Un film diventa un capolavoro anche per la sua capacità di far discutere e stimolare un confronto che apre a diverse prospettive. Così, dalla mia conversazione informale con Cinzia Caputo, psicologa e psicoanalista junghiana, è nata questa scrittura a quattro mani che indica un’altra pista di indagine e si alimenta dalla sensazione che questo film tanto giustamente osannato non riporta il dibattito odierno sui vari femminismi ma riproduce essenzialmente il primo grado di liberazione delle donne, cioè quello dell’emancipazione dagli stereotipi di genere, battaglia ancora in corso purtroppo, ma che non può ridurre tutta la complessità della nostra rivoluzione “disarmata”.
Il regista Yorgos Lanthimos ha raggiunto con il suo Povere creature! un risultato fantastico, un successo applaudito in tutto il mondo, arricchito dalla straordinaria interpretazione dell’attrice Emma Stone. È stato capace di realizzare il magnifico racconto di Alasdair Gray, un romanzo dalle tinte gotiche e vittoriane che mescola il piano dell’immaginario fiabesco con la critica sociale, utilizzando temi incandescenti come il sesso, la morale, l’emancipazione femminile, la politica e la religione, attraverso una lingua e un’impaginazione moderna fuori da ogni schema. La vicenda può essere paragonata per certi versi al Frankenstein di Mary Shelley (1797-1851) perché la protagonista Bella Baxter, trovata morta nelle acque del fiume Clyde, viene riportata in vita dal dottor Godwin Baxter, grazie a un esperimento ai limiti del paranormale che ricorda l’accanimento dello scienziato sul corpo della sua creatura, narrato dall’autrice britannica.
Il punto focale del femminismo di Shelley diventa la critica alle scelte di Frankenstein, cioè il suo desiderio di sostituirsi alla donna, madre biologica della creatura, e diventare riproduttivo, egli stesso creatore di un essere maschile e distruttore di un essere femminile. In quel caso viene mossa una critica fondamentale al primato della scienza sulla natura, mettendo in discussione la celebrazione ipertrofica della ragione che fa delirare gli uomini e li rende capaci di costruire mostri destinati a distruggere e autodistruggersi. Ma nella narrazione filmica, questa citazione letteraria vuole avere come obiettivo non la critica della ragione illuminista ma l’esaltazione della libertà di una creatura, capace di agire senza i vincoli di un’educazione di genere.
Bella si sveglia dall’operazione del medico con la coscienza di una bambina, promessa sposa a un certo McCandless, scappa con l’avvocato Duncan Wedderburn, essendo desiderosa di conoscere la vita e il mondo rimettendo ogni cosa in discussione. Il viaggio che compie è assolutamente trasgressivo e in contrasto con il comportamento di una ragazza perbene, come vuole il codice vittoriano dell’epoca. Anche la prostituzione viene narrata come un’esperienza scandalosa ed estrema del corpo, senza inibizioni e senso di colpa. Il sesso viene presentato come un’esperienza dei sensi, liberata da ogni sovrastruttura romantica oppure relazionale. Tutto diventa esperimento egocentrico e autocentrato. Come da millenni fanno gli uomini?
Questo risulta il primo livello di emancipazione esistenziale della donna, oltre ogni approfondimento psicologico, politico ed economico. Bella Baxter sperimenta come una bambina libera che si ribella spontaneamente a ogni catena. Cresce velocemente verso un’adultità controcopionale ancora poco evoluta. Dal copione della donna moglie sottomessa lobotomizzata dal patriarcato al controcopione della fanciulla libera ed estroversa che si ribella.
Come il romanzo di Gray, realista e sperimentale, bizzarro e virtuosistico, anche il film di Lathimos riesce a enfatizzare il lato illustrativo della narrazione cinematografica, creando un effetto ipnotico esaltante. Sicuramente il tema centrale è la guerra contro il patriarcato incarnato nella storia di ribellione di una donna durante l’epoca vittoriana, esempio trasgressivo e ribelle di un’emancipazione femminile che permette alla protagonista di sentire la sua fame di mondo, senza nessuna sovrastruttura politica, religiosa, culturale. Parliamo quindi del primo livello di emancipazione femminista vissuto come capacità di agire nella realtà senza vincoli, senza restrizioni, senza le barriere sociali degli stereotipi di genere. Bella non ha memoria di un’educazione pregressa misogina e maschilista e si muove liberamente per fare esperienza. Agisce come una bambina libera di assaporare la vita in tutte le sue declinazioni.
