Quando un’opera letteraria si fa strumento per il superamento dell’individualismo e della concezione antropocentrica presente nell’arena societaria e nell’ambiente più ampio che la contiene, si parla di ecologia letteraria. La raccolta poetica Tramonti di cartone (GM Press, 2019) scritta da Marcello Affuso, Valentina Bonavolonà e Giulia Verruti ne è un prezioso esempio. Il volume contiene anche i disegni di Federica Crispo e le foto di Erica Bardi a comporre quello che Sabrina Goglia, nell’intensa introduzione, definisce viaggio, un lavoro collettivo nel quale gli autori, la disegnatrice e la fotografa si liberano dalle illusioni e dalle paure individuali, dando spazio e voce alla propria umanità.
Il libro è stato presentato agli inizi di quest’anno, prima che scattasse il lockdown socio-sanitario per l’emergenza della pandemia da COVID-19, incontrando presto il favore della critica e del pubblico, incuriositi e coinvolti dall’energia creativa di un’opera che fa ricordare l’aforisma la pittura è poesia silenziosa, e la poesia è pittura che parla, in genere attribuito a Plutarco (I-II secolo d. C.), ma in realtà ideato dal poeta della Grecia antica Simonide di Ceo (VI-V secolo a. C.).
Tramonti di cartone, in effetti, è un poema visivo, una silloge di componimenti poetici e di brani in prosa che costituiscono, senza alcuna forzata progettualità – come ha sottolineato Marcello Affuso, giornalista fondatore del giornale online Eroica Fenice e docente di Italiano, Latino e Geostoria all’Istituto Nazareth di Napoli – una voce unica, pur nei diversi momenti di riflessione personale dei giovani autori.
Valentina Bonavolontà ce ne parla come di un viaggio nei sentimenti, un duplice percorso di parole e immagini, attraverso il quale lei, Affuso e Giulia Verruti – giornalista e docente napoletana di Italiano e Latino presso il Liceo Statale Ischia – invitano noi lettori ad abbandonare l’illusoria quiete della vita quotidiana per aprirci alla comprensione dell’altro. Quest’ultimo inteso come mondo esterno alla cultura nella quale si è nati e cresciuti e anche come quell’alterità costituita dalla propria soggettività e da quella degli amici e compagni di strada del felice esperimento letterario di cui vi raccontiamo, per esempio, che esprime da subito una forte valenza sociale.
In particolare, la giovane giornalista Bonavolontà – collaboratrice del quotidiano Il Roma e di Eroica Fenice – ha fatto tesoro dell’esperienza nel campo delle missioni umanitarie vissute in Africa, in Uganda, nel 2015 e poi ancora nell’estate del 2019, per portare alle popolazioni locali la possibilità dell’accesso all’acqua, all’istruzione e alla formazione di base. Gli autori di Tramonti di cartone, inoltre, hanno deciso di rinunciare ai diritti e di devolvere l’eventuale ricavato alla Onlus I Care, l’associazione che da anni opera in zone del mondo dove le popolazioni soffrono per la fame, la siccità, la guerra e le emergenze socio-sanitarie.
Tornando nell’Occidente del falso benessere materiale e del reale malessere esistenziale, tuttavia, Valentina Bonavolontà ha portato con sé la consapevolezza che l’Africa non è soltanto un luogo fisico lontano, ma anche un’altra dimensione, abitata dai valori comunitari più che individuali dell’autenticità, della fiducia e dell’amicizia. L’esperienza umana e lavorativa ha arricchito l’esistenza dell’autrice con un incurabile sentimento di nostalgia e un forte senso di responsabilità, uniti alla consapevolezza – condivisa con gli amici e autori del volume – di poter fare qualcosa per gli altri, di guardare al di là del proprio orto, con al centro noi stessi e le nostre esigenze.
Non è per caso, quindi, se sulla quarta pagina di copertina possiamo leggere:
Una antica favola africana racconta del giorno in cui scoppiò un grande incendio nella foresta.
Tutti gli animali abbandonarono le loro tane e scapparono spaventati.
Mentre se la dava letteralmente a gambe, il leone vide un colibrì che stava volando nella direzione sbagliata.
“Dove credi di andare?”, chiese il Re della Foresta, “c’è un incendio, dobbiamo scappare!”
Il colibrì rispose: “Vado al lago, per raccogliere acqua da buttare sull’incendio”.
Il leone domandò prontamente: “Sarai mica impazzito? Non crederai di poter spegnere un incendio gigantesco con quattro gocce d’acqua?”
Al che, il colibrì concluse: “Io faccio la mia parte”.
Tramonti di cartone è il risultato letterario e artistico della comprensione emozionale del tema dell’alterità, che possiede – come ci ha ricordato Marcello Affuso – una potente carica sociale e politica e, al contempo, del senso di responsabilità che ha indotto gli autori a condividere, nei modi dell’espressione estetica, la dimensione etica dell’esistenza: l’amicizia, le passioni di vita comuni, l’unione delle solitudini e del dolore dinanzi agli orrori del mondo. Perché l’arte è una forma di condivisione – ci ricorda ancora Valentina Bonavolontà – e in fondo, non c’è niente di più universale dei sentimenti.
La necessità di una nuova narrazione, che ci indichi la possibilità di un modo di stare al mondo diverso da quello dei comportamenti individuali, materialisti e del disumano agonismo sociale espresso dai valori della tradizione culturale dell’Occidente al suo tramonto, pervade ogni passaggio poetico, le riflessioni personali e il sentimento vitale presente in Tramonti di cartone.
Mamma Africa, insomma, ci mostra – nel brano della Bonavolontà che chiude la raccolta – che il tramonto può, forse, non chiudere il giorno ma aprire alla promessa di una nuova alba, il miracolo della rinascita. L’importante è che ognuno faccia la sua parte, qui e ora, insieme agli altri esseri umani della comunità alla quale appartiene e al di là del tempo storico e dello spazio geografico dell’esistenza.
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