Nel corso degli ultimi anni la nostra società si è confrontata con cambiamenti sempre più radicali, subendo una spaccatura dall’interno. Prima tutte le cose erano determinate da etichette: confini che controllavano e in qualche modo garantivano una stabilità, un ordine. Oggi non esistono più.
La distinzione tra le parti – il nero e il bianco, il bene e il male, il brutto e il bello – risulta essere anacronistica, arretrata rispetto al progresso e all’evoluzione e lascia spazio a una materia labile, sfumata. Nasce quindi una società fluida, liquida – termine coniato per la prima volta dal sociologo Zygmunt Bauman – nella quale tutti gli aspetti si confondono l’uno con gli altri. L’uomo risulta la vittima più diretta di questa trasformazione: sentendosi un estraneo nel suo stesso mondo, non sa più a cosa può aggrapparsi e in cosa può riconoscersi, provando quindi una forte sensazione di disagio con gli altri e con se stesso.
Qual è il motore che incoraggia a durare?
Il personaggio principale di Liquefatto, il romanzo di Hilary Tiscione (Alessandro Polidoro Editore), si trova a fare i conti proprio con questo sentimento violento di frustrazione e inadeguatezza. Maddalena è una giovane donna alla ricerca della propria dimensione. Tutto nella sua vita è instabile e privo di emozioni: il rapporto che ha con se stessa, che rifiuta e trova il proprio equilibrio solo nell’alterazione con droghe e alcol, e il rapporto che ha con gli altri, prima di tutti quello con il suo compagno, Romano, amore svanito e stanco con cui vive una nociva quotidianità e che tradisce continuamente.
Presto, Maddalena scopre di essere incinta e decide di intraprendere un viaggio – il viaggio – con la sua amica Lia, verso l’America, la Terra Promessa, simbolo per eccellenza, nella tradizione della letteratura americana, del desiderio di riscatto, l’inseguimento di una speranza. Un viaggio non solo fisico, ma soprattutto spirituale, per ricostruire la propria integrità e quella del nuovo essere che vive dentro di lei.
Come il carattere del personaggio è privo di ogni genere di segmento, così frastagliata è anche la scrittura, vera protagonista di Liquefatto. L’autrice dimostra un forte senso critico nella ricerca della forma e nella cura delle singole parole. Numerose sono le figure retoriche, le descrizioni ai singoli dettagli, gli esperimenti nella narrazione, che rendono il racconto un vero esercizio di stile.
Questa particolare attenzione alla struttura rallenta la storia, creando un’esperienza simile a quella della fruizione dei testi poetici: il lettore è obbligato a concentrarsi sui singoli passi, a riempire i vuoti volutamente messi in mostra dall’autrice e a interpretare tutto ciò che è scritto, facendo difficoltà, in alcuni punti, a dare un senso a quel che incontra.
Il linguaggio funge da correlativo oggettivo dei pensieri di Maddalena: sfida la logica del razionale, manifestandosi soprattutto con i sensi. Le visioni, le intuizioni, i sentimenti vengono espressi nella maniera diretta e disordinata con cui vengono elaborati nella mente del personaggio, mettendo ancora alla prova il lettore, che spesso si domanda se quello che sta leggendo sia o meno realmente accaduto. Il gergo usato da Maddalena è fedele alla sua precarietà psicologica, risultando talvolta eccessivamente crudo e a tratti volgare; correnti ad esempio sono i termini legati alla sfera sessuale.
L’intreccio non si sviluppa seguendo una trama vera e propria, ma procede attraverso successioni di immagini, tecnica che risulta un richiamo più familiare al mondo del cinema, il montaggio, che a quello della letteratura, almeno intesa nella sua maniera più tradizionale. Questa peculiarità nella scrittura è un elemento che si collega alla formazione cinematografica dell’autrice ed è sicuramente il punto di forza maggiore che rende scorrevole e allo stesso tempo originale la lettura di questo esordio.
Liquefatto è un romanzo che presta voce non soltanto a Maddalena, Lia e tutti i personaggi coinvolti, ma anche e soprattutto ai lettori, rappresentando le difficoltà e la realtà più privata e fragile dell’essere umani.
Persino soffrire era bello perché mentre la sofferenza più profonda si sviluppava, si continuava a esistere- come un fiume a parte.
Contributo a cura di Martina Rizzo