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Il fiore di “Guernica”, la resilienza e la speranza

Rosa Maria Gloria Basanisi di Rosa Maria Gloria Basanisi
9 Novembre 2021
in Rubriche
Tempo di lettura: 3 minuti
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– What’s the meaning of the flower?

– La esperanza, niña, la esperanza.

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Questo è un dialogo realmente avvenuto, tra le stanze del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid. Una guida sulla sessantina ha appena accolto le domande di una giovane scolaresca di ragazzi assonnati ed elettrici. Guernica, per l’imperitura fama e le proporzioni gigantesche, ha conquistato l’attenzione dei giovani distratti. È incredibile quale effetto possa sortire uno spazio dedicato a un’unica opera. Dà l’idea di essere in un luogo di culto, come se fossimo appena arrivati dopo un lungo cammino. La celebre opera di Picasso, a differenza degli altri quadri, ha una stanza tutta per sé. L’occhio degli spettatori, di conseguenza, può contemplare la maestosità di questa creazione senza essere indirizzato altrove. Anche quel giorno pareva d’essere entrati in chiesa. Una folla di turisti componeva una linea orizzontale e si tratteneva per interi minuti dinanzi al dipinto.

La esperanza.

Una timida ragazza, avvicinandosi alla guida, aveva chiesto perché il celebre artista spagnolo avesse posizionato, al centro di un massacro, un fiore. Stretto nella mano di un uomo morente, sopravviveva sia alla scomposizione delle forme che alla disintegrazione della pietà. La speranza, ragazzina, la speranza.

Perché, dunque, inserire un germe di speranza in un teatro degli orrori? Qual è l’obiettivo, il senso, di una tale scelta simbolica? Il messaggio, probabilmente, appare così immediato da non necessitare di spiegazioni ulteriori.

Un personaggio secondario di una celebre serie televisiva, intitolata Orange is the new black, a un certo punto della narrazione interviene esponendo una cruda riflessione: In this lifetime you will be amazed by what you can get over, darling. (In questa vita, resterai sorpresa da ciò che puoi superare, tesoro.)

La capacità di resistere alle avversità della vita, ai mostri, alle catastrofi – la cosiddetta resilienza – è un tratto insito, difatti, anche negli esseri umani; è un anelito di sopravvivenza, una forza recondita che appare quando il mondo, sia interiore che esteriore, sembra destinato a crollare su se stesso. Eppure resta, eppure resiste.

Il neurologo Oliver Sacks, in uno degli scritti che compone la sua ultima pubblicazione, denominata Gratitudine, oramai in fin di vita lasciò ai posteri una lucida visione della speranza. Distogliendo lo sguardo dalla retorica “zuccherina” sul concetto, propose una prospettiva dinamica, di sfida, lanciata verso il futuro e verso l’ignoto.

Non disperare diviene, quindi, un’attività che si declina come visione insatura della realtà, opposta all’assenza del dubbio. È l’oggetto dell’incompletezza, un atteggiamento di accettazione nei confronti di ciò che verrà, ma che attualmente “non è ancora”. Il celebre autore ci invita, dunque, a trasformare l’incertezza in un valore, a far sì che l’angoscia evolva in un’energia salvifica.

Allo stesso modo, il fiore intatto e tratteggiato del Guernica si mostra come un inno alla resilienza, una rinascita che ha alle spalle un orrore noto e davanti a sé un avvenire incerto. È nascosto, timido, dalla linea sottolissima, ma presente. Indistruttibile.

La esperanza, niña, la esperanza.

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