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Insegnanti capro espiatorio dell’inettitudine politica

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
2 Settembre 2020
in Il Fatto
Tempo di lettura: 4 minuti
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Le vacanze estive volgono al termine, agosto torna in soffitta con gli ombrelloni, le sdraio e i lidi affollati. I giovani con i loro viaggi all’estero e il rientro in patria da untori quasi non disturbano più l’opinione pubblica né la politica, già impegnate a individuare il nuovo nemico da sacrificare sull’altare della propaganda. Con settembre che torna ad affacciarsi sui calendari, ecco che tocca alla scuola trovarsi (suo malgrado) quale argomento chiave di ogni dibattito, con gli insegnanti regalati alla piazza affamata. La forca è lì che attende sospesa.

Che il proprio impiego, il lavoro portato a casa, fino al tempo libero e – perché no – anche la sfera personale fossero all’alba di uno stravolgimento epocale nessuno li aveva avvisati. D’un tratto, quello nel salotto di casa è diventato l’unico banco da cui parlare ai ragazzi, l’orario delle lezioni si è dilatato lungo l’intero arco della giornata, non più un incontro con i genitori. Eppure, non uno soltanto degli insegnanti ha mai visto nell’approccio alla nuova didattica per contrastare l’assenza dalle aule a causa dell’emergenza coronavirus un insormontabile problema. Hanno affrontato se stessi, il loro metodo ormai consolidato, le proprie conoscenze di computer e software, riuscendo in un miracolo che nessuno – ancora! – gli aveva richiesto: tenere in piedi la scuola.

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Si sono improvvisati formatori da remoto, hanno affrontato spese impreviste per aggiornare il proprio pacchetto informatico, messo a disposizione strumenti personali a favore della didattica a distanza, garantendo ai ragazzi, così, quel diritto allo studio che allo Stato sembrava non interessare, quel diritto allo studio che allo Stato sembra non interessare mai. Nulla di tutto ciò è bastato. Gi insegnanti sono ora i fannulloni offerti in favore di telecamera, il capro espiatorio, lo scudo dietro cui nascondere tutte le inefficienze di una classe politica inetta e di un’opposizione assetata di sangue.

La prima campanella dell’anno scolastico 2020/21 suonerà per la maggior parte degli istituti il giorno 14 settembre, dopo un vergognoso rimbalzo di responsabilità tra istituzioni e Comitato Tecnico Scientifico che si è tradotto – lungo tutta l’estate – in regole poco chiare, linee guida e istruzioni in continuo mutamento, il tutto senza alcuna forma concreta di tutela né per i milioni di alunni che torneranno tra i banchi, tantomeno per coloro a cui è affidato anche il compito di plasmarne il futuro.

Già, perché all’indomani del rientro in classe – ancora non definitivo e molto probabilmente diverso da regione a regione, anche seguendo l’andamento della nuova ondata di contagi – l’unica proposta avanzata a tutela della salute di personale docente, collaboratori e studenti è il tampone su base volontaria a cui gli insegnanti si sottoporranno durante questi primi giorni del nuovo anno lavorativo. Peccato, però, che soltanto gli interessati stiano provando a raccontare degli innumerevoli disagi che si riscontano anche a voler aderire all’iniziativa promossa dal Ministero di Lucia Azzolina, con test richiesti da settimane e ancora non effettuati, con centinaia di medici di base impreparati di fronte alla possibilità di verificarne lo stato di salute – mancano infatti dotazione di camici, mascherine e un numero adeguato di reagenti, motivo per cui tanti MMG si sono rifiutati di adoperarsi nel sierologico –, con le ASL in affanno per il tracciamento dei nuovi positivi.

Si è preferito diffondere l’idea dei docenti ostili ai controlli sanitari perché egoisti, chissà, forse persino vigliacchi, certamente pronti ad approfittare dei disagi per intascare gli stipendi senza lavorare, cavalcando l’idea di una classe privilegiata, quella dei tre mesi di ferie e l’orario di lavoro frontale corto come per nessun altro impiegato, facendo finta di niente, invece, di fronte alle scarse tutele offerte recentemente alla categoria, spesso messa persino in pericolo dalle aggressioni di genitori e ragazzi, e svilita nel tentativo di incoraggiare di un pensiero critico nei propri alunni. Così, politica e stampa hanno confezionato l’immagine ad hoc per screditare ulteriormente l’istruzione e, a maggior ragione, l’istruzione pubblica, quell’organo sostenuto dalla Costituzione e sciupato, persino corrotto, dalla ragion di Stato. 

La verità, però, racconta di un Paese incapace di testare tutti i propri abitanti, di effettuare i tamponi a quanti si recheranno nuovamente nelle aule e in maniera continua, perché un esito negativo oggi non è garanzia di alcuna tutela domani. La verità racconta di un Ministero fallimentare e di un Ministro che delle logiche di un istituto scolastico non ha conoscenza, di un Governo che ha ragionato su nuovi banchi, mascherine sì, mascherine no, senza mai assumersi la responsabilità di dichiarare la necessità di ulteriori assunzioni atte a garantire la turnazione delle classi, un corpo docenti da implementare con circa 80mila nuovi impiegati (a fronte dei circa 30mila previsti), di più adeguate strutture d’accoglienza per le lezioni, con la maggior parte degli edifici scolastici impossibilitati a garantire distanziamento e areazione adeguata.

La categoria più a rischio da un’eventuale rientro a pieno regime e un probabile, consequenziale aumento dei contagi di COVID-19, gli insegnanti in gran parte over 60, viene invece venduta come quella dei nuovi untori, com’è stato per i runner durante il lockdown o i giovani di ritorno dalle vacanze appena poche settimane fa. Senza un piano serio, responsabile, coraggioso, la scuola non ripartirà, non sarà possibile garantire il diritto allo studio che i nostri ragazzi hanno il dovere di pretendere. Ogni nuova manifestazione della malattia manderà in crisi il sistema, tirerà giù il castello di carta messo su in maniera improbabile da un Ministero e un Governo incapaci.

Garantire la salvaguardia degli insegnanti è, innanzitutto, un dovere in quanto lavoratori, assicurarne la salute e offrire loro la possibilità di svolgere in sicurezza il proprio lavoro è la base su cui uno Stato democratico dovrebbe fondare. Proteggere il personale docente anche dalla gogna mediatica che ha cominciato a girargli attorno con le torce già pronte al fuoco sarebbe sinonimo di un Paese che dà priorità all’istruzione con fatti concreti. Tutto il contrario, dunque, di ciò in cui l’Italia si è adoperata fino a ora.

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