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“Barbie”, un film che sta scrivendo la storia del cinema

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
31 Luglio 2023
in Cinema
Tempo di lettura: 5 minuti
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I’m a Barbie Girl in a Barbie World, cantavano gli Aqua e, adesso, quel fantastico mondo di plastica possiamo vederlo prendere vita su pellicola. L’attesa è finita, nelle sale è boom per Barbie, il film evento diretto e sceneggiato da Greta Gerwig e Noah Baumbach. Si tratta del primo adattamento cinematografico live action della fashion doll più famosa della storia, creatura di Ruth Handler e della Mattel – abbiamo già ripercorso la sua evoluzione nel tempo qui –, il giocattolo per antonomasia che ha saputo inventare un nuovo modo di giocare per le bambine, finalmente in grado di immedesimarsi in un personaggio adulto – non più un bambolotto – e proiettare i propri desideri e ambizioni, non solo quelli relativi alla maternità.

Margot Robbie (e chi sennò) è il volto di Barbie stereotipo, quella perfetta, che a tutti noi viene in mente quando pensiamo a una qualsiasi bambola. È un po’ la regina del magico universo di Barbie Land, sebbene ogni Barbie abbia la propria specificità, ciascuna nella sua splendida doll house, con piscine, camper e automobili. C’è Barbie presidente, dottoressa, premio Nobel e addirittura Barbie stramba, quella che sostanzialmente incarna tutte le creative torture – spaccate, facce dipinte, discutibili acconciature – fatte dalle bambine alle bambole. E poi, ovviamente, ci sono i Ken.

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Sappiamo tutti che sono stati creati in funzione di Barbie: il loro scopo è quello di esserne i fidanzati, a prescindere dalle loro caratteristiche che non riguardano neanche vere e proprie carriere. Ryan Gosling interpreta per l’appunto Ken spiaggia, l’iconico della Mattel la cui unica funzione è quella di fare il figo al mare. Tutto bellissimo, giorno dopo giorno. Fino a quando a Barbie non iniziano ad accadere cose strane. Fa pensieri di morte, ha la cellulite e i suoi iconici piedini rialzati sulle punte diventano piatti. Per risolvere la situazione non le resterà che introdursi nel mondo reale e trovare la bambina che attualmente sta giocando con lei. Ma non sarà da sola.

Nel tempo, la Gerwig ha dimostrato di essere un’autrice estremamente capace, con una poetica personalissima ma anche un forte desiderio di mettersi in gioco. È presto fatto con questa nuova pellicola, dove la regista, assieme al compagno di vita e di lavoro, si getta a capofitto nel mondo camp, eccessivo e super rosa di Barbie, un film frivolo solo all’apparenza, invece intelligente e soprattutto molto furbo. Ricolmo di battute, citazioni nostalgiche e riferimenti alla cultura pop, tratta più di una tematica (forse troppe) ma la principale è senza dubbio il concetto di femminilità.

Tramite l’ironia e l’autoironia, Barbie accende il dibattito su temi confezionati di modo da essere accessibili a tutti (attenzione, non è un film rivolto ai bambini), quali sessismo, parità di genere, patriarcato, mascolinità tossica, oppressione femminile, machismo, e vogliamo ricordare a una buona fetta di pubblico che non c’è per forza bisogno del dualismo capolavoro-stupidata. Può esistere un film divertente, talvolta anche emozionante e che tra una battuta e l’altra è in grado di lanciare dei messaggi. Tutto qua. Il vero capolavoro sta forse nella straordinaria campagna di marketing quasi senza precedenti.

Per mesi prima dell’uscita in sala, Barbie era già dappertutto, invadendo ogni ambito del merchandising. Con la distribuzione in contemporanea (Italia a parte) a Oppenheimer, nuovo prodotto di Nolan anch’esso attesissimo, nasce il cosiddetto Barbienheimer, trend che vede la sovrapposizione di due film dai toni completamente opposti. Ecco che le sale si popolano di spettatori in rosa, per poi passare al nero spesso nella stessa giornata. In Italia, poiché Oppenheimer giungerà il 23 agosto, per il momento è boom di rosa. Una barbiemania mai vista prima nella storia del cinema.

