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Conte, un giorno da leone dopo 14 mesi da pecora

Alessandro Campaiola di Alessandro Campaiola
21 Agosto 2019
in Il Fatto
Tempo di lettura: 6 minuti
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Se qualcuno ci avesse detto, appena qualche anno fa, che un giorno migliaia di italiani avrebbero impegnato un loro pomeriggio di pieno agosto restando in casa inchiodati al televisore ad assistere a una seduta del Senato – diciamoci la verità – avremmo dato del pazzo a qualunque veggente avrebbe tentato di diramare la sua profezia. La chiamata alla responsabilità istituzionale da parte del popolo tricolore, però, non è – appunto – un’improvvisa consapevolezza di doversi fare carico di ciò che accade all’interno delle Aule del Parlamento anche dopo aver espresso il proprio parere in cabina elettorale, ma una mera, triste e per certi versi squallida esibizione di tifoseria, orfani ancora per una domenica del campionato di Serie A.

In mancanza della nuova rincorsa al trono della Juventus, dunque, l’Italia social – incollata, come noi addetti ai lavori, alla #MaratonaMentana – fa le prove di cori, post e sfottò utilizzando ciò che la cronaca estiva propone: la crisi del governo del cambiamento 5 Stelle-Lega. Poco male, in fondo una presa di coscienza della situazione politica del Paese da parte di un elettorato stordito a suon di fake news, slogan ad personam, oltre che dalla compilation del dj Salvini direttamente dal Papeete, era – ed è – ciò di cui lo Stivale ha drammaticamente bisogno per risollevarsi non solo finanziariamente e in materia di diritti umani e civili, sviliti dall’esperienza di governo pentaleghista, ma anche dal punto di vista di quel sacrosanto diritto a chiedere conto.

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Per tali motivi – non abbiamo dubbi – e l’evento di cui sopra lo ha confermato (la seduta in Senato che, di fatto, ha certificato la fine dell’esperienza di Giuseppe Conte a capo del governo), il Paese deve allontanare lo spauracchio neofascista dalle Camere, il Paese deve disfarsi dell’odio che Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, ha portato non solo nelle istituzioni, ma anche nell’animo di milioni di nostri concittadini non certo più fotografabili con il detto italiani brava gente. Il leader leghista, probabilmente rintronato dal sole raccolto sulle spiagge a lui care del Nord-Est, ha annunciato, protocollato e ieri stesso ritirato una mozione di sfiducia nei confronti dell’esecutivo, sintomo di un abbaglio che ha ormai preso le sembianze di un auto-sabotaggio che – a quanto appare dagli interventi dei senatori grillini e dem – porterà a una nuova maggioranza targata 5 Stelle e PD, con la Lega messa a margine del Parlamento.

Le stesse facce che contestavano a Matteo Renzi e Maria Elena Boschi le frasi come se perdo, lascio la politica alla vigilia della sconfitta rimediata all’ultima consultazione referendaria, salvo poi trovare una nuova collocazione in Senato, hanno smontato, distrutto e incredibilmente lasciato una porta aperta a una rinnovata esperienza gialloverde nel corso di poco più di tre ore, sintomo del disperato tentativo di tenersi incollati a una poltrona mollata con fretta ed entusiasmo all’indomani di qualche sondaggio e dei risultati delle scorse Elezioni Europee. Per lo stesso motivo, dunque, Salvini e compagnia brutta sanno che ormai frittata è fatta e l’unica speranza a cui possono affidare la bramosia dei pieni poteri richiesti dal Vicepremier è legata a un’improbabile nuova chiamata alle urne.

Fenomeno di giornata, osannato, condiviso e ricondiviso sui social dal popolo di Beppe Grillo – e non solo – è stato il Premier Giuseppe Conte, finalmente degno del ruolo da lui ricoperto, finalmente ritrovato nella verve come in una voce che sembrava non possedere, finalmente durissimo nei confronti del Ministro dell’Interno, massacrato durante uno speech di circa mezz’ora per lo scarso senso istituzionale espresso, per una rincorsa ai soli scopi personali, fino alla preoccupazione espressa per le rivendicazioni di stampo autoritario mai messe al bando da Matteo Salvini. 

Chi nella giornata di ieri, però, ha trovato motivo di riabilitare il MoVimento, successivamente al discorso del Premier, dimostra di essere ancora gravemente abbagliato dalla luce della fede verso la Casaleggio e associati almeno tanto quanto Salvini da quella del cuore immacolato di Maria, più volte tirato in ballo – inopportunamente – nell’intervento di risposta a Conte da parte del Vicepresidente in cravatta verde. Quello che dallo scorso pomeriggio si è trasformato nel mostro che tutti vogliono e devono combattere per dovere istituzionale è infatti la stessa persona alla quale, fino alle prime settimane di questo mese d’agosto, il M5S ha concesso leggi e decreti inumani e al limite della costituzionalità, dalla legittima difesa fino al recente decreto sicurezza bis, senza dimenticare l’immunità concessagli alla richiesta dei giudici per il processo relativo al caso Diciotti.

