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Il Duomo di Modena e la leggenda del Re che fu e che sarà

Sarah Brandi di Sarah Brandi
30 Giugno 2021
in Viaggi
Tempo di lettura: 4 minuti
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Quando si arriva nella città di Modena, sono diverse le attrazioni da visitare e le esperienze da vivere: fare una passeggiata a Piazza XX Settembre, ammirare Palazzo Tagliazucchi o destreggiarsi tra le innumerevoli bancherelle del Mercato Abinelli, gustando con gli occhi e il palato tutte le delizie reperibili in questa galleria del pane. Imprescindibile, poi, una volta arrivati nel centro emiliano, è la visita a Piazza Grande, dove è possibile ammirare uno dei più preziosi beni della città: il Duomo.

Considerato come uno dei maggiori monumenti d’Europa della cultura romanica, per tale motivo, insieme a Piazza Grande e alla torre civica Ghirlandina, è stato eletto dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 1997. La sua edificazione ebbe inizio nel 1099, quando Matilde di Canossa pose la prima pietra delle fondamenta, su volere sia del clero sia dei cittadini, per celebrare i valori religiosi e civili della nascente comunità modenese. Dedicato a Santa Maria Assunta, il santuario fu anche innalzato per omaggiare il Santo Patrono della città, San Geminiano, e per accogliere le sue spoglie, che oggi continuano a giacere in un’urna del IV secolo conservata nella cripta. Non a caso, la chiesa viene chiamata anche Domus Clari Geminiani, ovvero Casa di San Geminiano.

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Il luogo di culto è stato eretto secondo i progetti dell’architetto Lanfranco, che nell’ultimazione della pianificazione lavorò con lo scultore Wiligelmo. I due mescolarono cultura romana e nuova arte lombarda dando forma a questa costruzione che ancora oggi ospita funzioni religiose e tour turistici. La facciata principale è quella che dà proprio su Corso Duomo da cui si può facilmente intuire la struttura interna della chiesa. Infatti, le tre sezioni in cui questa superficie, contornata da un loggiato, risulta divisa rispecchiano le tre navate interne. Impossibile non notare il rosone, opera dei Maestri Campionesi, che domina la porzione centrale.

Caratteristici dell’antico edificio sono le sculture e i bassorilievi che lo decorano in diversi punti sia interni sia esterni. Innumerevoli storie sono raccontate attraverso la pietra: quella della volpe e dell’agnello, quella del leone e dell’avvoltoio, quella di Caino e Abele, e quella di Noè e la sua Arca. Motivi sacri e profani si intrecciano continuamente in queste opere d’arte, al punto che risulta difficile dire quale di queste sia la più interessante, poiché tutte piene di valenze allegoriche. È impossibile, tuttavia, quando si parla del Duomo di Modena non accennare alla Porta della Pescheria e a uno dei racconti su di essa inciso.

Quella a cui facciamo riferimento è la porta situata sul lato sinistro dell’edificio, quell’ingresso che si affaccia a Settentrione e che in passato era l’entrata usata dal popolo, il cui nome deriva dalla presenza, nelle sue vicinanze, di un banco per il commercio del pesce.  Diversi sono i decori che arricchiscono l’uscio: gli stipiti sono, infatti, ornati con dodici figure, che rappresentano ciascuna un mese dell’anno, inoltre innumerevoli sono i protagonisti di fiabe classiche che trovano una loro raffigurazione. Ma, tra tutte le storie presenti, quella che colpisce di più è sicuramente quella narrata sull’architrave. Ciò che qui si descrive è, infatti, l’assalto da parte di alcuni cavalieri armati di lancia a un castello turrito per salvare una damigella in pericolo. I nomi di tutti i protagonisti, eccetto uno, vengono riportati vicino a ognuno di essi: il primo a sinistra è Isdernus, accanto a lui il cavaliere senza nome, né elmo, né armatura, poi ancora il villico Buraltus, la prigioniera Winlogee, il carceriere Maloc e i cavalieri Galvagin, Galvariun e Che, nomi che non corrispondono altro che a quelli di alcuni personaggi del ciclo arturiano.

Sembrerebbe, quindi, che sull’architrave venga raccontata la storia di Artù e dei suoi cavalieri, in particolare l’episodio in cui Ginevra viene rapita e imprigionata nel suo castello da Marloc. Il cavaliere senza nome, non sarebbe altro che il mitologico re d’Albione, ritratto non come sovrano, ma come Dux Bellorum, seguendo le leggende che lo hanno identificato come un condottiero britannico-romano che ha difeso i confini dell’impero e la Britannia dalle invasioni sassoni.

Non c’è niente di strano nel fatto che una delle storie più famose nel mondo sia stata raccontata anche a Modena. Tuttavia, se si pensa che la scena rappresentata proviene dal Durmat Le Galoise, un’opera scritta quasi un secolo dopo l’edificazione del portale che risale a un periodo che va tra il 1100 e il 1110 d.C., viene da chiedersi come sia possibile che nella città emiliana la leggenda sia stata narrata sulla pietra prima che fosse riportata su carta. In realtà, una risposta ci sarebbe: probabilmente, decantata da troubadour giunti dal Nord nella corte modenese, la vicenda potrebbe essere stata ascoltata dagli ideatori della chiesa, i quali, affascinati, decisero di renderla eterna grazie ai bassorilievi che ancora adesso possiamo ammirare.

Diverse, inoltre, sono le spiegazioni che si danno al perché tale intreccio può essere ammirato sull’architrave del Duomo di Modena: la più accreditata sembrerebbe quella per la quale essa sia un’allegoria della conquista di Gerusalemme (personificata da Ginevra) da parte dei Crociati. Impossibile è scoprire la verità, perché morta con coloro che vissero nel tempo in cui questo magnifico edificio fu eretto. La cosa certa, però, è che per chi arriva in città è obbligatorio fare un salto al Duomo e vedere qual è il viso del mitico Re che fu e che sarà. 

Prec.

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