Lei come vorrebbe i suoi concittadini, come li immagina?
Vorrei che fossero meno napoletani. I napoletani non devono comportarsi troppo da napoletani.
A rispondere così a un collega de Il Fatto Quotidiano non è un qualche ultras delle curve di Italia, ma il Sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, nato a Ottaviano e cresciuto a Nola, dove tuttora risiede. In pratica, un Primo Cittadino no-doc eletto con l’appoggio di Partito Democratico, M5S, Articolo Uno, Sinistra Italiana, Partito Socialista e Partito Repubblicano, e sostenuto dal Presidente della Regione Vincenzo De Luca, dopo essersi assicurato ingenti risorse in arrivo e significativo adeguamento del compenso economico. Idee e patti chiari, almeno sul piano remunerativo, con grande soddisfazione di tutti i membri della Giunta che hanno visto accrescere anch’essi le loro spettanze.
In carica da trentuno mesi, fin troppo riservato e taciturno, le rare apparizioni pubbliche ufficiali, la non pervenuta presenza tra i cittadini, una segreteria fornita di e-mail di sola andata senza mai una risposta neanche interlocutoria gli hanno fatto guadagnare l’appellativo di Sindaco fantasma. Una sindacatura che secondo alcuni addetti ai lavori non arriverà alla fine, in quanto il Primo Cittadino sarebbe destinato alla poltrona di Palazzo Santa Lucia per far posto a un’ex alta carica dello Stato a Palazzo San Giacomo. Fantapolitica? Chiacchiericcio da bar? Qualche esponente del Parlamento ne è certo: un accordo PD-M5S sarebbe già in piedi.
Nel frattempo, prima del paventato trasloco, non dispiacerebbe comprendere le parole pronunciate dal Sindaco e anche il suo pensiero sui cittadini che amministra: cosa significa essere meno napoletani e non comportarsi troppo da napoletani per un non napoletano come lui? Parole che certamente troveranno scappatoie varie, ma che lasciano più di qualche dubbio sul rapporto Sindaco-Napoli, su che idea di città Manfredi voglia perseguire, se ritiene il tema cultura marginale tanto da affidarlo a consulenti svariati e non a una personalità di spicco per un Assessorato fondamentale per la vita della comunità cittadina.
È quantomeno imbarazzante leggere simili dichiarazioni su un organo di informazione a tiratura nazionale, apprendere che il Sindaco della terza città italiana prenda le distanze dall’identità ritenuta negativa dei propri cittadini. Se esiste ancora una opposizione in Consiglio Comunale, ci si aspetterebbe almeno un’interrogazione, una richiesta di chiarimenti; non si pretende mica che insorgano gli intellettuali o la stampa cittadina fino a trentuno mesi fa impegnati a puntare il dito in unica direzione e oggi allineati, coperti, privati di uno sport tanto in voga con la precedente amministrazione.
Le incaute parole del Primo Cittadino ricordano un caso analogo a opera di un altro non napoletano, oggi Presidente della Regione, che nel lontano 2011, intervenendo alla tavola rotonda della sessione Parola chiave sostenibilità sulla green economy e sullo sviluppo ecosostenibile nella cornice del Forum della Comunicazione a Roma, ebbe a definire i napoletani geneticamente ladri, persone nate con lo spirito cleptomane e criminale inciso nel sangue. Parole poi parzialmente smentite in occasione della campagna elettorale per le Regionali.
Nulla di nuovo, insomma. Atteggiamenti intrisi di un provincialismo becero quasi sempre a opera di quanti non hanno mai condiviso l’identità culturale e sociale di un popolo che negli anni a fatica ha superato difficoltà enormi nell’assenza più totale delle Istituzioni. Un popolo paziente e fin troppo tollerante che, questo sì il suo difetto, ha subito suo malgrado la mala politica e le peggiori amministrazioni che l’hanno portata sulle principali pagine della stampa internazionale con i rifiuti fino ai primi piani degli stabili, fiumi di danaro per le emergenze divenute ormai ordinarie e malaffare. Una pazienza oltre ogni limite con comportamenti responsabili definiti oggi troppo napoletani da cui prendere le distanze.
Una visione, quella di Manfredi, da estraneo che denota il distacco più profondo con la gente di una città che andrebbe ascoltata camminando tra il groviglio di vicoli dei Quartieri Spagnoli tornati a vivere non certo per opera e virtù dello Spirito Santo. Un ascolto necessario per meglio comprendere le istanze dei cittadini quasi sempre soggetti passivi di decisioni e provvedimenti che afferiscono le loro vite.
Meno napoletani. Suona complicato giustificare parole di tale gravità, nessun chiarimento potrà ritenersi credibile. Parole offensive nel silenzio generale di una città incapace di reagire e rispedire le frasi al mittente. Parole pronunciate da chi evidentemente in trentuno mesi non si è ancora riconosciuto in Napoli, nella sua cultura millenaria e nei suoi cittadini, espressione migliore e autentica di un’identità di cui andare fieri.