Tra le pagine di Junx – Non basterebbe una notte, edito da Pidgin Edizioni, si annida un’inquietudine profonda che non appartiene soltanto al protagonista. L’inquietudine è collettiva, tocca una generazione nata in una terra di contraddizioni e che trova nella scrittura di Tshidiso Moletsane un linguaggio nuovo, ibrido e feroce.
Il romanzo, ambientato in una Johannesburg notturna e febbricitante, segue il flusso di coscienza di un giovane uomo che attraversa la città, ma anche se stesso, come un campo minato fatto di droga, amicizie tossiche, pulsioni sessuali e un’ironia tagliente che riesce a spegnere il dolore che cerca di mascherare.
La vita del protagonista, che narra la sua storia in prima persona, è sospesa tra apatia e delirio, tra la lucidità di essere alla deriva e l’assoluta certezza di non potersi salvare. Attorno a lui, dove si percepiscono i frammenti di un Sudafrica post-apartheid privo di bussola morale, ruotano alcune figure marginali come Thabo e Shugela, ma quella sempre presente è Ari, suo amico immaginario che si fa coscienza, demone e testimone. Ari è la voce dell’inconscio, il riflesso sarcastico di un’anima che non ha un luogo dove riposare.
Moletsane, purtroppo scomparso nel 2024, nel suo romanzo di esordio pubblicato nel 2021 e che ha ricevuto il prestigioso Sunday Times Literary Award nel 2022, ha una scrittura nervosa, ossessiva, traboccante di riferimenti pop e riflessioni politiche, mescola lo slang delle township al registro poetico. Il suo ritmo di scrittura è quello di un respiro spezzato, fatto tra un “tiro” e un pensiero profondo, tra una risata e il desiderio, costante, di morire. Non c’è linearità, solo un continuo oscillare tra il reale e l’immaginato, come se il confine tra questi due mondi si fosse ormai dissolto dall’alcol e dal fumo.
Un disordine lucido nel quale Moletsane dà vita a un ritratto impietoso dell’alienazione giovanile in un contesto dove la promessa di libertà è inesorabilmente solo un miraggio. Johannesburg diventa un luogo dove si sopravvive solo di notte, diventa specchio e labirinto, cattura pensiero e carne, e in questi margini i corpi si lasciano andare, ballano, sniffano, scopano e pregano senza fede. La normalità non offre una via di uscita; e la depressione prende forma nei suoi momenti di debolezza e lo spinge giù.
Junx – Non basterebbe una notte racchiude un costante dialogo che intreccia la storia e la colpa. Il protagonista riflette sull’apartheid, sulla religione, sull’ipocrisia morale, sulla violenza, ma non appena un pensiero prende forma finisce subito per frantumarsi nella sua stessa stanchezza. Non basta l’intelligenza a salvarlo; questa, al contrario, diventa un ulteriore fardello da portare. E così il pensiero politico diventa dolore personale, la rabbia sociale un disprezzo di sé. Moletsane racconta la caduta come se fosse un gesto naturale, inevitabile.
Eppure, tra quei pensieri legati alla morte, tra i detriti della coscienza, si intravede una tenerezza, sussurrata nei suoi sogni, nei suoi attacchi di ansia, nel modo in cui parla con Ari o quando accarezza la bambina di Shugela, una piccola fiamma, un desiderio di vita che non riesce a spegnersi del tutto. Sotto le macerie del cinismo si nasconde un ragazzo che vuole essere amato.
Il romanzo scuote e respinge, ma non può lasciare indifferenti. È sporco, eccessivo, ironico, lirico, a tratti disturbante. Racconta della depressione come presenza costante, un’amica fedele, quasi affettuosa, della violenza come eredità genetica di un paese e di una mascolinità tossica che divora se stessa. Un libro sul fallimento, ma anche sul bisogno disperato di significato.
Tshidiso Moletsane narra questa storia come se non ci fosse un domani e, forse, è proprio questo il punto cruciale: non c’è un domani per chi ha smesso di credere nella possibilità di cambiare. Junx – Non basterebbe una notte è un vero e proprio viaggio nell’abisso della mente, nel ventre del Sudafrica contemporaneo, un monologo allucinato che diventa specchio di un’umanità disillusa.






