La voce che dichiarò la fine della guerra dai microfoni di via Asiago a Roma, il 25 aprile del 1945, era di un Aldo Giuffré poco più che ventenne, assunto l’anno precedente alla EIAR di Napoli come annunciatore. Proprio lui, il bambino nato nel centro storico partenopeo, in via del Sole, all’ultimo piano del civico 6, da quel terrazzo «da cui buttava giù di tutto per strada, un ferro da stiro e perfino un povero gatto, questo racconto ce l’ho nelle orecchie». Così ci rivela la moglie Elena, da noi incontrata in occasione del sopralluogo alla scala che collega via Gaetano Donizetti e via Luigia Sanfelice di fronte alla casa che fu di Scarpetta e che martedì 30 aprile – il giorno successivo alla serata al Teatro Mercadante ideata e condotta da Massimiliano Gallo per celebrare il centenario della sua nascita – sarà intitolata all’Artista che in gioventù abitò al civico 93.
Per l’occasione, RAI 5 ha dedicato ad Aldo Giuffré un documentario sulla sua vita artistica e per tutto il mese di aprile quattro spettacoli di prosa di Teca RAI restaurati, che lo vedono protagonista, sono stati messi in onda alla 16 di ciascun sabato: La sera del Sabato di Guglielmo Giannini, L’Incoronata di Alfonso Sastre, La potenza delle tenebre di Tolstoj e Francesca da Rimini di Antonio Petito.
«Gli piaceva la radio, dove ha cominciato e dove ha recitato in drammi come La fidanzata del bersagliere (1960), O di uno o di nessuno di Pirandello (1965), Il compleanno di Pinter (1965), Improvvisamente una notte di Paso (1967), I corvi del signor Walsh di Sheimer, Il malato immaginario di Molière e tanto altro. In televisione ha presentato Senza Rete e altri programmi di intrattenimento, ma Aldo era un uomo di teatro, amava il teatro in cui si esprime l’attore in carne e ossa, che deve rimediare agli “errori” senza l’intervento delle “macchine”. Diceva: “Il teatro è dell’attore, il cinema è del regista”. Ovviamente ci vogliono le capacità anche nel cinema. I classici in televisione sono molto duri, questo era l’altro suo pensiero».
Il teatro fu tutta la sua vita. Debuttò nel 1947 con la compagnia di Eduardo De Filippo in Napoli milionaria, Filumena Marturano, Questi fantasmi!, Le bugie con le gambe lunghe, Le voci di dentro e poi con quello che egli riteneva uno dei suoi grandi maestri, Giorgio Strehler al Piccolo di Milano. Alternava la recitazione in dialetto con quella in italiano passando dal comico al drammatico interpretando testi di Cechov, Goldoni diretto da grandi registi.
Molte le sue interpretazioni cinematografiche, da Assunta Spina di Mario Mattoli con Anna Magnani e poi con Vittorio De Sica, Sergio Leone e i tanti film con il grande Totò: «Insomma non si è fatto mancare niente», racconta sua moglie, «fino alla parte finale della sua vita in cui ha scritto quattro romanzi: In viaggio con amore, la storia di due adolescenti che cercano l’amore ma poi scoprono di averlo dentro di loro; Amici come prima, un capolavoro, inizia in un brefotrofio ed è struggente; I Coviello, storia di una compagnia di guitti che attraversa l’Italia dal Nordest fino alla Campania, alla fine della Seconda guerra mondiale; La meravigliosa storia di Antonio Maraviglia, una storia particolare, il suo ultimo romanzo. Ha iniziato anche una divertente autobiografia, ma purtroppo non ha fatto in tempo a ultimarla».
Abbiamo incontrato Elena qualche settimana fa, a Palazzo Reale, presso la Biblioteca Nazionale alla quale ha donato tutto il materiale artistico che sarà in mostra dal 29 aprile al 29 giugno «affinché resti per sempre a disposizione degli studenti e degli studiosi. Io non ci sarò più, il suo materiale artistico sì. Copioni, foto di scena, recensioni critiche, programmi di sala, manoscritti, articoli, commedie scritte da lui e adattamenti di commedie e la maschera in cuoio appartenuta al grande Pulcinella: Antonio Petito. Gli stessi attori realizzavano la maschera con le proprie mani, un pronipote di Petito la donò ad Aldo, anche se per questione di età, avrebbe potuto beneficiarne qualcun altro. Inoltre ci sono i suoi quattro romanzi manoscritti e dattiloscritti».
«Aldo era molto legato alla famiglia, anche se gli era stata negata dall’età di 12 anni, con la morte prematura del padre, figura che ha cercato per tutta la vita. Amici ne aveva pochi, conoscenti tanti. Non credeva molto nell’amicizia nel suo ambiente, lo spiegava in tre parole: scatta la competizione. Delusioni ne ha avute tante. Comunque è stato stimato e apprezzato, i suoi giovani attori lo amavano molto. Il rapporto con Napoli era conflittuale, amava la sua città ma ne vedeva tutti i difetti. Diceva: “Io sono napoletano per scelta”, era di cultura napoletana, innamorato della storia di questa grande capitale. Napoli era ovunque, anche nei suoi romanzi, però non le risparmiava le critiche. Amava la commedia dell’arte, Viviani, i grandi scrittori. La sua frase era: “Napoli ha una marcia in più nel bene e nel male”».
Una vita per l’Arte in tutte le sue espressioni. Una storia, un patrimonio culturale da non disperdere, una memoria da custodire gelosamente, mentre la città, troppe volte distratta e particolarmente attratta da nomi che nulla hanno a che fare con la sua tradizione e cultura, trascura i suoi figli migliori. Solo grazie all’attenzione, alla sensibilità di alcuni suoi cittadini, a gran fatica, impiegando qualche anno riesce a ricordare che vale la pena imprimere un nome con tutta la sua storia, che è storia comune, su di una targa affinché nulla vada perso.