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Le ville di Napoli: Nisida e la decadenza di Posillipo

Francesca Testa di Francesca Testa
1 Giugno 2020
in Lapis
Tempo di lettura: 4 minuti
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In una delle sue tipiche passeggiate, Carlo Celano chiude la “giornata nona” con una descrizione di Nisida grazie alla quale è possibile ricostruire un quadro piuttosto chiaro della costa di Posillipo nel Seicento. Chiamata dagli antichi Nesís, dal greco “isola”, e Nesida, “piccola isola”, dopo essere stata ceduta dall’imperatore Costantino il Grande alla Chiesa napoletana, durante il Medioevo Nisida assunse il toponimo Gipeum o Zippium dal monastero Sant’Arcangelo o Sant’Angelo de Zippio su di essa collocato. Dal Quattrocento, invece, ricomparve il nome originario: Nisite e Nisita sono le denominazioni che vengono ritrovate nelle carte, per poi arrivare al moderno Nisida.

Nella mappa del duca di Noja del 1775 c’è scritto, infatti, Isola di Nesis oggi di Nisida. Come raccontanto Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza nel loro Le ville di Napoli, Nisida venne fortificata con l’edificazione di una torre costiera. Secondo Maiuri, la torre sarebbe sorta sull’area della villa romana di Bruto poi area della residenza del Piccolomini […] e lì fu poi costituito l’ergastolo borbonico. La torre doveva probabilmente far parte dell’efficiente sistema di avvistamento che, già verso la fine dell’alto Medioevo e poi per tutto il periodo angioino-aragonese, andò collegando le località costiere dell’Italia meridionale. La pianta circolare confermerebbe l’attribuzione a quel periodo.

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Come scrive invece Antonella Ferri (Nisida – Materiale per una ricerca sul territorio documenti e immagini), la dimora di Bruto dovette essere verosimilmente nient’altro che una sorta di casino di caccia, senza molti di quei lussi che caratterizzavano le altre dimore poste lungo la costa da Baia a Pozzuoli, e non così isolate. Già Lucano e Stazio avevano accennato all’aria malsana che era presente su Nisida, notizie susseguitesi fino agli inizi dell’Ottocento. Per questa ragione, è più che lecito pensare che il punto dove è sorto il “castello” sia proprio quello dove anticamente trovava posto la dimora romana, probabilmente inglobata nella pianta della successiva costruzione, sostiene ancora Ferri.

Presumibilmente, all’epoca del viceré Don Pedro de Toledo, la torre fu rinforzata da Pietro de Orsanque per reggere agli attacchi dei corsari turchi che con facilità si rifugiavano nel Porto Paone o Pavone. Dal 1558 al 1588 la proprietà dell’isola fu della famiglia dei Piccolomini e, nello specifico, la figura del duca d’Amalfi portò a compimento la costruzione della torre, almeno in questa fase cinquecentesca. La struttura fu quindi abbellita con giardini e trasformata a uso residenziale, introducendo arredi e oggetti preziosi, proprio come si confaceva a una residenza nobiliare. Secondo quanto scrive Benedetto Croce nella sua Napoli Nobilissima, la costruzione presentava una vasta sala circolare dipinta di rosso, con quattro grandi aperture – che costituivano i quattro punti cardinali – che affacciavano sul mare. Anche il cortile si presentava circolare con intorno varie stanze con copertura a volta e cantine. Ancora oggi è possibile notare tracce di arcate rinascimentali che dovevano costituire un loggiato. Un luogo, scrive Croce, di grande eleganza, nonché di ritrovo della società del tempo per godere delle bellezze della natura, del mare e dell’ospitalità del duca.

Il poeta Giovan Battista del Tufo racconta:

Più innanzi (Posillipo) ha per custode un’isoletta,

colma d’ogni piacer Nisida detta

che sol per essa è ferma in mezzo al mare,

notte e dì sempre attenta a vigilare,

ove prender potreste

ogni trastul, che voi donne vorreste,

et a cento di voi mariti e figli

gli sarian dati lepori e conigli.

Molti fruirono della villa-castello tra cui, ricordiamo, Vincenzo Macedonio, marchese di Roggiano, e un certo Giambattista Di Gennaro che, come scrivono ancora Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza, l’aveva trasformata in un centro di ricettazione e smercio dei bottini che i pirati gli fornivano grazie al comodo e appartato approdo di Porto Paone. Questi fu poi scoperto e giustiziato nel 1623. La trasformazione dell’edificio in ergastolo avvenne dopo qualche tempo dal passaggio al demanio dell’isola con un inglobarsi dell’antica costruzione cinquecentesca nella pianta del nuovo edificio. L’ergastolo fu soppresso tra 1933 e il 1934, diventando poi riformatorio giudiziario. Dal 1948 è casa di rieducazione per minorenni.

Intanto, al termine del viceregno spagnolo, le residenze di Posillipo erano ormai passate di moda, così durante il Settecento vi fu un lento decadimento. Nel breve dominio austriaco, quando i funzionari fecero cadere in disuso feste e spassi, si preferì prendere in affitto ville più modeste, a Barra, oppure dopo che Carlo III di Borbone fece edificare la Reggia di Portici, i nobili, seguendo l’esempio del sovrano, si trasferirono nell’area vesuviana. Nella Mappa topografica del Duca di Noja vengono chiamate casini non soltanto le case di campagna per la villeggiatura dei borghesi, ma anche costruzioni nobili il cui degrado attribuisce alla indolenza e sconsigliatezza de’ Possessori. Soltanto un secolo dopo, molte di queste costruzioni abbandonate tornarono a rivivere gli antichi splendori grazie alla costruzione della strada di Posillipo, iniziata da Murat e completata da Ferdinando nel decennio 1820-1830.

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