Come accade a tantissime altre persone, Laura un giorno va a una visita dove l’aspetta il referto di un esame a cui si è sottoposta il mese precedente. Non si sente particolarmente in ansia, anche se prima di quella visita percepiva che qualcosa nel suo corpo non andava esattamente come doveva.
La dottoressa del reparto ginecologico di Fermo, nelle Marche, le comunica il referto dell’esame istologico: ha un cancro alla cervice uterina. Dopo ulteriori accertamenti e dopo la riunione del board multidisciplinare dell’ospedale in Friuli Venezia Giulia dove ha deciso di curarsi, Laura viene sottoposta a un delicato intervento di isterectomia radicale e di linfoadenectomia. I giorni successivi all’intervento, tra una risata e l’altra e i primi passi con la cicatrice sulla pancia, le battute con la compagna di stanza Armida e le rassicurazioni delle infermiere e delle OSS, Laura pensa che presto arriveranno le sue dimissioni, con qualche esercizio di recupero fisico da fare a casa.
La maggior parte delle volte, soprattutto quando non si è vissuto patologie simili in famiglia, non si conosce tutto l’iter medico e diagnostico: si procede un po’ a tentoni, un passo alla volta, cercando di non guardare troppo oltre. La mattina precedente a quella delle dimissioni, i medici confermano a Laura gli appuntamenti con il reparto di oncologia e di radioterapia. Da lì a pochi giorni tornerà a casa sua, a Fermo, e dopo le feste di Natale inizierà ad Ancona – lontano da casa più di 65 chilometri – i suoi cicli di chemioterapia settimanali e i suoi cicli di radio-brachiterapia quotidiani. Questo è il momento in cui Laura piange per la prima volta.
Non è facile vivere una patologia oncologica a 27 anni, il momento della vita che è universalmente riconosciuto come uno dei più belli, in cui si è in forze, in cui si sperimenta, si sbaglia, si progetta il futuro. A volte, quel futuro semplicemente può non esserci più o può diventare talmente diverso da come se lo si era immaginato che l’imprevedibilità diventa soggetto stesso della trama della vita.
Le terapie di Laura finiscono dopo un anno dal suo intervento: per lei inizia il periodo di follow-up oncologico, diverso per ciascuno nella quantità di anni a seconda della patologia e dello stadio tumorale.
La vita di un paziente in follow-up è scandita da esami strumentali periodici, da TAC o PET di routine, da analisi del sangue e, per alcune donne, anche dall’inizio di una nuova fase di vita con la menopausa precoce o la menopausa indotta.
Laura, dopo le terapie, ha cercato di ricostruire la sua esistenza da dove l’aveva interrotta e ha incontrato molti ostacoli: la nostra società è la prima a metterli sul cammino di chi sta male. È proprio per cercare di abbatterli uno a uno, per fare di una strada sterrata una strada asfaltata, che Laura ha iniziato a dedicare totalmente la sua vita ai diritti per le persone malate, alla divulgazione e all’attivismo, raggiungendo risultati incredibili come l’approvazione, a fine 2023, della legge sul diritto all’oblio oncologico.
Laura, come hai iniziato il tuo percorso nell’attivismo?
«Fondando C’è Tempo OdV (ride, ndr)».
Qual è lo scopo di C’è Tempo OdV?
«Con C’è Tempo creiamo progetti e apriamo tavoli istituzionali in ambito oncologico, delle disabilità invisibili, dei diritti delle persone che hanno avuto il cancro, dei familiari e dei caregiver. Nei diritti ricomprendiamo anche le discriminazioni subite sul posto di lavoro e quelle sociali legate al linguaggio e allo stigma. Abbiamo sede nelle Marche ma operiamo in tutta Italia; infatti anche i nostri associati e le nostre associate provengono da tante diverse realtà italiane. Il nostro mezzo di espressione iniziale è stato quello artistico. La nostra OdV nasce in seguito al mio debutto come attrice in un tour teatrale dal titolo C’è Tempo Tour che dal 2019 portiamo in tutto il Paese. Dalla partecipazione e dai feedback delle persone ci siamo resi conto di quanto fosse necessario strutturarsi per iniziare un lavoro compiuto di divulgazione e attivismo».
Cos’è C’è Tempo Tour?
«Si tratta di una perfomance teatrale in cui racconto la mia storia oncologica, che potrebbe essere la storia oncologica di tantissime altre persone; nella seconda parte invece presentiamo un panel informativo e divulgativo con professioniste e professionisti del settore. La caratteristica principale è che ogni tappa realizzata in un paese o in una città avrà il suo panel personalizzato, con la presenza di dottoresse, dottori dei principali ospedali della zona in cui siamo e con la presenza di associazioni e istituzioni locali: ci sembra il modo migliore per unire una storia personale alla realtà concreta di chi sta vivendo un momento delicato e complesso come quello della malattia oncologica».
Qual è l’obiettivo futuro della tua associazione?
«C’è Tempo OdV nasce dalla necessità di coprire i buchi che ho trovato nel mio percorso di paziente oncologica e il nostro obiettivo principale come associazione resta (dico resta perché già lo siamo) quello di essere un ponte tra le istituzioni, l’ambito medico e della ricerca, i pazienti e i caregiver, e un punto di riferimento sia per le persone in questo momento malate, sia di quelle in follow-up o guarite che stanno vivendo discriminazioni e il post malattia. Ma anche di tutte quelle persone che non hanno mai avuto informazioni in ambito oncologico e che possiamo raggiungere con la nostra divulgazione».
