l’iniziale, la provenienza sovietica e le preferenze sessuali. Si parte, dunque, da un corpo e da un’astrazione.
L’omissione del nome di lui non è solo un’accortezza di riserbo, ma serve alla Annie scrittrice, che revisiona il diario prima della pubblicazione, a rendere l’uomo una figura sfumata, che si fa materia solo un attimo prima di attirare a sé l’altra Annie, l’amante. In questa sola iniziale è racchiuso l’esercizio cui si dedicano alacremente le due Annie: definire l’indefinibile, afferrare l’inafferrabile.
Il tormento dell’amante abbandonata all’attesa estenuante fra una visita e l’altra induce a pensare che S. la consumi senza lasciarsi consumare dalla passione a sua volta. Tuttavia, questo tacerlo, renderlo una forma d’ombra distesa e inerme nel piacere, che si esprime a parole solo quando strettamente necessario e comunque perdendo sempre qualcosa nella traduzione dal russo al francese, permette a Ernaux di servirsi di lui. L’uomo desiderato è strumento, campo d’indagine, esperimento di pelle. S. non è una persona e neanche un personaggio, perché Perdersi non è un romanzo, ma neanche del tutto un diario.
Mi sono chiesta spesso, leggendolo, cosa succede esattamente quando si decide di pubblicare volontariamente scritti così personali. Sono abituata, come lettrice, a vedere stampati diari e carteggi postumi che parenti e amici di uno scrittore scomparso mettono a disposizione di un editore per completarne e contestualizzarne meglio l’opera (in qualche caso anche per avidità). Con Ernaux è diverso. È lei stessa a plasmare il languore dell’abbandono in cui si crogiola. Esige, anzi, da esso la stessa perfezione poetica dell’amore fisico con S. che la porta al pianto, all’estasi. Sesso e scrittura, nella ricerca di Annie Ernaux, finiscono per equivalersi: entrambi perpetua invenzione.
La sensazione di spiare, di entrare senza permesso nella vita e nei pensieri intimi di qualcuno, non svanisce nemmeno se autorizzata. Però la consapevolezza dell’autrice di veder letto il suo diario cambia tutto. Lette da occhi estranei, le parole concepite per la segreta rielaborazione del diario sono non più espressione, ma esibizione.