Sono Oppenheimer e Povere creature! ad aver troneggiato ai Premi Oscar 2024, rispettivamente con sette e quattro statuette su tredici e undici candidature. La novantaseiesima edizione delle ambite premiazioni hollywoodiane, tenutasi al Dolby Theatre di Los Angeles il 10 marzo, era attesa più che mai quest’anno, specialmente in Italia dove per la prima volta dopo anni di abbonamento Sky si è deciso di trasmetterla in diretta tv su Rai1. Conduttore dello speciale, Alberto Matano, al cui fianco si sono alternati una serie di personaggi e opinionisti tra i quali Claudio Santamaria, Claudia Gerini, Stefania Sandrelli, Gabriele Muccino e Ambra Angiolini. Interessante che per la prima volta si è scelto di far iniziare la cerimonia un’ora prima rispetto agli anni precedenti. Insomma, abbiamo potuto assistere in diretta (almeno finché le forze e gli occhi ce lo hanno permesso) a uno degli eventi cinematografici più importanti su scala mondiale che continua a regalarci momenti indimenticabili e pellicole di livello altissimo.
Il film più premiato è, come già detto, Oppenheimer, regia di Christopher Nolan. La storia del celebre fisico statunitense J. Robert Oppenheimer, scienziato che durante la Seconda guerra mondiale lavorò al Progetto Manhattan e allo sviluppo della bomba atomica, si è aggiudicata le statuette per miglior film, miglior regista, miglior attore a Cillian Murphy, miglior attore non protagonista a Robert Downey Jr., miglior fotografia a Hoyte van Hoytema, miglior montaggio a Jennifer Lame e miglior colonna sonora originale a Ludwig Göransson. Vittoria comunque non scontata se si pensa a candidati del calibro di Povere creature! di Yorgos Lanthimos, Anatomia di una caduta di Justine Triet o Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, il quale non ha portato a casa nessuna statuetta e un po’ dispiace poiché meritava davvero.
Oltre agli svariati premi tecnici – Nolan è Nolan, pure quando ha fatto le sue nolanate – nulla da dire nemmeno su Cillian Murphy, anzi, era ora che un attore del suo spessore ottenesse un riconoscimento simile. La sua interpretazione del padre della bomba atomica è stata sentita e studiata nei minimi particolari, dettagliando il ritratto di uno scienziato ma anche di un uomo intrappolato nel desiderio di conoscenza e nei più atroci dilemmi morali.
Anche Robert Downey Jr., per il ruolo di Lewis Strauss, ha avuto il suo meritato momento di gloria. Tolta l’armatura di Iron Man, l’attore ha voluto ringraziare la sua terribile infanzia e sua moglie per averlo trovato come un cucciolo abbandonato e riportato in vita. Curioso che, in questo clima di tensione a causa dei conflitti in Ucraina e nella Striscia di Gaza, a trionfare sia stato un film basato sulla creazione di un’arma nucleare. Molti, difatti, i manifestanti che gridavano il cessate il fuoco nei pressi del teatro e anche molte delle stesse star hanno sfilato con una spilla rossa come forma di sensibilizzazione.
Tanti coriandoli e grida di giubilo per la vittoria di Emma Stone come miglior attrice. Non era semplice battere Lily Gladstone o Sandra Hüller ma la sua performance in Povere creature! è andata davvero oltre i confini dell’immaginabile. Bella Baxter, uno dei ruoli femminili più complessi e sfaccettati degli ultimi tempi, è una donna appena nata e libera dai condizionamenti sociali, pregna di desiderio di scoperta, avventura, contro stereotipi e tabù. Una personificazione del libero arbitrio e del concetto di esperienza come cardine dell’esistenza di ogni individuo. Grazie Emma Stone, grazie Yorgos Lanthimos. Direi anche grazie Mark Ruffalo, che anche se non ha ottenuto il premio per miglior attore non protagonista (l’avrebbe meritato anche Willem Dafoe, a dirla tutta) resterà a lungo nei nostri cuori.