La rivoluzione di Barbie è subito mostrata nell’incipit del film, tramite un’esilarante citazione a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick. Ma ciò che salta all’occhio, inutile dirlo, è il worldbuilding di Barbie Land: incredibilmente rosa e plasticoso, tutto è finto, dalla sabbia al mare, e le leggi della fisica sono quelle dei giochi delle bambine. Anche i dialoghi, curatissimi, si alternano tra umorismo cinico e infantilismo. Vige il matriarcato, nella convinzione di aver in questo modo (sbagliato) risolto ogni disparità di genere anche nel mondo reale. Questo, infatti, non è un film di rivoluzione femminista, piuttosto è una riflessione sul concetto di genere e sullo scontro tra generi. L’uso delle Barbie, in realtà, è anche un po’ un paradosso, se si pensa che la bambola, nel tempo, è stata sia simbolo di empowerment femminile che oggetto di profonde controversie per il suo canone estetico di perfezione irraggiungibile e a volte addirittura tossico. Cosa che, fortunatamente, negli anni è stata sdoganata dall’introduzione di bambole politicamente corrette, con corpi più realistici e caratteristiche fisiche più eterogenee.

Il film gioca tantissimo sugli stereotipi e sul loro ribaltamento. Fa riflettere sulle rappresentazioni femminili nei media – quando Margot Robbie lamenta di sentirsi brutta ed Helen Mirren, nel ruolo di narratrice, rompe la quarta parete ricordando al pubblico chi è che sta dicendo quella battuta – e anche il tipo di donna forte mostrata, in realtà, è frutto di stereotipi. Evidente però che la rappresentazione dei Ken sia quella maggiormente macchiettistica. Lo comprendiamo poiché si tratta di Ken, creato “dalla costola di Barbie”. Se non fosse che è lo stesso anche per gli altri personaggi maschili non facenti parte di Barbie Land e, forse, questa esagerazione la si poteva gestire meglio.

Per quanto sia già storia, il film presenta difetti che non possiamo ignorare. Il più evidente è che è davvero troppo didascalico, con monologhi al limite della retorica che tolgono quella scaltrezza e ironia di cui si era fatto vanto nella prima parte. Ancora, il voler citare troppe tematiche senza approfondirle realmente e, per concludere, un finale parecchio banale che vuole suggerire una sorta di finto riscatto maschile. Quanto alla critica che il film è troppo rosa, mi limito a dire che credo a nessuno verrebbe in mente di criticare Il cavaliere oscuro perché troppo nero.

Barbie vanta un cast stratosferico, con nomi del calibro di America Ferrera, Will Ferrell, Michael Cera, Rhea Perlman, Connor Swindells, Emma Mackey, Simu Liu, Issa Rae, Scott Evans, Ncuti Gatwa, Kate McKinnon e molti altri. Per quanto Margot Robbie sia stata eccezionale, però, il Ken di Ryan Gosling resterà per sempre nell’immaginario collettivo.

Nel film, inoltre, sono presenti svariati easter-egg. Citiamo le Barbie fuori produzione, i cameo di John Cena e Dua Lipa ma soprattutto quello di Barbara Handler, oggi ottantaduenne, la bimba che all’epoca ispirò sua madre Ruth nell’invenzione di Barbie. Grande plauso va poi alla colonna sonora – la prima ricerca su Google – tra l’iconica Just Ken e i brani di Dua Lipa e Billie Eilish. Assieme al comparto visivo mozzafiato, non ci stupiremmo di trovare qualche candidatura agli Oscar 2024.

Che piaccia o no, Barbie sta scrivendo una pagina di storia cinematografica, esordendo in Italia con un incasso di quasi 800 milioni in sole due settimane – più del quintuplo rispetto al budget iniziale. Un record senza pari, considerato il tipo di film e il fatto che sia diretto da una donna (vorremmo non specificarlo ma purtroppo è una cosa che fa ancora notizia). Fresco, divertente e cinematograficamente spettacolare, merita la visione in sala nonostante i suoi difetti. E, ricordate, rigorosamente in rosa.

Prec.

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Alessandra Trifari

Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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