Il romanzo di Gray Povere creature! (in Italia edito da Safarà) è quindi una storia di emancipazione femminile ma dipende tutta dal punto di vista patriarcale dell’autore, il marito della protagonista. Alasdair Gray, autore di raffinato sperimentalismo, maestro dell’illusionismo letterario, aggiunge inoltre un terzo livello di lettura, tramite note storico-critiche autografe e dimostra come i contenuti del manoscritto siano veritieri, controllando ogni riferimento topografico. Ma Gray inganna il lettore: produce un falso d’autore. Tutto è inverosimile e costruito dal delirio onnipotente di due medici, dalla loro hybris maschilista. Povere creature!, sia il romanzo che il film, può essere letto come un atto di guerra contro il patriarcato e la sua esaltazione, una storia di ribellione e di sottomissione, un esempio di liberazione e un’epitome dell’età vittoriana.
Interessante e pieno di interrogativi essenziali è il parere di Cinzia Caputo, esperta del linguaggio mitologico e fiabesco, che offre un’altra chiave di lettura al film e considera Povere creature! una fiaba. Afferma che in film può essere letto come la reinterpretazione in chiave moderna de La Bella e la Bestia, dove Bella è la fanciulla ingenua che, sperimentando il pericolo e il dolore, arriverà a una conoscenza iniziatica, quella data dall’esperienza e dall’intuito, scevra da pregiudizi e sovrastrutture.
Tutto nasce dalla mente di uno scienziato privo d’amore, God, anche lui vittima del potere violento e patriarcale che ha subito innumerevoli torture solo a vantaggio del progresso scientifico e razionale. La sua creatura d’anima, quella che lui da morta riporta in vita attraverso l’esportazione del vecchio cervello e l’immissione del nuovo, quello del bimbo ancora vivo che porta in grembo. Bella deve imparare tutto, dal reggersi sulle gambe al linguaggio, non sa nulla, ma impara in fretta, ha una straordinaria intelligenza, che la porterà lontano dal suo creatore, per seguire lo spensierato seduttore, il Gaston della fiaba, che pensa di averla in pugno. Anche lui, però, vittima delle convenzioni e dei pregiudizi, di fronte alla spregiudicatezza della ragazza cade ai suoi piedi, ma non sarà corrisposto.
Bella è assetata di conoscenza del mondo, finirà in un bordello per scendere negli abissi del dolore e della nefandezza umana, ma ne comprenderà il senso e ne trarrà potere e forza. Amerà e proverà compassione, tornerà dal padre morente che da lei è stato trasformato, la loro unione spirituale rappresenta il ricongiungimento dell’Eros con l’Anima, la purezza e la scienza o la razionalità. La saggezza è nell’unione tra ragione e compassione, la compassione senza razionalità è ingenuità, la ragione senza compassione è freddo calcolo. Bella deve però compiere ancora un passo prima di essere pienamente libera e appartenere a se stessa, deve conoscere il suo passato, la sua storia, deve incontrare la vera bestia, l’uomo da cui è fuggita e per cui si è suicidata, l’uomo che voleva tenerla prigioniera, schiacciare il suo potere creativo, il suo Eros vitale, possederla, a differenza del suo creatore che la lascia andare. Alla fine la fiaba si capovolge, Bella incontra il suo persecutore, lo rende innocuo trasformandolo in bestia, l’incantesimo è al contrario, ossia la rappresentazione di ciò che era, un caprone stupido, mentre lei scopre il tutto in suo potere creativo e curativo, diventando una scienziata insieme all’aiutante buono del suo Padre creatore, anche lui figura positiva che non le nega la libertà.
Interessante allora comprendere che questo film, proprio per la sua capacità di sviluppare sentieri ardui del pensiero, apre al pensiero della complessità. Sarebbe infatti riduttivo considerare questa narrazione filmica un manifesto femminista ma diventa invece un’opportunità magistralmente realizzata di leggere in modo non superficiale la formazione identitaria della persona che si emancipa dalle gabbie culturali della sua epoca e questo monito, contestualizzato nella sua cornice letteraria e storica, si può declinare in molteplici modalità interpretative più ampie.
Contributo a cura di Floriana Coppola e Cinzia Caputo