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Sull’orlo del collasso: l’emergenza climatica al summit ONU

Chiara Barbati di Chiara Barbati
11 Giugno 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Emergenza globale è un’espressione che, solo a sentirla, dovrebbe far paura. Un’emergenza rappresenta un momento critico, che ha bisogno di un intervento immediato, che dovrebbe mettere in allarme chi ne è coinvolto perché risolva l’urgenza con tempestività. Ma un’emergenza globale è qualcosa di enorme, un evento dalla grandezza inimmaginabile, che coinvolge tutti, nessuno escluso. E quella del clima è forse la prima, vera, emergenza globale: non esiste Paese neutrale che possa tenersene lontano, non esiste modo per scongiurarne gli effetti e non esiste nazione che, anche facendo tutto il possibile, possa salvarsi da sola se non collaborano anche le altre.

Negli ultimi trent’anni gli scienziati di tutto il mondo non hanno fatto altro che annunciare il momento del collasso e mettere in guardia su quel punto di non ritorno che è diventato tristemente imminente. Ed è da trent’anni che gli interessi economici convincono le potenze mondiali a ignorarne gli effetti. Mentre il futuro diventa un luogo sempre meno ospitale, i pigri tentativi di arginare l’emergenza, quindi, risultano estremamente impacciati.

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Lunedì 23 settembre, la 74esima assemblea generale dell’ONU ha ospitato un summit sui cambiamenti climatici. Nel corso dell’evento sono intervenuti i rappresentanti politici di molti Paesi, portando rassicuranti dichiarazioni sull’adesione all’Accordo di Parigi, il patto risalente al 2015 che prevede l’attuazione di provvedimenti contro le emissioni di CO2 entro il 2050. Eppure comincia a sembrar chiaro che un piano a così lungo termine sia poco efficace e che probabilmente, entro quella data, non ci sarà più nulla da fare. Attualmente la temperatura media globale è aumentata di 1.1° C dal periodo preindustriale e si prevede un aumento fino ai 3° C entro la fine del secolo. Gli impegni presi non sembrano rappresentare un’efficace soluzione e l’inadeguatezza dei provvedimenti, insieme alla scarsa tempestività, mette al rischio la vita sul pianeta così come la conosciamo.

A condurre questa battaglia, più di chiunque altro, è Greta Thunberg, l’intraprendente sedicenne svedese che, dalle sue silenziose proteste con i Fridays For Future, è arrivata a pronunciare un discorso di fronte alle Nazioni Unite e al mondo intero. Vi stiamo tenendo d’occhio, questo è il suo messaggio, le parole che pronuncia a nome di tutti i giovani che sentono il futuro sfuggire dalle mani a causa delle irresponsabili scelte degli adulti. La sua paura è la paura delle nuove generazioni, spaventate ma decise a cambiare le cose. Greta accusa il mondo di aver ignorato ogni segnale, ogni misura di sicurezza indicata e di star ancora sottovalutando una situazione allarmante e quasi irrimediabile, perché ciò che andrebbe fatto è scomodo. Unconfortable è la parola che usa, che rende perfettamente l’idea di quanto sia più semplice far finta di nulla per non affrontare provvedimenti immensi che creerebbero un immenso disagio organizzativo, economico e sociale. Come se il disagio potesse battere il disastro climatico che ci aspetta.

Nonostante le parole rassicuranti provenienti dall’UE, nessun incontro ha portato alla formulazione di piani concreti per ridurre effettivamente le emissioni e i discorsi dei leader europei, sebbene apparentemente rassicuranti, non hanno portato all’attenzione del pubblico metodi effettivi, a eccezione di Angela Merkel, che ha dato il via a un piano decennale per ridurre le emissioni del 50%. La Russia ha affermato di voler ratificare l’Accordo di Parigi, senza però aggiungere alcun dettaglio sugli interessi commerciali che la coinvolgono nella vendita di gas e combustibili. L’India ha dichiarato di voler ridurre le emissioni, senza specificare effettivamente come. E la Cina ha confermato di volersi impegnare, non mancando, però, di fare riferimento a quel Paese che si è sottratto agli accordi. Insomma, le parole rassicuranti sono state smentite dalla scarsa concretezza di chi si impegna fortemente solo a parole.

Ma se già preoccupano le intenzioni dei leader più inclini alla collaborazione, sono le parole dei meno interessati a dover terrorizzare. Il Presidente Trump ha presenziato all’assemblea per 15 minuti, presentandosi all’improvviso, per poi abbandonarla a causa della partecipazione a un incontro sulla libertà religiosa. Durante il suo breve intervento, ha negato l’esistenza di un’emergenza climatica, spiegando pertanto il motivo per cui gli Stati Uniti si siano sottratti ai patti internazionali in favore, ovviamente, di normative più permissive per le aziende. Inoltre, il disimpegno statunitense, unito alla guerra commerciale che il Presidente sta muovendo contro la Cina a suon di dazi, rischia di danneggiare l’economia cinese e far passare in secondo piano, per il Paese asiatico, l’avvio di politiche ambientaliste.

Altrettanto sconcertanti risultano le dichiarazioni del Presidente brasiliano Bolsonaro, che ha smentito la dolosità degli incendi che hanno disboscato l’Amazzonia durante l’estate, accusando i media di corrosivi sensazionalismi. Come se non bastasse, ha dichiarato pubblicamente che la foresta pluviale appartiene alla sua nazione e che non è patrimonio dell’umanità. In effetti deve risultare scomodo, ai fini del profitto, avere un immenso territorio e non poterlo sfruttare economicamente. Il suo è stato l’ennesimo messaggio – come quello di qualche mese fa in cui voleva tassare l’ossigeno nel resto del mondo, perché il resto del mondo usufruisce di quello prodotto dal suo Paese – lanciato per lasciar intendere che nessuno può pretendere che lui rinunci ai profitti per prendersi cura di un luogo che interessa a tutti senza alcun incentivo. Economico, ovviamente, perché pare che l’incentivo di restare in vita non sia abbastanza allettante.

L’emergenza ambientale è molto più grave e più imminente di quanto si pensi. C’è la certezza di avere ancora tempo, che la situazione sia quasi ma non del tutto irrimediabile. Ma ci troviamo tutti, nessuno escluso, dal lato sbagliato di quel quasi, sull’orlo del punto di non ritorno. E mentre una grossa fetta accusa Greta di essere stata piazzata davanti ai media da macchinosi poteri per manipolare l’opinione pubblica e mentre le sue parole vengono sminuite dalla presenza di altri problemi, di altre emergenze, di cui lei non tiene conto, mentre tutto ciò accade, il mondo collassa.

La nostra Terra è afflitta da un inimmaginabile numero di problemi. Carestie, ingiustizie, diritti umani negati. Ma, al momento, ignorare il cambiamento climatico farà sparire l’umanità intera. E allora sì, non ci saranno più problemi da risolvere, fondi per il lavoro da stanziare, bambini da salvare, donne da tutelare e immigrati da accogliere. Ma non ci sarà neanche più vita per cui combattere o umanità da salvare. E niente avrà più senso.

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