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“Il ragazzo e l’airone”: l’ultimo capolavoro di Miyazaki?

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
6 Febbraio 2024
in Ciak!
Tempo di lettura: 4 minuti
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Una delle caratteristiche per cui continuiamo ad amare Hayao Miyazaki è che ci convince ogni volta che quello sia il suo ultimo film. E poi non lo è. Torna, Miyazaki, sorprendendoci ed emozionandoci con una nuova incredibile avventura animata. Forse, però, con Il ragazzo e l’airone, distribuito in Italia da Lucky Red il primo gennaio e vincitore del Golden Globe come miglior film d’animazione, sarà diverso. Stavolta, potrebbe davvero essere il suo ultimo capolavoro.

Abbiamo già affrontato la vita e la carriera artistica di Miyazaki (soprannominato nel documentario di Kaku Arakawa Never-Ending Man), il Walt Disney giapponese, maestro e poeta dell’animazione nonché fondatore del grande Studio Ghibli. Da qui sono nati lungometraggi ormai cult in tutto il mondo, da Princess Mononoke a Il castello errante di Howl e La città incantata. Quest’ultimo, unico anime nella storia a vincere l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e l’Oscar per miglior film d’animazione nel 2003, contribuendo a sdoganare definitivamente il cinema d’animazione orientale ritenuto da sempre come una realtà di “serie b”. Il suo Si alza il vento, uscito nel 2013, era stato annunciato come l’ultimo film vista l’età avanzata del regista e la sua volontà a volersi ritirare dalle scene. Poco dopo però Miyazaki aveva dichiarato di star lavorando a un altro progetto. Ed eccoci qui, con Il ragazzo e l’airone.

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Il ragazzo del titolo è Mahito, dodicenne il cui mondo sembra ormai totalmente destabilizzato: non solo l’enorme dolore per la perdita della madre in un incendio durante la Guerra del Pacifico, ma anche il secondo matrimonio del padre con la sorella della sua defunta moglie, la quale aspetta persino un bambino. Mahito si trasferisce dunque nella tenuta di campagna della zia-matrigna, ritrovandosi a fare inevitabilmente i conti con una nuova vita. Qualcosa però attira la sua attenzione. Un airone cenerino in grado di parlare lo conduce in un mondo fantastico, alla ricerca della madre che sostiene essere ancora viva. Inizia per Mahito un viaggio al di là di qualsiasi immaginario.

Il film è liberamente ispirato al romanzo di Genzaburō Yoshino E voi come vivrete? del 1937, fondamentale per Miyazaki proprio perché letto a seguito della morte di sua madre. In un interessante gioco di corrispondenze, anche lo stesso Mahito trova nel film una copia del libro che si rivelerà essere molto importante. Ma non è tutto: sia l’incendio che il secondo matrimonio del padre con la cognata (cosa non rara per l’epoca) fanno parte della vita dell’autore. Questi pochi aneddoti bastano per suggerirci quanto di Miyazaki ci sia all’interno de Il ragazzo e l’airone. Quanto sia intimo e prezioso. Non che Si alza il vento non lo fosse ma stavolta Miyazaki firma un’opera unica che racchiude tanto della sua esistenza quanto della sua carriera ed è per questo che si vocifera possa essere davvero l’ultima.

Enigmatico e affascinante, il film racchiude in sé tutti gli stilemi tipici a cui Studio Ghibli ci ha oramai abituati: un giovane protagonista alle prese con un viaggio di formazione in luoghi onirici popolati da assurde e buffe creature. Per l’enorme quantità di metafore e allegorie è molto probabile che uno spettatore medio possa alzarsi ai titoli di coda ed esclamare “bellissimo…ma che diamine vuol dire?”. Beh, il primissimo pregiudizio – specie nella società occidentale – è senz’altro quello di partire dal presupposto che un film d’animazione sia quasi sempre indirizzato perlopiù a un pubblico infantile. Niente di più sbagliato. Va ricordato che l’animazione non è, come molti credono, un genere bensì una tecnica e come tale può essere commedia, dramma, orrore, fantasy e così via. Relegarla a un pubblico di bambini è un grande limite.

Miyazaki, rinnegando saldamente la computer grafica, utilizza la potenza dell’animazione tradizionale per creare un intricato labirinto colmo di simbolismi e chiavi di lettura diverse. L’elaborazione del lutto, la crescita personale e il senso dello stare al mondo sono il motore della storia, sentimenti e consapevolezze che Mahito dovrà necessariamente affrontare nel suo straniante viaggio e che lo trasformeranno. Non a caso, mutazione e cambiamento sono alla base delle storie e dell’animazione di Studio Ghibli (ad esempio la metamorfosi in maiali La città incantata o il maleficio ne Il castello errante di Howl). Le esperienze della vita rendono diversi ma tutto è in continua trasformazione ed è in questo modo che si va avanti. Il personaggio dell’airone ha infatti un valore simbolico nel film come nel folklore giapponese, quello di una guida, un traghettatore nel passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti.

Insieme a lui e alla sua duplice natura animale e umana, Mahito farà la conoscenza di svariati e peculiari personaggi, come Himi, ragazzina dai poteri magici o il vecchio prozio, mago della torre, artefice (regista?) di quel mondo fantastico. Proprio quest’ultimo pone in esame un’ulteriore chiave di lettura: il rapporto di Miyazaki tra il ricordo della sua giovinezza e la presa di coscienza della vecchiaia. La paura della fine. Di conseguenza, il dilemma dell’eredità. Nella mente dell’autore, fermo a osservare il suo mondo sgretolarsi, corrono miriadi di domande: cosa succederà dopo? Quale sarà la mia eredità? Una risposta Mahito – e quindi Miyazaki – la darà, risposta che non intendo svelarvi per evitare spoiler.

Visto lo spessore dell’opera e analizzando l’attuale concorrenza, ritengo davvero che il regista possa facilmente ottenere il suo secondo Oscar dopo La città incantata. Nel frattempo, continueremo ad assaporare la feroce bellezza de Il ragazzo e l’airone, un film al cui interno c’è tutto Miyazaki, ogni suo dubbio, paura, contraddizione, estro. Un film evidentemente più maturo, carico di dolore e bellezza al tempo stesso, accompagnato dalle note sublimi delle musiche di Joe Hisaishi alla sua undicesima collaborazione con il regista. Un film che, se davvero è l’ultimo, rappresenta un testamento spirituale perfetto, brutale, onesto e dolcissimo, di cui Miyazaki aveva bisogno e di cui forse, senza rendercene conto, avevamo bisogno anche tutti noi.

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Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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