Dovessimo titolare la seduta di ieri in Senato, non ci sarebbe fotografia migliore che questa: Conte, un giorno da leone dopo 14 mesi da pecora. Per questo stesso motivo, e per quelli elencati in accusa al gruppo da lui sostenuto, e di cui ora si è eretto a principale rappresentante – anche scansando Luigi Di Maio dalla leadership – l’avvocato del popolo potrebbe non essere il nome che il nuovo asse PD-M5S suggerirà al Presidente Mattarella come reggente il prossimo esecutivo di fatto annunciato sia dai grillini che dal Senatore democratico Matteo Renzi, in grande spolvero durante i minuti concessigli in Aula successivamente proprio a Conte e Salvini. Un’ipotesi di Conte bis, infatti, significherebbe dare continuità al lavoro svolto dalla maggioranza pentaleghista, circostanza a cui l’ex Ulivo non può sottostare, come espresso, in parte, sia dallo stesso ex Sindaco di Firenze che dall’attuale Segretario del partito Nicola Zingaretti tramite un tweet.

È stato un evento, quello andato in scena a Palazzo Madama, in cui chiunque ha invocato Madonne, Vangeli (ovviamente, secondo Matteo), persino le ultime parole di Cristo prima di abbandonarsi al destino della croce – perdona loro perché non sanno quello che fanno – utilizzate da Nicola Morra, Senatore 5 Stelle, per portare a conoscenza dei colleghi e degli italiani i gesti impropri del Ministro dell’Interno che, nella sua abitudine di brandire il rosario comunicherebbe, così, con la mafia calabrese. Altro che seduta parlamentare, altro che crisi di governo, dal conclave… pardon… dalla giornata di ieri, sembrava potersi persino aspettare che la Presidente Casellati si recasse, prima o poi, al caminetto a bruciare carbone per i fedeli radunati in Piazza San Pietro per la tanto attesa fumata bianca o, come in questo caso, di cenere nera.

Quello che nessuno dice, però, è che la reale posta in gioco di questa complessa partita a scacchi è l’elezione del Presidente della Repubblica prevista per il 2022, nomina che nessuno vuole lasciare in mano interamente alla Lega, alle manie sovraniste di Salvini e al centrodestra che potrebbe ricompattarsi andando, poi, a mettere mano ai temi della giustizia e completando, infine, il processo di svilimento della Costituzione. Che una nuova accozzaglia, seppur di diversi colori, resisterà tanto a lungo sembra difficile da credere, tuttavia, la politica degli ultimi tempi ha insegnato che tutto è possibile e, in particolar modo, che tutto e il contrario di tutto non è impossibile, anche questo grazie alla coerenza e allo stoicismo seppelliti dai grillini alla prima occasione di poter occupare le poltrone che contano. 

Una nuova delicatissima fase politico-storico-finanziaria del Paese è alle porte, e grazie al disastroso operato del binomio gialloverde guidato proprio da Giuseppe Conte, al PIL ridotto ai minimi storici, alla crescita zero, alla fuga dei tanti, troppi nostri ragazzi all’estero, sarà un periodo, in tutta probabilità, di austerità e sacrifici. Se c’è, però, una cosa di cui siamo certi dopo questa drammatica esperienza in cui il populismo ha dimostrato di esser capace soltanto di riempire le piazze e di fomentare la produzione di bile della gente è che sarà sempre meglio avere un Matteo Renzi da contestare democraticamente, con cui trattare con la forza delle idee, dei sindacati, delle associazioni e del volere popolare, piuttosto che un duce in salsa padana a cui concedere tutta la paura e la sfiducia nel domani che l’anti-politica è in grado di generare. 

Se questa storia – radente al ridicolo per forma e tempi in cui si è sviluppata – avrà insegnato qualcosa a noi cari italiani, cercheremo da domani il nemico non più nell’ultimo, nei poveri, nel vicino di casa o nel prossimo che chiederà aiuto ai nostri confini ma in chi, come Salvini e Meloni, reclama pieni poteri e mina ogni giorno quella libertà che la resistenza partigiana ci ha regalato sotto forma di Costituzione repubblicana. L’atto più rivoluzionario di cui qualunque governo può farsi carico oggi giorno è, finalmente, tornare a metterla in pratica.

Prec.

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