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La criminalizzazione della gestazione per altri

Martina Benedetti di Martina Benedetti
18 Ottobre 2024
in Bisturi
Tempo di lettura: 3 minuti
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Il nostro utero è forse dello Stato? La questione della gestazione per altri (GPA) continua a generare dibattiti accesi a livello globale. In Italia assistiamo alla criminalizzazione della maternità surrogata, trasformata in reato universale. Una deriva non solo moralista, ma palesemente punitiva, che solleva interrogativi preoccupanti: chi si sta cercando di proteggere e chi, invece, si condanna?

La criminalizzazione della maternità surrogata come reato universale è un attacco diretto alla libertà riproduttiva. Le donne che scelgono di portare avanti una gravidanza per altre persone non sono vittime. Anzi, sono spesso consapevoli e consenzienti, dotate della stessa capacità decisionale che viene riconosciuta a chi sceglie di non avere figli o di interrompere una gravidanza. Allora da dove nasce questa esigenza di controllo?

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Ci raccontano che si tratta di proteggere le donne, soprattutto quelle più vulnerabili, da uno sfruttamento economico e sociale. Ma questa è davvero la risposta più onesta e appropriata? La retorica di chi vuole fare della GPA un crimine mondiale somiglia più a una foglia di fico dietro cui si nascondono antichi pregiudizi, piuttosto che a una sincera preoccupazione per il benessere delle donne coinvolte.

Come effetto indiretto ci potrebbe essere una maggiore clandestinità. Spingere un’attività come la GPA nell’illegalità non farà altro che creare mercati sommersi, privi di regolamentazione e ancora più pericolosi per le donne coinvolte. Quando mai una mossa del genere ha portato benefici? Abbiamo visto lo stesso con l’aborto: dove è illegale, non sparisce, ma diventa più rischioso. E lo stesso accadrebbe con la GPA, aggravando le condizioni di chi vi si sottopone, anziché migliorarle.

Inoltre, questa crociata punitiva ignora deliberatamente un altro aspetto: le coppie o singole persone che ricorrono alla GPA non sono affamate di egoismo. Spesso, dietro questa scelta c’è un profondo desiderio di genitorialità che viene negato da circostanze biologiche o sociali. Imporre un divieto universale non solo chiude ogni porta legale, ma condanna anche chi, per motivi di infertilità o orientamento sessuale, vede nella GPA l’unica possibilità di formare una famiglia.

E poi c’è la questione dell’equità. Perché criminalizzare una pratica che, quando regolamentata, può avvenire in modo etico e rispettoso? Non è forse possibile immaginare un mondo in cui la GPA sia tutelata da leggi chiare, che proteggano sia le donne che le famiglie coinvolte? Si preferisce davvero un approccio repressivo, piuttosto che investire in soluzioni di giustizia sociale che potrebbero bilanciare le disuguaglianze e ridurre i rischi di sfruttamento?

D’altronde, se il vero problema fosse lo sfruttamento economico delle donne, ci aspetteremmo misure ben diverse: un miglioramento delle condizioni lavorative, salari equi, politiche di supporto alla maternità e un vero sistema di welfare per tutti. Invece, ci troviamo davanti a un accanimento mirato, che fa leva su questioni morali più che su reali preoccupazioni di giustizia sociale. È un tentativo di controllare il corpo delle donne sotto la maschera del “bene comune”.

E, poi, c’è un altro aspetto spesso sottovalutato. La GPA come reato universale minaccia di far collassare il fragile equilibrio tra diritti individuali e controllo statale. L’idea di un’autorità che interviene sulla riproduzione umana in modo così diretto, criminalizzando scelte personali e intime, non è altro che un incubo travestito da giustizia. Non possiamo permettere che lo Stato detti legge sui desideri più profondi delle persone, in particolar modo quelli legati alla genitorialità e al proprio corpo.

Il professor Crisanti, con un’analogia illuminante, l’ha paragonata a una donazione d’organo reversibile: […] se ho un deficit funzionale di tutti e due i reni e se a un certo punto la dialisi non funziona più, faccio un trapianto di reni, da donatore deceduto oppure da donatore sano. Bene, allora se riflettiamo a fondo vediamo che la GPA tecnicamente è una donazione d’organo temporanea e reversibile. Dunque, se c`è la consapevolezza di una donna adulta, che magari può essere una parente o un`amica, che ha già avuto figli e non è in uno stato di indigenza, una donna che fa una scelta libera, a mio avviso non si lede nessuna libertà.

L’idea di una “donazione reversibile” riconosce che, nella GPA, la donna che porta avanti la gravidanza non perde nulla in modo permanente. Proprio come in una donazione d’organo, c’è un consenso informato, un processo volontario e una decisione consapevole. Questa prospettiva etica rende la gestazione per altri non solo accettabile, ma un atto altruistico, basato sulla libertà individuale e sulla possibilità di aiutare chi altrimenti non potrebbe realizzare il sogno della genitorialità. La criminalizzazione della maternità surrogata significa ignorare la complessità di questa scelta e, soprattutto, il diritto delle donne a disporre del proprio corpo.

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