Quali sono le discriminazioni che vive una persona che ha avuto o che ha una patologia oncologica?
«Quando una persona scopre di avere un cancro pensa inizialmente che dovrà fare i conti solo con la malattia e le conseguenze imminenti della malattia stessa. Solo più tardi ci si accorge che l’ambito oncologico non è limitato alla neoplasia avuta, ma è legato anche alla società in cui viviamo. La società, quando vede una persona fragile, vulnerabile e soprattutto malata di cancro, diventa allontanante e stigmatizzante. Il cancro fa paura, ancora oggi facciamo fatica a nominarlo, come se dovesse rimanere confinato solo negli ospedali perché è come se fuori potesse contagiare tutte le altre persone. Nella stratificazione sociale, le discriminazioni sono molteplici: in ambito professionale (le persone che tornano a lavoro vengono demansionate, non riescono più a fare scatti di carriera, non hanno le garanzie di prima, vengono derise da colleghi e colleghe, non hanno spesso dei permessi ad hoc per fare le visite di follow-up o di terapie e sono costrette a prendere giorni di ferie); in ambito finanziario (una persona che ha avuto un cancro fa fatica a ottenere un finanziamento, un mutuo o un prestito con copertura assicurativa); nell’ambito delle adozioni o in quello delle procedure concorsuali laddove sono previsti requisiti psico-fisici particolari. Le discriminazioni, in generale, sono presenti laddove neanche pensiamo che possano esistere: a volte non le vediamo semplicemente perché trattiamo e viviamo alcuni fatti, alcuni eventi e alcune realtà come se fossero normali. Ma non lo sono».
Su cosa vi siete concentrati nel 2023?
«Il 2023 è stato un anno pazzesco! L’associazione è cresciuta e grazie alle persone associate abbiamo realizzato tantissimi progetti. Abbiamo portato C’è Tempo OdV in tante città in Italia e siamo riusciti anche a fare una serata a teatro a Milano, dove abbiamo avuto al panel alcune delle persone professioniste più esperte in Italia in ambito medico e oncologico. Inoltre, abbiamo portato avanti l’istanza del diritto all’oblio oncologico: abbiamo partecipato a tantissimi convegni, congressi, trasmissioni televisive e radiofoniche. Abbiamo portato la nostra voce alla Camera dei Deputati, al Senato, in contesti nazionali e internazionali. Abbiamo avuto il privilegio e l’opportunità di parlare delle persone che vivono il cancro nelle sedi istituzionali: da un lato è un’enorme responsabilità, ma dall’altro sapevamo di essere stakeholder attivi e funzionali per il processo legislativo che ci ha portati a festeggiare – insieme a tante altre associazioni di settore – il 5 dicembre scorso per l’approvazione della legge sul diritto all’oblio oncologico. Abbiamo infine creato tantissimi eventi social dove lo scopo era fare prevenzione, prevenzione ginecologica, parlare di HPV, di radioterapia, di nuove cure in ambito oncologico, di fisioterapia per persone che hanno subito interventi, di pavimento pelvico e in generale di tanti aspetti legati al mondo medico».
Quali sono gli obiettivi del 2024?
«Il 2024 sarà un anno chiave per la nostra OdV. Ci siamo divisi in working group: attraverso il dialogo con i pazienti e le persone in follow-up, intercettiamo le istanze principali e i focus su cui lavorare. Da qui, facciamo una fotografia dello status quo delle cose in Italia e, a seconda dei risultati della nostra analisi, passiamo alla fase delle proposte concrete. Di solito, queste prevedono confronti costanti con le istituzioni, con le altre associazioni e con la parte medica: questo è il nostro metodo di lavoro. Cerchiamo di creare un dialogo costante e risolutivo, che conduca quindi ad azioni concrete, insieme a tutti i soggetti che potenzialmente siedono al “tavolo del mondo oncologico”. In questo anno ci occuperemo principalmente di oncologia e lavoro; della figura del caregiver e della necessità di una legge in Italia che la tuteli; di andare in nuove città dove portare C’è Tempo Tour; di organizzare eventi con medici, associazioni, con chi si occupa delle co-terapie, di psicoterapia, di clownterapia e di pet therapy ed eventi mirati al cambiamento del linguaggio e della percezione socio-culturale di chi vive un cancro. Continueremo infine a sorvegliare e a occuparci attivamente della legge sul diritto all’oblio oncologico perché è stata solo un primo passo ma c’è la necessità di soggettivare il più possibile le condizioni che attualmente si prevedono per ogni diversa persona e patologia».
Grazie, Laura, per il lavoro che fai e anche per aver messo la tua esperienza personale al servizio della collettività.
«Grazie a te per la cura. La mia è una missione e, seppur dolorosamente, riesco a riconoscere la meraviglia di una vita al servizio del prossimo. Quando un diritto viene riconosciuto e quando una persona torna a vivere dopo anni di buio, è come se tornassi a vivere un po’ anche io».
Contributo a cura di Clara Marziali