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Cultura

Annie Ernaux e il racconto che è emancipazione

Annie Ernaux è la vincitrice dell’ultimo Premio Nobel per la Letteratura, conferitole dall’Accademia Svedese per il coraggio e l’acutezza clinica con cui disvela le radici e le limitazioni collettive della memoria personale. L’autrice francese – la prima donna del suo Paese ad aver vinto l’ambito premio – si è spesso definita etnologa di sé stessa: l’intera sua ricerca letteraria nasce dai suoi diari. Con precisione chirurgica, Ernaux ne estrae pensieri e ricordi e li ricompone non tanto per il bisogno di raccontarsi, ma per diventare universale. In uno dei suoi lavori, l’autrice scrive che forse il vero scopo della sua vita è soltanto uno: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella vita e nella testa degli altri. Tutto succede per essere raccontato, per essere offerto.

Queste sono le parole che chiudono L’Evento, uno dei romanzi autobiografici più potenti dell’autrice. Si tratta di una storia semplice, molto comune: quella di una studentessa che vuole abortire. Solo che siamo negli anni Sessanta e in Francia l’aborto è illegale. E allora c’è la clandestinità, il sotterfugio necessario per avere il controllo del proprio futuro. Ci sono il giudizio e lo sguardo altrui da cui ripararsi. Ci sono la paura, il senso di colpa e la vergogna, figli dello stigma sociale. E poi c’è il corpo, che diventa una scena del crimine. Per noi l’autrice diventa un tabù incarnato, un racconto collettivo di tutte coloro che si sono dovute nascondere per poter decidere del loro corpo. Ogni implicazione dell’aborto, sociale e psicologica, viene disvelata. Anche l’aspetto fisico non viene risparmiato dallo sguardo clinico della scrittrice: con uno stile crudo ed efficace Ernaux ne racconta il sangue, il raschiamento, l’emorragia.

Oggi, più di prima, L’Evento è un romanzo fin troppo attuale. La vittoria di Annie Ernaux è capitata in un anno in cui le donne si sono accorte di quanto le loro conquiste siano instabili, effimere, e che la possibilità di autodeterminarsi non può essere data per scontata. «L’estrema destra non è mai stata favorevole alle donne» ha affermato Ernaux, proprio a riguardo della deriva conservatrice italiana. Prima è stata l’America a voltare le spalle alle donne, e ora il vento reazionario è arrivato fino in Europa, spazzando via la certezza di essere tutelate. «Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno» – ha continuato l’autrice – «la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne». Non sorprende una presa di posizione così netta, dato che Ernaux aveva già dichiarato di scrivere per vendicare la sua razza: per lei, la scrittura è testimonianza e la testimonianza è lotta.

Questi due aspetti – testimonianza e lotta – raggiungono la loro fusione nel capolavoro Gli anni, in cui Ernaux racconta proprio delle proteste a favore della legalizzazione della legge sull’aborto negli anni Settanta. E ancora, nel suo primo romanzo, Gli armadi vuoti, le danze si aprono proprio sulla scena innominabile di un aborto. Ma mentre ne L’Evento la scrittrice si mostra più fredda, distaccata, Gli armadi vuoti rivela una rabbia sommessa – quasi un grido soffocato – nelle parole della giovane Ernaux. L’aborto in questo caso si mostra come un violento rito di passaggio dal mondo dell’infanzia a quello degli adulti, una lacerazione impossibile da sanare. La penna di Ernaux è implacabile e voyeuristica, e restituisce in maniera cristallina i traumi più profondi dell’esperienza femminile.

Un’altra sfaccettatura del rapporto tra corpo femminile e morale è quella raccontata in Memoria di ragazza, uno degli ultimi romanzi di Ernaux. Qui il trauma è più risalente: si tratta del racconto della prima esperienza intima dell’autrice, vissuta in maniera incosciente e inesperta. La giovane Annie passa l’estate in colonia e lì incontra un uomo più grande di lei. Dopo pochi minuti lo segue e si lascia guidare sottomessa nel suo primo rapporto. Lo racconterà, ingenuamente, alle altre ragazze della colonia ed è lì che scoprirà per la prima volta l’umiliazione pubblica. La colonia la etichetterà come la puttana, la ragazza facile che tutti i ragazzi proveranno a ottenere con la complicità delle ragazze più scaltre. È con un imbarazzo doloroso che si leggono queste pagine, perché mai questo tipo di esperienza è stata rivelata. L’inseguimento patetico dell’uomo desiderato, il rifiuto e lo scherno, la vergogna che si trasforma in desiderio di purificazione e redenzione.

Il silenzio imposto alle donne sulle proprie esperienze le ha rese isolate per troppo tempo, chiuse nelle loro piccole bolle d’imbarazzo e senso di colpa. L’autobiografia allora diventa nelle mani femminili uno strumento potentissimo in grado di abbattere le barriere dell’isolamento e dello stigma sociale. Il racconto può essere un modo di stravolgere lo sguardo altrui verso le donne, di rompere i tabù, e soprattutto di svelare cos’è davvero la vergogna femminile. E, così, depotenziarla: non c’è più nulla di troppo intimo, troppo sporco, troppo sbagliato per essere raccontato. Nulla di inconfessabile, e quindi nulla di insuperabile. La penna di Annie Ernaux è rivoluzionaria e la sua sincerità un’arma al servizio di tutte noi.

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