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Antonio e Felice Beato, fotografi viaggiatori

Francesca Testa di Francesca Testa
21 Febbraio 2024
in Camera Chiara
Tempo di lettura: 3 minuti
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Per molto tempo, la vita dei fotografi Antonio e Felice Beato è stata avvolta da notizie incerte, dal mistero che in realtà si trattasse di una persona sola e non di due fratelli. Dan Meinwald, a questo proposito, scrisse: Sono talmente scarse le notizie di Antonio che si pensa che Felice abbia usato un altro nome. I due nomi qualche volta sono persino combinati, come Felice A. Beato. La mia proposta è di non cercare di risolvere il problema del doppio beato […].

Oggi possiamo confermare che i Beato erano davvero due fratelli. Secondo un certificato di morte che è stato scoperto nel 2009, infatti, Felice Beato sarebbe nato a Venezia nel 1832 e morto a Firenze nel 1909. Da altre informazioni, che sono state ricavate da un permesso di viaggio che richiese nel 1858, si evince, invece, che sarebbe nato nel 1833 o forse nel 1834 a Corfù. Unica certezza è che la famiglia Beato, nei primi anni di vita dei fotografi, risiedette sull’isola greca che a quel tempo era protettorato britannico.

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Una notizia, seppur non documentata secondo lo storico inglese Colin Osman, ma riportata in vari articoli, colloca i Beato a Malta nei primi anni Cinquanta, dove avrebbero incontrato il Robertson che lì iniziò alla fotografia e li portò con sé ad Atene. In seguito, viaggiarono probabilmente verso Costantinopoli, intorno al 1853 – anche se risulta la sola presenza di Felice Beato –, poi tutti insieme si recarono in Crimea dove realizzarono una campagna fotografica sui luoghi della guerra. Nel marzo del 1858 sicuramente si trovavano in India e qui furono scattate alcune immagini che mostrano le conseguenze della battaglia repressiva inglese contro i rivoltosi della città indiana Lucknow.

Felice Beato, che preferiva farsi chiamare Felix, nel 1860 si trovava a Fort Taku, giunto al seguito di una guarnigione anglo-francese. E proprio in questa occasione scattò le prime immagini di cadaveri umani, documentando addirittura gli effetti della strage. Felice si diresse poi in Cina e nel 1861 partì per il Giappone, Yokohama, dove venne raggiunto dall’amico, nonché giornalista inglese del London Illustrated New, Charles Wirgham. Antonio, invece, partì per Luxor dove poi diede vita a un atelier per turisti. Come scrive Italo Zannier nel suo L’occhio della fotografia, una specialità dei fratelli Beato furono le ampie panoramiche, eseguite collegando quattro, cinque e anche dieci immagini, riprese da un medesimo punto sopraelevato, in modo da comporre un unico quadro di grande effetto scenografico.

Il lavoro di Felice Beato in Giappone lo portò a dedicarsi soprattutto a scene di genere e al paesaggio, creando una serie di immagini esotiche, poi diventate album, tra cui Views of Japan e Native types. Queste immagini furono poi dipinte a mano da un abilissimo acquarellista locale: erano ritratti lottatori, artigiani e geishe. Si tratta delle prime fotografie giapponesi che raggiunsero l’Europa dove, a quel tempo, vi era grande curiosità per un ambiente ancora tanto sconosciuto.

Antonio Beato morì a Luxor nel 1903 e buona parte del materiale fotografico creato in quegli anni, messo in vendita nel 1906, si trova oggi presso il Museo del Cairo dopo l’acquisto da parte dell’archeologo Maspero. La data di morte di Felice invece è incerta, forse avvenne nel 1904 quando si trovava a Mandalay, in Birmania. In ogni caso, l’opera dei due fratelli va ad affiancarsi e continua quella di altri famosi fotografi–viaggiatori del 1800 come Maxime Du Camp, oppure Francis Frith o, come scrive ancora Zannier, in particolare quella della dinastia dei Bonfils, fotografi francesi vissuti lungamente a Beirut, dei Bourne, Shepherd, Thomson, Bourke e di altri avventurosi ai quali appartiene un ampio capitolo della storia mondiale della fotografia.

Oggi, le fotografie egiziane di Antonio, così come quelle giapponesi di Felice Beato, sono raccolte in varie collezioni e documentano con grande rigore tecnico l’architettura e il costume di popoli allora particolarmente al centro dell’attenzione occidentale.

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