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Liberi e Uguali: è davvero una nuova sinistra?

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
4 Giugno 2021
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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Anche il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha lasciato la nave del Partito Democratico a bordo delle scialuppe calate in mare da Massimo D’Alema che, proprio come la più accogliente delle ONG del Mediterraneo, ha dato rifugio agli spaesati deputati e senatori in cerca di una sinistra che non c’è più.

È nata a Roma, presso l’Atlantico, la coalizione alternativa al PD che riunisce sotto un’unica, grande bandiera, i partiti di centrosinistra, alternativi al gruppo capitanato da Matteo Renzi: MDP (in testa), Sinistra Italiana e Possibile. L’hanno chiamata Liberi e Uguali, ispirandosi ai principi della Costituzione della Repubblica Francese del 1793, indicando, nella seconda carica dello Stato, il leader perfetto a unire le forze che, sotto la legislatura Letta-Renzi-Gentiloni, hanno sofferto i più svariati motivi che hanno portato alle scissioni, alcune apparentemente inevitabili, altre figlie di una reazione contraria a politiche centripete su temi, invece, quantomai popolari come lavoro e scuola.

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Fare politica – ha detto Grasso – è un onore, non una vergogna. C’è in gioco il futuro dell’Italia e questa è la nostra sfida: battersi perché tutti, nessuno escluso, siano liberi e uguali, liberi e uguali. Siamo qui, culture e persone diverse, ma tutti uniti per difendere principi e valori in cui crediamo.

Il principale partito associato alle politiche di centrosinistra, il PD, figlio dell’Ulivo di Prodi, ha, nel corso degli ultimi cinque anni spostato il proprio raggio d’azione verso manovre che, sempre più, hanno assomigliato a quelle già proposte in passato da Berlusconi e Forza Italia. Non è certo un caso, quindi, che i principali gruppi antagonisti al MoVimento 5 Stelle abbiano trovato diversi punti d’accordo che hanno permesso loro di governare a lungo insieme e a decidere di leggi fondamentali come quella elettorale di poche settimane fa.

Il Partito Democratico si presenta ormai, a tutti gli effetti, come un partito di centro, e leggi quali il Jobs Act, la Buona Scuola, le finanziarie approvate in questi anni e il tentativo di riforma della Costituzione certificano questo ormai totale abbandono dei colori rossi a favore di un tricolore sbiadito che abbraccia, però, sempre meno adepti ed elettori. La repressione adoperata nei confronti degli studenti in tutta Italia, gli accordi con la Libia firmati sulla pelle dei migranti abbandonati al proprio tragico destino nei centri di detenzione africani, il vergognoso ritardarsi dell’approvazione dello Ius Soli o del Biotestamento, inoltre, cancellano la parola sinistra dalle ideologie a cui la fondazione del partito si era, probabilmente, ispirata, indirizzando la rotta verso lidi a cui persino Matteo Salvini ha strizzato l’occhio, compiaciuto dalle manovre del comandante Minniti.

È, forse, questa stessa nostra necessità di un ritorno concreto alle azioni influenzate dal riverbero socialista degli anni Settanta e Ottanta, che ha convinto i dinosauri D’Alema, Bersani, Fassino, Vendola, ad abbandonare il PD e le improbabili alleanze che avevano tenuto in piedi governi traballanti o legislature di scopo.

Ma è davvero, Liberi e Uguali, qualcosa di nuovo, qualcosa di sinistra? Difficile dargli credito senza la prova dell’esecutivo. A un primo sguardo, in fondo, la nave PD appare a tutti gli effetti ricomposta sotto una nuova bandiera, al netto di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi lasciati a terra a pagare quegli errori che, però, hanno sottoscritto anche tutti quei parlamentari – firmatari del sopracitato Jobs Act – che oggi parlano di lavoro e articolo 18.

Capiranno, questi ultimi, anche nel comprensibile vortice dell’entusiasmo di queste prime ore, che lo scetticismo generale di fronte a un’ennesima proposta dei soliti noti è quantomeno giustificato. Sono questi ultimi leader ancora credibili? La scena politica nazionale, in fondo, li vede protagonisti già da diversi anni, persino alcuni decenni, e la crisi in cui il Paese è rimasto impantanato fino a oggi, il riverbero del vento fascista che torna a soffiare forte da destra, il mondo del lavoro ridotto in ginocchio e i servizi lasciati sul lastrico, un Sud Italia mai considerato dalle agende di governo tranne che nel periodo di campagna elettorale, sono tutti capi d’imputazione che rischiano di pesare in maniera importante sull’esito della fiducia che l’elettorato potrebbe accordare loro nel 2018.

Basterà l’elegante figura di Pietro Grasso a ricompattare il gruppo, ad abbracciarlo sotto un’unica bandiera, a scongiurare nuove politiche come quelle firmate nel quinquennio targato PD? In caso di risposta negativa – che solo una futura maggioranza alla Camera e al Senato potrebbe testimoniare – la parola Liberi verrebbe legata nuovamente alle catene di Matteo Renzi che ne avrebbe le chiavi, e Uguali significherebbe soltanto “a prima” o, peggio, “a sempre”.

Eppure, c’è bisogno, davvero, della novità auspicata e sbandierata dal Presidente del Senato e compagni, c’è bisogno di quell’articolo 18 che MDP vuole reintrodurre forte delle sue peculiarità, c’è bisogno di ascoltare la gente, guardare agli ultimi, investire sulla scuola, c’è bisogno della forza dei giovani. C’è bisogno, davvero, di una sinistra. Alle urne l’ardua sentenza.

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