Siamo in un periodo di grande insicurezza, lontani spesso dalle persone a noi più care. Sentiamo di numeri di morti, numeri di infetti, numeri di malati, numeri di intubati. Numeri che spaventano, fanno paura. Oltre a questo, la preoccupazione del futuro, del dopo pandemia. Vorrei si parlasse di più di vite.
Da ieri sto facendo una riflessione profonda sulla vita in questo mondo. Me ne ha dato motivo la morte dell’appena 37enne Francesco Giampietri di Venafro. Era docente presso il Dipartimento di Scienze umane, sociali e della salute all’Università di Cassino, dove ha insegnato Filosofia moderna e cultura letteraria e Storia del pensiero contemporaneo. È morto per una lunga e grave malattia. Il COVID-19 non c’entra.
Ci eravamo conosciuti nel 2017, quando mi aveva invitato a Venafro alla seconda edizione del Festival delle Contaminazioni. Ebbene, mi sentivo chiamata per contaminare la piccola comunità di una cittadina amena, sospesa tra Cassino e Isernia. Vi portai la mia battaglia di civiltà, come su richiesta di Francesco. Aveva chiamato sul palco anche il Sindaco. Spiegai ai cittadini il disegno di legge che riguardava il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento che era fermo da mesi in Senato e che, faticosamente, l’Associazione Coscioni era impegnata a sbloccare insieme ai cittadini. Il Sindaco, proprio in qualità di Primo Cittadino, promise direttamente lì sul palco di aprire un registro al Comune per dare agli abitanti di Venafro la possibilità di depositare il loro testamento biologico. Doveva essere una spinta alla politica da parte della cittadinanza. Pochi giorni dopo, i primi venafriani depositarono il testamento biologico. Anche tutto questo merito di Francesco, della sua solerte vigilanza.
Vi ho raccontato questo episodio perché su quell’evento sentivo un’aria particolare di meditazione sull’amore per la vita, e anche la parola morte non aveva il suo senso funesto e triste. Forse derivava dal mio colloquio con Francesco sul significato di alcuni passi della lettera di Piero al Presidente della Repubblica. Mi resi conto che viveva da filosofo e tutto il suo vissuto era pregno di saggezza. Sapeva comunicare le idee con parole semplici, sottolineandole con il calore dello sguardo. Lo sento oggi più vivo che mai. Beati i giovani suoi studenti. Auguro loro di fare del ricordo del loro maestro tesoro per la vita. Non vuole essere rimpianto. Perché è vivo, più che mai!
L’uomo, oggi, è troppo orientato sul palpabile. L’allontanamento di Francesco da questo mondo proprio in questo periodo, in cui siamo lontani ma comunque vicini, ci ammonisce alla collaborazione. I nostri spiriti si incontrano, le nostre parole passano attraverso l’etere, siano esse buone o cattive. Francesco per me è un simbolo di speranza, non quella in vana attesa, ma quella in azione, che smuove gli ostacoli, che fa brillare gli occhi di entusiasmo e di amore. Quindi vogliamo essere speranza come lui. Inseriamoci nella catena di montaggio della speranza attiva per cambiare il mondo a piccoli passi ma sicuri.