Mi sono sempre chiesta, e negli ultimi giorni mi interrogo sempre più, fino a che punto sia possibile separare le opere che abbiamo amato dai loro creatori. Alla base di ogni approccio critico c’è sempre il contesto: il momento storico, socio-economico, l’ambiente culturale dai quali scaturisce la letteratura. Consideriamo parte del contesto anche il filtro personale attraverso il quale un autore traduce la sua idea in parole sulla pagina, perché nessuna storia può essere raccontata senza la particolare urgenza di condividere una visione o una riflessione sul mondo. Non è, però, solo il momento in cui un libro è stato scritto a contare. Ogni volta che il libro viene letto, ogni volta che quella storia rivive, passa attraverso il filtro personale del lettore che può trovarsi anche molto lontano nel tempo e nello spazio rispetto all’autore. E quanto peso e quanta importanza assume, a questo punto, la relazione che si instaura tra il mondo del testo e il mondo reale di cui il lettore fa esperienza?
La letteratura non esiste in uno spazio neutro e per questo è sempre soggetta a essere riletta, reinterpretata, manipolata, messa in discussione. Succede con i grandi classici del passato e può e deve succedere, senza snobismo intellettuale, anche con i capisaldi della narrativa di genere contemporanea. Uno di questi è indubbiamente Harry Potter. Per le persone della mia generazione, tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni 2000, Harry Potter voleva dire una cosa sola: casa. Come il protagonista, la scoperta del mondo magico ci ha salvati dal piattume di una vita babbana vissuta senza mettere mai in dubbio le convenzioni.
Ho passato i migliori anni della mia adolescenza a discutere di teorie strampalate sul possibile evolversi delle avventure di Harry: avevo un quaderno in cui appuntavo tutti gli indizi e le intuizioni che riuscivo a raccogliere. Alcuni di questi si trovavano sul sito web di J.K. Rowling, la cui homepage mostrava all’epoca una scrivania disordinatissima. Spostando gli oggetti sulla scrivania, ogni tanto si trovavano criptiche indicazioni su ciò che sarebbe venuto dopo. All’epoca, internet era lentissimo e ogni telefonata faceva saltare la connessione: riuscire a navigare senza intoppi era una vera impresa e dovevi selezionare con grande cura le cose che non potevi fare a meno di cercare online. Insomma, doveva importarti veramente parecchio del destino del maghetto per usare la tua preziosa ora di navigazione a riordinare una scrivania digitale. L’esperienza Harry Potter rappresenta un canale ininterrotto con il nostro passato, la nostalgia di un tempo in cui la speranza non aveva ancora lasciato il posto al cinismo e il coraggio non prevedeva l’ipotesi del compromesso. Pur di sentirci ancora così ce lo siamo tatuato sulla pelle, continuiamo a consumare film, a collezionare riedizioni e gadget, a mangiare snack a tema e a ripetere il test dello smistamento su Pottermore.
Harry Potter, negli anni, si è trasfigurato da libro a oggetto-libro, da best seller per ragazzi a un gigantesco franchise della nostalgia da 25 miliardi di dollari, che identifica come target gli adolescenti di ieri. Da magia a illusionismo. Prendere atto di questa deriva a 23 anni dall’uscita de La pietra filosofale è fondamentale per cercare di capire quanto possiamo astrarre l’opera dall’operato della sua creatrice, dalla personalità pubblica sempre più controversa di J.K. Rowling. Le sue ultime dichiarazioni portano chiunque ne abbia seguito e ammirato gli scritti a domandarsi come si concilino le opinioni transfobiche della scrittrice con la diversità come valore portante della saga. Sono molteplici, infatti, le chiavi di lettura queer dell’opera. Prima fra tutte, la frattura tra mondo magico e non-magico che è anche la frattura tra quella che viene stabilita come norma (il mondo babbano) e tutto ciò che sta al di fuori di essa.