Miglior sceneggiatura non originale va a Cord Jefferson per American Fiction, mentre quella originale se l’aggiudicano invece Justine Triet e Arthur Harari con Anatomia di una caduta, il gelido thriller legale che segue le vicende di una donna accusata di aver ucciso il marito. Oltre ai premi già citati, Povere creature! di Lanthimos ha trionfato altresì per miglior scenografia, migliori costumi e migliori trucco e acconciatura. E che gli vuoi dire: le atmosfere tra grottesco e assurdo, in un tripudio di colori e volant, fanno letteralmente da padrone (sorry Barbie).
A tal proposito, c’era da aspettarsi che la presenza di Barbie si sarebbe risolta con blandi riconoscimenti. Sia chiaro, non per il film in sé, meritevole sotto svariati punti di vista, ma per la maggioranza di pellicole nettamente superiori in gara. Già l’assenza di Margot Robbie e Greta Gerwig nelle nomination come miglior attrice e miglior regista aveva generato infinite polemiche ma la risposta è presto detta: c’era di meglio. Pure di Ryan Gosling, onestamente, c’era di meglio ma che si risparmiassero le inutili e sterili accuse di sessismo, considerato che a controparte dell’attore c’era comunque America Ferrera in gara per miglior attrice non protagonista (vinto poi da Da’Vine Joy Randolph per il suo splendido ruolo in The Holdovers, di Alexander Payne). Concentriamoci piuttosto su quale potere mistico abbia I’m Just Ken, per ipnotizzarci ogni volta che parte. A ogni modo, il film tributo alla bambola più famosa del mondo si è aggiudicato miglior canzone originale con What Was I Made For? (musiche e testo di Billie Eilish e Finneas O’Connell), confermando gli esiti dei Golden Globe. Spettacolare la performance live della Eilish durante la serata (outfit a parte).
Se i migliori effetti visivi, per l’Academy, sono quelli di Godzilla Minus One (Takashi Yamazaki, Kiyoko Shibuya, Masaki Takahashi e Tatsuji Nojima), non c’è alcun dubbio che il miglior film d’animazione sia, per la seconda volta nella sua carriera, Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki. Dopo La Città Incantata, il monopolio della Disney Pixar è sempre stato ferreo ma adesso è diverso. Adesso, al di là della crisi Disney che per il suo centenario ha deciso di autosabotarsi con Wish, Miyazaki ha davvero sfornato un capolavoro summa della sua intera filmografia e forse per questo potenzialmente la sua ultima opera (lo dice ogni volta ma ora chissà). Un’ode all’animazione giapponese, un’intima e allegorica confessione di se stesso e della sua carriera che non poteva in nessun caso essere ignorata.
Niente da fare, purtroppo, per l’Italia di Matteo Garrone. Il suo Io Capitano – la storia della violenta traversata di due adolescenti senegalesi per raggiungere l’Europa – non ce la fa contro l’ottimo La zona d’interesse (Regno Unito, Polonia), per la regia di Jonathan Glazer, dalla tematica altrettanto forte, quella dell’Olocausto. Il film ha inoltre conquistato il miglior sonoro. Non è passata inosservata, a tal proposito, la gaffe di Massimo Ceccherini, cosceneggiatore assieme a Garrone, il quale ha commentato che la vittoria sarebbe andata agli ebrei perché vincono sempre loro. L’attore e regista si è prontamente scusato dicendo di essersi spiegato male, che intendeva che temi come quello degli ebrei non è la prima volta che vincono. Vabbè.
Concludiamo con La meravigliosa storia di Henry Sugar (Wes Anderson) come miglior cortometraggio, War Is Over! Inspired by the Music of John & Yoko (Dave Mullins) come miglior cortometraggio d’animazione, 20 Days in Mariupol (Mstyslav Černov) come miglior documentario e The Last Repair Shop (Kris Bowers e Ben Proudfoot) come miglior cortometraggio documentario.
E voi cosa pensate di quest’ultima edizione degli Oscar?