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Povertà: Italia sesta in Europa tra i Paesi più a rischio

Antonio Salzano di Antonio Salzano
21 Gennaio 2024
in AZETA di Antonio Salzano
Tempo di lettura: 4 minuti
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In Italia, sono quasi 1.7 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta, con un’incidenza pari al 6.4% (7% nel 2018), per un numero complessivo di quasi 4.6 milioni di individui (7.7% del totale, 8.4% nel 2018). A dichiararlo sono i dati ISTAT relativi al 2019 che risultano migliori relativamente ai quattro anni precedenti. Un andamento positivo dovuto anche all’introduzione del reddito di cittadinanza, che ha sostituito il reddito di inclusione, interessando, nella seconda parte del 2019, oltre un milione di famiglie in difficoltà.

L’Unione Europea delle Cooperative (UECOOP), riferendosi a questi numeri, ha rilevato che un dato assolutamente da non trascurare è la presenza dei circa 51mila invisibili, senzatetto che vivono sui marciapiedi, nelle stazioni e sotto i portici delle città italiane. Una situazione di disagio che si è aggravata nel 2020 con l’emergenza coronavirus e che colpisce anche clochard, ragazzi in stato di disagio, padri separati e anziani. Più di 8 senzatetto su 10 sono maschi e in oltre la metà dei casi si tratta di stranieri. Dei quasi 4.6 milioni di poveri, inoltre, quasi un terzo sono uomini e donne sopra i 65 anni che non possono pagarsi un pasto completo o le bollette di luce e riscaldamento […] a fronte di una situazione italiana dove 6 pensionati su 10 prendono meno di 750 euro al mese.

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Il recente rapporto della Caritas ha evidenziato infine che l’Italia è il sesto Paese maggiormente a rischio di povertà d’Europa (27.3%), dopo Bulgaria (32.8%), Romania (32.5%), Grecia (31.8%), Lettonia (28.4%) e Lituania (28.3%) – davanti alla Spagna (26.1%) – e che forti sono le differenze tra Nord e Sud all’interno della nazione. Analizzando il confronto tra la situazione delle famiglie di operai di oggi con quella antecedente al 2008, poi, ne viene fuori che, in soli dieci anni, tra loro la povertà assoluta è aumentata del 624%.

Questo il quadro complessivo che, ovviamente, non tiene conto del fenomeno COVID-19 che ribalterà ancor più in negativo i dati già drammatici per il nostro Paese, in un mondo dove i miliardari aumentano e i loro immensi patrimoni crescono, mentre cresce a dismisura la folla dei poveri. A metà 2019, l’1% più ricco su scala globale possedeva più del doppio della ricchezza netta di 6.9 miliardi di persone, come riportato nel Rapporto 2020 di Oxfam La terra delle disuguaglianze, e in Italia non va molto meglio. Nello stesso periodo, infatti, il 10% più ricco della popolazione deteneva il 53.6% della ricchezza nazionale netta, oltre 6 volte la quota della metà più povera dei nostri connazionali, e la ricchezza dell’1% più facoltoso superava quella complessiva detenuta dal 70% degli italiani più poveri sotto il profilo patrimoniale.

Gli aiuti messi in campo dal governo con risorse davvero straordinarie – che in larga parte aumenteranno il già gravoso debito – inevitabilmente andranno a ingrassare anche quanti coadiuvati da esperti consulenti avranno l’abilità di dimostrare il contrario di tutto a danno di imprenditori, commercianti, artigiani realmente in difficoltà nel mentre  quei 51mila invisibili di cui parla l’UECOOP continueranno ad affollare le mense Caritas o affidati alle cure dei tanti volontari e privati cittadini in attesa di un pasto caldo da consumare in strada, nelle stazioni, sotto i portici delle grandi città.

Quell’esultanza di due anni fa di Luigi Di Maio – «Oggi aboliamo la povertà!» –, affacciato al balcone di Palazzo Chigi con gli altri ministri del MoVimento 5 Stelle dopo l’approvazione del reddito di cittadinanza, seppur comprensibile per il raggiungimento di un risultato storico e apprezzabile nelle intenzioni, suona come una bestemmia per una povertà in crescita che va a interessare anche il ceto medio che ha visto progressivamente peggiorare la propria condizione.

A tal proposito, hanno fatto molto discutere, tra le provvidenze previste, quelle a favore dei notai che potranno beneficiare – o avranno già percepito – i 600 euro quale contributo per il sensibile calo del lavoro. Il Dipartimento delle Finanze, anche in relazione alle dichiarazioni dei redditi relative al 2017, fa riferimento a una media reddituale di circa 293mila euro calcolata su oltre 3700 notai, ma oggi il numero è quasi raddoppiato con redditi tra i 35 e i 50mila euro per i più giovani, una sensibilità davvero encomiabile da parte del governo che avremmo preferito avesse indirizzato a quella folta schiera di lavoratori anch’essi invisibili, senza contratto, mal pagati o remunerati a piacimento con compensi in realtà talvolta la metà delle paghe ufficiali sottoscritte.

Come se non bastasse, scrive il Sole 24 Ore in riferimento al rapporto Oxfam, il patrimonio dei primi tre miliardari italiani della lista Forbes (che a marzo 2019 erano Giovanni Ferrero, Leonardo Del Vecchio e Stefano Pessina) era superiore alla ricchezza netta (37.8 miliardi di euro a fine giugno 2019) detenuta dal 10% più povero della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone. Un aumento del divario tra ricchi e poveri e delle disuguaglianze che costituisce il vero tema centrale ma che comunque non sembra rientrare nell’agenda principale di quasi tutti i governi e del nostro in particolare, cui vanno riconosciuti sforzi enormi in questa emergenza, tuttavia non utili a dare risposte a quegli strati di popolazione senza volto.

Quale futuro per i nostri giovani? Quale per quei circa 2 milioni tra i 15 e i 19 anni che non studiano, non lavorano, non partecipano a corsi di formazione, raccolti in una sigla, NEET (not in education, employement or training) – anche questa una forma di povertà non secondaria – additati superficialmente anche da chi preposto a risolverne i problemi, come bamboccioni? Quale futuro?

La soluzione del tema delle disuguaglianze va trovata con un cambio di passo di un sistema economico che fa sempre più acqua da tutte le parti favorendo fette troppo esigue della comunità nazionale, soluzione che la politica ha il dovere di perseguire attuando il dettato della nostra Costituzione che esige una classe dirigente all’altezza del compito, dotata di competenza e volontà di sovvertire un modus vivendi fatto a misura di pochi  e a svantaggio della maggioranza.

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