La più grande preoccupazione dei Dursley, i parenti più prossimi di Harry, è che si venga a sapere della sua “anormalità”. Il ragazzino deve fingere tutto il tempo di essere qualcuno che non è per quieto vivere, come succede in molti casi a chi è costretto a reprimere il proprio orientamento e la propria identità sessuale. Ne La pietra filosofale, facciamo il nostro primo incontro con Harry in un ripostiglio e questo, simbolicamente, si ricollega al concetto di coming out (of the closet). In quest’ottica, tutta la saga è una celebrazione della queerness, dello “strano”, dell’essere se stessi a ogni costo, della vacuità delle apparenze. Il mondo magico di Harry Potter abbatte le barriere della discriminazione di genere e della discriminazione razziale come la conosciamo nel mondo babbano: Hogwarts è un vero e proprio calderone multiculturale. La saga ci regala, inoltre, uno dei più amati personaggi della letteratura per l’infanzia, Hermione Granger: ragazza, e poi donna, intelligente e coraggiosa, fonte d’ispirazione per centinaia di migliaia di lettrici stanche del miope modello femminile generalmente proposto nella fantasy, la Mary-Sue, e avide di vedersi rappresentate in letteratura. Nonostante ciò, la fortunata opera della Rowling rompe veramente gli schemi solo a un livello superficiale.
Harry Potter è intriso di eteronormatività e la crescita del protagonista segue pedissequamente la struttura del viaggio dell’eroe (teorizzata e messa su carta da Campbell ne L’eroe dai mille volti). Basta soffermarsi un attimo a riflettere. Tutti i nuclei familiari della saga, magici e non-magici, sono composti da coppie eterosessuali, la presenza dell’omosessualità viene cancellata dal silenzio. In famiglia, a lavorare sono sempre gli uomini, i papà: le donne assumono quasi esclusivamente il ruolo di cura della casa e dei figli. Penso a zia Petunia, alla signora Weasley, a Narcissa Malfoy. La maternità ricopre un ruolo fondamentale in Harry Potter. Mi spingerei quasi a definirlo un pilastro della saga. È il sacrificio di Lily a fornire a Harry il vantaggio su Voldemort. La donna che lo ha messo al mondo muore affinché lui possa vivere. Lily è il tropo della Madre: incarna la purezza e l’amore disinteressato, trascende il genere al punto da fondersi quasi con il figlio. Una delle frasi che più spesso Harry si sente rivolgere è Hai gli occhi di tua madre.
Nell’universo intriso di simbolismi di Rowling, ancora una volta, non possiamo ignorare il fatto che gli occhi siano collegati direttamente all’anima. Harry ha gli occhi di Lily e ne conserva anche lo spirito. A pronunciare questa frase è anche Severus Piton durante la sua drammatica e commovente uscita di scena ne I doni della morte. Piton, che amava Lily di una passione candida e innocente, rivela con il suo ultimo respiro d’aver amato in Harry il riflesso di sua madre. Da questo punto di vista, il suo rapporto con il ragazzo è problematico perché il Professore di Pozioni non lo ha mai accudito come un figlio. Era allo stesso tempo attratto e repulso da lui perché in lui vedeva, sì, l’amata ma anche la prova tangibile dell’amore carnale di lei per un altro uomo. Moltissimi appassionati della saga si sono chiesti cosa sarebbe successo se Harry fosse nato femmina, somigliando ancora di più a sua madre. Piton l’avrebbe desiderata, una volta adulta? Mentre non credo che la domanda in sé e per sé sia importante, mi interessa notare un aspetto. L’eteronormatività nel mondo di Harry Potter è talmente radicata che i fan non si sono chiesti se Piton sarebbe mai stato in grado di sviluppare un interesse romantico nei confronti di Harry. Per formulare questa ipotesi è stato necessario ipotizzare innanzitutto un cambio di sesso del protagonista.
L’unico personaggio omosessuale della saga è Albus Silente e, per il coming out, abbiamo dovuto aspettare la sua morte e la fine della pubblicazione dei libri. J.K. Rowling ha rivelato l’omosessualità del preside di Howgarts solo a posteriori, nel 2007, durante una sessione online di domande e risposte con i fan della saga. All’interno dei volumi non se ne fa cenno, nonostante gran parte de I doni della morte sia dedicata a un esercizio metanarrativo: nel libro, Rita Skeeter scandaglia la vita privata riservatissima del mago in una biografia-scandalo dal titolo Vita e bugie di Albus Silente, sottolineando, tra l’altro, il legame con il mago oscuro Grindelwald, eppure questo particolare le sfugge.
