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“Inside Out 2”: un sequel più maturo, con un messaggio forte

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
25 Luglio 2024
in Ciak!
Tempo di lettura: 4 minuti
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Sappiamo bene, ormai, che Disney Pixar non è nel suo periodo migliore. Già Lightyear – La vera storia di Buzz aveva convinto molto poco lo spettatore, mentre Elemental, per quanto superiore e più contemporaneo anche nei messaggi, non è sicuramente all’altezza rispetto a capolavori come Coco o Soul. Insomma, non ci si sorprende più di tanto che la nota major stia cercando di spianarsi la strada davanti e cadere sul morbido, battendo sui brand che vanno forte. Ecco in prossima uscita progetti come Toy Story 5 o Oceania 2 che, per quanto riflettano il concetto di crisi creativa, non possiamo dire non siano attesi.

E atteso era senza dubbio Inside Out 2. Si ritorna dunque alle origini, riorganizzando un prodotto andato fortissimo nel 2015 e perfetto per una momentanea botta di autostima. Il rischio di fallire c’era, ovviamente, ma possiamo asserire con certezza di aver finalmente rivisto un po’ di Pixar d’oro, capace di accorpare in modo fantastico un’animazione magistrale e una sceneggiatura ben curata. Il film è infatti divertentissimo e al tempo stesso molto profondo, adatto ai più giovani ma anche agli adulti che conservano ancora con cura il proprio fanciullino.

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Tornano sullo schermo Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto, le cinque emozioni primarie della mente della giovane Riley. La nostra protagonista, però, adesso è cresciuta, ha compiuto tredici anni e adolescente si accosta a un altro vocabolo: trasformazione. La sua mente si affolla di nuove emozioni, arrivano Imbarazzo, Invidia, Ennui (Noia) e, protagonista più di tutte, lei, quella che da questo momento accompagnerà le giornate di ogni singolo individuo sulla faccia della Terra: Ansia.

Le dinamiche introdotte nel primo capitolo, dunque, si arricchiscono, si evolvono e si nota la maturazione emotiva non solo dei personaggi ma del film stesso. Interessante notare le relazioni che si instaurano tra il vecchio gruppo di emozioni, ormai stabili e affiatate, e il nuovo, piombato all’improvviso – nella pellicola è paragonato a una vera e propria ristrutturazione – e non subito ben accetto. Le voci italiane dietro i personaggi sono di Marta Filippi per la piccoletta Invidia; Federico Cesari per Imbarazzo, gigante dal cuore d’oro perennemente nascosto nel cappuccio della felpa; Deva Cassel, perfetta come Ennui, questa dinoccolata figura un po’ bohémienne, che conferirà a Riley il potere del sarcasmo. Infine Pilar Fogliati è Ansia. Non una doppiatrice di professione e si sente, ma tanto di cappello per essere riuscita in un ruolo non semplice, fatto di battute e dialoghi sparati a mitragliatrice.

Ansia è un’antagonista ma non una villain. Al contrario dei precedenti lungometraggi dove si stava preferendo un concetto di antagonismo meno concreto e più intimo, qui è presente una minaccia palpabile a tutti gli effetti, seppur non cattiva. Ansia crede di aiutare Riley nella gestione della sua vita e agisce davvero in buona fede mettendo le sue emozioni primarie da parte, rendendole emozioni represse. Questo perché comincia a farsi strada nella protagonista un timore ben preciso, quello di ritrovarsi ad affrontare il liceo senza le sue amiche storiche.

La ragazzina, di cui seguiamo la vita in maniera molto più approfondita, sperimenta i primi conflitti con le amicizie e la ricerca di sé nella società, esperienze cardine nel processo di crescita e autodeterminazione. Ed è qui che prende vita Ansia. È il timore di un contesto nuovo e sconosciuto, di restare da soli che spinge a fare qualsiasi cosa per piacere e sentirsi accettati dagli altri.

Con coraggio, il film affronta tematiche complesse come l’angoscia, il panico, l’inadeguatezza; le cosiddette malattie sociali, quelle di cui siamo affetti tutti noi oggi a causa di una costante pressione, soprattutto i giovani. Mentre nella sua mente è in corso un uragano, da fuori vediamo una semplice ragazzina alle prese con problemi apparentemente superficiali. Ma non per una tredicenne. Inside Out 2 ci ricorda che l’adolescenza è uno dei periodi più incasinati della vita. Che un attacco di panico è un attacco di panico sempre, a qualsiasi età, e come tale non va sminuito solo perché chi lo vive non ha una famiglia a carico, un lavoro precario e non paga le bollette.

Attraverso un’ottima regia – sì, oramai quella di un film di animazione è una vera e propria regia, basata sui prodotti con attori in carne e ossa – Inside Out 2 rimanda ai concetti chiave del primo capitolo (non sottovalutare le emozioni, anche quelle ritenute negative), molto simili per certi versi ma più maturi. Ci viene detto che tutte le emozioni sono necessarie e che lo sviluppo di sé e della propria personalità non è così semplice e netto, è tremendamente sfaccettato. Noi esseri umani siamo sfaccettati, pieni di contraddizioni. Un connubio di luci e ombre che si riassume nello splendido concetto delle convinzioni, le quali generano un albero del senso di sé. Va bene sentirsi una brava persona e a volte va bene anche non sentirsi all’altezza. È la vita.

Come tutti i film, c’è da dirlo, non è esente da difetti e forse un ritmo troppo frettoloso nella seconda parte si nota (ma stiamo davvero scavando). Come si nota la poca considerazione data ad alcune emozioni, prima fra tutte Invidia, abbastanza tralasciata e che avrebbe meritato una maggiore caratterizzazione, trattandosi di un’emozione decisamente non semplice. Sono in molti, inoltre, a lamentare la mancanza di un discorso sessuale, come le prime cotte – che il capitolo uno aveva invece introdotto – cosa che a tredici anni è abbastanza nella norma. Sicuramente sarebbe stato un discorso più che interessante, ma va ricordato che Inside Out resta un film di animazione Disney Pixar rivolto alle famiglie, spingersi troppo oltre poteva risultare pericoloso. Davvero apprezzati, invece, i tempi comici, le tecniche di animazione parecchio variegate, dal 2D allo stile tipico dei videogiochi.

Insomma, speriamo davvero che questo film possa essere d’aiuto a chi quelle emozioni le sta scoprendo ma anche agli adulti che sanno immedesimarsi e ricordare com’erano. A ricordare soprattutto che ogni emozione non va solo conosciuta ma controllata, al fine di raggiungere la consapevolezza delle proprie imperfezioni ed evitare di farsi sopraffare.

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Alessandra Trifari

Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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