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A Napoli è vietato giocare a pallone: come si nega un diritto anziché garantirlo

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
16 Giugno 2022
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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A Napoli sarà vietato giocare a pallone in strada. Da ieri pomeriggio, sulle pagine dei giornali locali e non, rimbalza una notizia che in qualsiasi parte del mondo farebbe sorridere qualunque avventore del sito che ne riporta la nota, l’ennesima burla – per farla breve – dei webzine tipo Lercio, Il Fatto Quotidaino, e così via. E, in effetti, prima di armare la penna, chi scrive ha cercato immediatamente conferma dei fatti, ma di fronte all’evidenza offerta dai titoli apparsi persino su qualche testata nazionale di primo livello ha dovuto cedere a un sentimento che è un mix di sconforto e ilarità.

E, dunque, avete letto bene: il nuovo regolamento sul decoro urbano voluto dal Sindaco Gaetano Manfredi, lo stesso inutile provvedimento che prevedeva la chiusura dei locali alle due del mattino – già fortemente criticato nella precedente versione, in scadenza questo weekend –, oggi trova nei ragazzini e nei Super Santos il nuovo nemico a cui giurare la guerra in nome della decenza. Agli scugnizzi sarà vietato incontrarsi nei vicoli della propria città (che nulla offre loro) e… giocare!

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Così, anziché lavorare all’agibilità di diverse strutture sportive lasciate in disuso, anziché combattere davvero l’indecenza in cui versano gli impianti in centro città quanto in periferia, Palazzo San Giacomo vieta a Napoli… di essere Napoli, cancella l’essenza della città che da quarant’anni cresce nel sogno e nel mito di Maradona. Dallo stadio Antonio Landieri a Scampia – inaugurato solo nel 2017 –, fino alla piscina comunale di Ponticelli, le strutture partenopee sono sinonimo di incuria, lavori lasciati sospesi e abbandono.

Napoli si dimostra una città amministrata da una politica che non la conosce, che non la vive, dove il suddetto provvedimento è l’ennesimo esempio dello scollamento tra popolo e palazzi, della distanza tra il sentire delle persone e l’interesse delle poltrone. È incredibile che con l’arrivo degli ingenti fondi previsti dal Patto per Napoli e i successivi capitali garantiti dal PNRR, l’amministrazione abbia pensato a negare un diritto anziché a fare tutto quanto in suo possesso per garantirlo, che Palazzo San Giacomo si sia adoperato in questo gioco di sottrazione anziché di incentivazione al gioco e al vivere la città.

Perché un pallone che vola tra i vicoli, che si infrange contro le serrande dei locali in disuso, che si infila tra gli zaini lasciati a terra a svolgere la funzione dei pali, non ha nulla a che fare con il degrado urbano da cui si intende proteggere chissà chi. Al contrario, negare ai più giovani di immaginare un futuro sulla scia dei campioni di cui vestono le maglie appezzottate, quello è il vero degrado, è il degrado di una società che non sa più divertirsi, che non sa più giocare, che non sa più proporre alternativa ai ragazzi che non sia il rimbambimento da cellulare.

I giovani, a Napoli, sognano il proprio futuro lontano. Lo fotografano i dati, ma lo raccontano meglio i vicoli di periferia, dove i ragazzi immaginano l’unica via per la propria realizzazione lontana dalla loro terra, dalle loro famiglie. L’offerta culturale e sportiva è quanto di più importante possa incidere nella crescita di un ragazzo e – certo – giocare a pallone in strada non equivale a garantire un’alternativa alla competizione agonistica, ma negarlo a prescindere vuol dire negare l’idea che la città possa essere vissuta nella sua anima, quella che spesso ne ha dipinto la cartolina.

Molto probabilmente (o almeno è ciò che speriamo, in un’ottica di buonsenso) questa misura imbecille verrà circoscritta – così come previsto per l’uso dei monopattini elettrici – esclusivamente alle aree di interesse artistico-culturale, tipo le Gallerie, ma anche averla soltanto pensata, aver permesso ai giornali di far girare la voce, vuol dire deprimere un territorio che, continuamente, fa i conti con la sensazione che qui non sia possibile, che sia possibile solo altrove. Cosa? Tutto! 

Con la pandemia che ha tolto proprio ai bambini e ai ragazzi il diritto a godere della loro età, di crescere a contatto con il fuori, con l’altro, che ha – di fatto – messo in pausa o cancellato del tutto la fanciullezza di tanti nell’età della crescita e della socializzazione come sviluppo, un disincentivo alla convivenza, alla strada, è tutto quanto una generazione depressa dai social non aveva bisogno.

D’altronde, è la strada che fa i ribelli, che inspira le aggregazioni, esattamente ciò la politica odierna scoraggia, forse conscia che una ritrovata consapevolezza di quanto ci viene continuamente negato sarebbe la fine della propria sopravvivenza. E i palazzi hanno sempre avuto paura dei ribelli e di Napoli, dunque li soffoca.

Che poi – diciamo la verità – ce li vedete i vigili urbani (già in sottonumero) armati di punteruolo pronti a schiattare tutti i Super Santos abusivi che volano nelle strade della città? Per come l’abbiamo immaginata noi, è più probabile che di fronte alla constatazione del delittuoso accaduto la pattuglia accorsa sul posto chiami i rinforzi come nella celebre scena del film Chiedimi se sono felice di Aldo Giovanni e Giacomo, pronta raccogliere il pallone e sfidare i malviventi a chi arriva prima a ventuno.

Chissà, forse qualcuno, nelle prossime ore, ricorderà di quando giocava nei pressi del proprio palazzo sognando il San Paolo di Napoli, o forse ripercorrerà le biografie di quanti campioni raccontano di aver cominciato così, giocando a pallone per strada, e questo provvedimento nato zoppo e cresciuto storto verrà cancellato. Altrimenti, la massa di fantasmi che governa questa città maledetta dovrà spiegare ai vicoli che sognano Maradona che il Dio del calcio non solo è morto, ma che ne hanno anche cancellato lo spirito.

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