Le donne che occupano ruoli di spicco o posizioni di potere nel mondo magico sono spesso sole e sempre subordinate a un capo maschio: McGranitt con Silente, Umbridge con Cornelius Caramel, Hermione con Harry, Bellatrix Lestrange con Voldemort. Tutte le donne Auror (i corpi speciali della polizia magica che combattono i crimini dei maghi oscuri) che conosciamo nel corso dei libri vanno incontro a una fine atroce: Ninfadora Tonks resta uccisa durante la battaglia di Hogwarts e Alice Paciok (la madre di Neville) impazzisce sotto tortura. Né Hermione né Ginny Weasley riescono mai a estrarre la spada di Godric Grifondoro, nonostante si battano con coraggio e dimostrino di essere degne rappresentanti della casa quanto Harry e Ron.
Un altro aspetto problematico della eteronormatività in Harry Potter sta proprio nel rapporto tra Harry e Ron. Il viaggio dell’eroe prevede, infatti, che l’eroe sia uno solo e che incarni in sé tutti i valori della mascolinità. Harry è impavido, è brillante ed è un guerriero. A partire dai titoli più maturi della saga, comincia anche a esercitare un certo fascino sulle sue coetanee. È rispettato dai suoi superiori e invidiato dai suoi pari. Eccelle nello sport. Rappresenta l’unica possibilità di salvezza del suo mondo. Niente può e deve mettere in dubbio la mascolinità del protagonista. Ron Weasley, dunque, assume spesso il ruolo di contraltare. Capace di grande coraggio e profondamente leale, è l’eterno secondo, spesso in balia delle sue emozioni, gli aspetti della sua personalità di quando in quando evidenziati come femminili: la sua paura viscerale per i ragni viene ridicolizzata, al ballo della scuola indossa una palandrana che lo fa somigliare a sua zia. Nei film, il fatto che Ron esista per fare da paragone alla tensione virile estrema di Harry Potter è ancora più evidente: viene praticamente ridotto a macchietta morale e spalla comica, spogliato di qualunque complessità. Il suo rapporto con Hermione evolve in una storia d’amore potenzialmente infelice perché sono entrambi outsider, entrambi vittime dell’eteronormatività patriarcale che vuole gli uomini eroi senza macchia e le donne caregiver subordinate. Il mondo queer della magia ricade negli schemi del nostro grigio mondo babbano.
Alla luce di questa analisi, possiamo rileggere le dichiarazioni di Rowling mettendole in prospettiva. Quando ha deciso di rivelare l’omosessualità di Silente a posteriori, il germe del suo pensiero conservatore era già visibile. La scrittrice ha messo in piedi un universo che, in superficie, celebra le diversità ma ne tace accuratamente alcune. In un editoriale del Washington Post uscito nel 2019 sul tema, il giornalista Richard Morgan scriveva: Rowling non capisce quanto sia doloroso per le persone queer vedere una persona etero apertamente orgogliosa della propria vaghezza. Nel mondo reale, a noi non viene permesso. Ecco, oggi, leggendo i tweet e gli articoli di approfondimento nei quali l’autrice individua negli attivisti per i diritti trans una minaccia ai diritti conquistati dalle donne e nei bagni unisex o nel riconoscimento delle donne trans come donne a tutti gli effetti una sconfitta per l’umanità, viene da chiedersi se quella vaghezza non nascondesse qualcosa di più.
Nel frattempo, è ancora possibile una lettura queer di Harry Potter? Come Daniel Radcliffe (il volto di Harry nei film) scrive in risposta ai tweet di Rowling sul sito web di Trevor Project, a sostegno della comunità LGTBQ+, se questi libri vi hanno insegnato che l’amore è la più grande forza dell’universo, capace di superare tutto; se vi hanno insegnato che la forza risiede nelle diversità, che le ideologie di purezza portano all’oppressione dei più vulnerabili; se credere che un personaggio in particolare sia trans, non binario, o gender fluid, che sia gay o bisessuale; se in queste storie avete trovato qualcosa che vi faceva vibrare in sintonia e che vi ha aiutato in un momento qualsiasi delle vostre vite… allora questo è quello che c’è tra voi e il libro che avete letto e quel legame è sacro.
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