Per Via della Seta si intende il reticolo di collegamenti terrestri e marittimi che allacciava l’impero romano a quello cinese sul quale viaggiavano le merci principali prodotte dai due Stati egemoni. I primi scambi commerciali tra l’antica Roma e la Cina risalgono al I secolo d.C., anche se le esplorazioni degli occidentali verso l’Oriente si registrarono già diversi anni prima, addirittura con Alessandro Magno.
Non è, tuttavia, alla rotta percorsa da Marco Polo nel 1271 a cui si riferiscono i quotidiani e i TG quando oggi dedicano i propri servizi principali ai contatti tra Roma e Pechino. La Nuova Via della Seta, il cui nome ufficiale è One belt, one road, è un accordo economico-commerciale tra l’Italia e il Presidente Xi Jinping che mira a ricostruire gli itinerari percorsi dai rispettivi antenati al fine di esportare i propri prodotti tra l’Asia e l’Europa e accrescere, di conseguenza, il proprio sistema produttivo.
Con la Nuova Via della Seta, la Cina mira a espandere il volume degli affari sul commercio estero, adoperando i porti di Trieste e di Genova – luoghi strategici per il piano della super potenza asiatica – per raggiungere il Vecchio Continente e ridisegnare, di conseguenza, gli equilibri economici mondiali. Un investimento da oltre 900 miliardi di dollari che potrebbe, sì, rilanciare l’economia dell’Italia ma anche mettere in crisi i rapporti tra il Bel Paese e gli Stati Uniti, che guardano con ostilità al progetto del dragone rosso.
Il ritorno economico dell’operazione – letta semplicemente sul piano degli investimenti che la Cina adopererà sul nostro territorio – si presenta come assolutamente vantaggioso, un’opportunità, per i siti indicati da Xi Jinping e le principali aziende di Pechino, di ammodernamento e crescita dell’occupazione, con l’Italia chiamata a svolgere un ruolo fondamentale sullo scacchiere europeo che si andrebbe a delineare. Le merci, infatti, sbarcheranno presso gli hub friulani e liguri che diverrebbero, in questo modo, i porti dell’intero continente, e da lì raggiungeranno, attraverso nuovi e potenziati collegamenti terrestri, i Paesi dell’Europa dell’Est e dell’Ovest coinvolti dall’accordo.
Come anticipato, però, il memorandum firmato dal Premier Conte e il Presidente cinese la scorsa settimana mette in allarme gli Stati alleati, in particolar modo gli USA. L’UE, così come i nostri soci a stelle e strisce, avrebbe voluto voce in capitolo nelle contrattazioni tra Italia e Cina, mentre il governo del cambiamento ha scelto, invece, di agire in via solitaria – sulla base di un accordo già discusso da Gentiloni durante l’OBOR Summit del 2017 – forse a dimostrare di non sentirsi un’economia subordinata ai Paesi che hanno teso e tendono i fili dell’Europa che conta. Firmando per prima l’accordo per la Nuova Via della Seta, l’Italia si è forse ancor più isolata nelle politiche comunitarie, ma ha anche mostrato i muscoli rispetto a un’istituzione che si propone di cambiare.
Gestendo da sé il controllo dei traffici principali dall’Oriente, lo Stivale lancia la concorrenza ai porti di Rotterdam e Amburgo che già da anni scambiano merci con la Cina sulla base di patti bilaterali ed è forse il rischio di vedersi scippare questo primato che, in realtà, li mette in condizione d’allarme rispetto al passo avanti sancito da Conte e Mattarella.
Gli accordi, tuttavia, non riguardano esclusivamente dinamiche commerciali. Sul ricco piatto, infatti, la Cina ha posto anche il sistema delle telecomunicazioni. Che le aziende facenti capo a Pechino, come la Huawei, siano all’avanguardia nelle tecnologie come il 5G è cosa nota, ciò che preoccupa, però, è che lo scambio, in questo caso, possa rivelarsi un cavallo di Troia che permetterebbe agli asiatici di assicurarsi il controllo su un’importante mole di dati informatici. Ed è questo il punto che preoccupa maggiormente il Presidente Trump. Le aziende cinesi potrebbero, dunque, controllare le telecomunicazioni in Italia, e starà agli esecutivi che si alterneranno in Parlamento garantire la privacy, la sicurezza dei cittadini e l’autonomia della propria economia.
La posta in gioco è il primato tecnologico ed economico globale sul medio-lungo periodo, una minaccia che spaventa Washington, giacché la rete internet sarà al centro dei giochi e chi avrà la leadership nel settore potrebbe definire le direzioni future.
Come si evince, è difficile, a oggi, dare un’opinione sulla manovra. In pochi conoscono i dettagli dell’accordo, tanti altri aspetti si andranno a definire nel prossimo futuro, i principali, quelli che non riempiranno le pagine di giornale e non verranno sbandierati dagli esponenti politici, qualunque piega prenderà la cosa, anche se la strada pare ormai tracciata.
Tocca, inoltre sottolineare come suoni come un controsenso il NO dichiarato alla TAV dal MoVimento 5 Stelle, opera che i cinesi, invece, giudicano come di importanza centrale rispetto all’intero progetto. Spostare velocemente le merci che giungeranno in Liguria, su rotaie anziché su gomma, è un’evoluzione a cui difficilmente il nostro Paese potrebbe rinunciare. Perché, allora, lo stesso partito che osteggia l’opera in Val di Susa ha bruciato le tappe verso il memorandum con Xi Jinping? L’azione di propaganda nei confronti della TAV non dimostra altro che le chiacchiere di questi mesi si dissolveranno in un nulla di fatto, che il frastuono generato in Piemonte non è che un tentativo di tenersi aggrappato quell’elettorato che si perderebbe al pari di quello già disperso in Puglia, per le questioni TAP e ILVA, o in Sicilia.
A proposito di Sud, resta da chiedersi in che modo l’immensa mole di investimenti pronta a ringiovanire le infrastrutture italiane porterà vantaggi anche alle regioni del Mezzogiorno. Già quando l’ex Premier, Paolo Gentiloni, due anni fa propose alla Cina i porti di Venezia, Trieste e Genova, qualcuno montò la polemica su come la Campania, la Puglia, la Basilicata e la Sicilia fossero state prontamente tenute fuori dagli indiscutibili vantaggi economici di cui beneficeranno le aree interessate invece dall’accordo. A oggi, il tema della discussione politica ancora verte sull’Alta Velocità Torino-Lione, sugli hub marittimi sopracitati, non una parola, al contrario, è stata spesa sulla necessità che hanno anche le città nostrane di sostituire i propri impianti fatiscenti con opere all’avanguardia, a vantaggio del commercio e delle persone che abitano quei territori. Se Cristo si è fermato a Eboli, fin dove si spingerà l’audacia del nuovo impero rosso che mira a fare del nostro Paese il suo partner principale?
Il futuro del tricolore, dell’Europa e, chissà, dell’intero globo terrestre, potrebbe scriversi sulla via che i racconti di un mercante e ambasciatore veneziano resero celebre.