Contributo a cura dell’Onorevole Michela Rostan
Ho partecipato con convinzione e commozione all’inaugurazione de La Scugnizzeria, la settimana scorsa a Melito, e con emozione ne seguirò tutti i passi.
Questo bellissimo spazio aggregativo, bello nel nome, nelle idee, anche nella capacità di evocare le migliori energie, le forze più vive di quella che potremmo definire la nostra meglio gioventù, va sostenuto nella sua ispirazione e nella sua pratica, perché già solo tagliarne il nastro è stata una boccata di aria buona.
Chiamare un centro giovanile Scugnizzeria, definire lo spazio una piazza di spaccio di libri, e poi di cultura, teatro, tempo libero dimostra una capacità di militare sul territorio che è chiaramente antagonista al pensiero criminale e che ha il coraggio di indicare con nettezza un’altra strada. Apprezzo questo coraggio come apprezzo la voglia di fare, questo incanto del sognatore che però si traduce sempre in azione, in luogo fisico, in gesto concreto, in speranza pratica, viva, che le persone possono toccare con mano.
Non mi sembra un caso che La Scugnizzeria apra a Melito proprio nei giorni in cui a Scampia, e su tutto questo vasto territorio, si risentono gli spari e torna a scorrere il sangue. Pochi giorni fa è stato ucciso un ragazzo di ventun anni. Un giovane che però era già dentro la cultura della strada. Un cognome noto, peraltro famigerato anche per fatti di sangue che si ricollegano a una vittima innocente come Antonio Landieri, che spesso ricordiamo in altre iniziative. Un ragazzo che non c’entrava nulla e che è rimasto al centro di una sparatoria, di un regolamento di conti, rallentato nella fuga dalla sua disabilità, simbolo della ferocia, della violenza e, al tempo stesso, grazie al ricordo di chi lo conosceva, anche bandiera di speranza, di riscatto, di lavoro nel suo nome.
Proprio nei giorni in cui quelle ferite si riaprono, a Melito, con La Scugnizzeria, abbiamo aperto le porte di una nuova iniziativa. Proprio quando si risentono le pistole e i venti di faida, e si riaprono i regolamenti di conti, qui si parla un nuovo linguaggio. A me sembra un simbolo straordinario, più di una coincidenza, un incrocio di destino per cui quando risuona la morte su un territorio, nella stessa zona, non lontano, a opera di persone coraggiose e volenterose, torna a splendere la vita. Se non facciamo così non abbiamo speranza. Non bisogna arrendersi, bisogna sempre rilanciare, e bisogna farlo restando uniti, camminando insieme. Solo costruendo percorsi di comunità si può aiutare concretamente a costruire speranza. Che cosa serve al nostro territorio? Sicuramente più presenza delle forze dell’ordine, più controllo, più azione decisa di polizia e giustizia, più repressione. Ma solo questo? Non credo.
Serve più sviluppo, più lavoro, perché dove c’è disagio sociale c’è anche più criminalità. Ma oltre ogni cosa serve attività sociale, serve lavoro di comunità, serve stare insieme, costruire modelli positivi, indicare strade collettive.
Ecco perché bisogna sostenere gli sforzi di chi si rimbocca le maniche e prova a fare quello che si deve fare, senza paura di fallire, con il coraggio della passione civile. Aggregare, parlare, offrire strade alternative, costruire insieme opportunità, fare cultura, fare sociale.