Emmanuel Rudnitzky, noto come Man Ray, nato a Filadelfia il 27 agosto del 1890, ha sempre avuto nel cuore l’arte e la sua sperimentazione, in ogni forma. Ray è stato molte cose: pittore, grafico, fotografo surrealista ed esponente del Dadaismo. Sin da piccolo, si è dedicato al disegno frequentando scuole diverse. In particolare, alla National Academy of Design di New York, dal 1908 al 1912, ha approfondito gli studi in merito al disegno di nudo.
A quel tempo, frequentava gli ambienti culturali della Grande Mela tra cui il centro della Quinta Strada, ma la Little Galleries 291 gli ha dato l’opportunità di conoscere Alfred Stieglitz, nel 1910, perfezionando la sua formazione grazie anche a personaggi quali Duchamp e Picabia.
Il suo sperimentare, anche e spesso con fare provocatorio, è stato alimentato maggiormente da Adon Lacroix, intellettuale francese sposata nel 1910, che ha iniziato Man Ray alla letteratura – dal clima culturale esotico e provocatorio – d’avanguardia europea. Questo primo contatto con le opere di pittori avanguardisti hanno spinto l’artista statunitense verso un’arte tutta da scoprire, come ha dimostrato la prima esposizione a New York presso l’Armory Show. Altrettanto importante si è rivelata poi l’esperienza lavorativa in un’agenzia pubblicitaria dove si è occupato di design, grafica ed editoria acquisendo competenze che gli sono tornate utili tempo dopo nel suo lavoro di artista.
Il 1913 è stato un anno importante per Rudnitzky, come scrive Lara Vinca Masini nel suo libro Man Ray, l’anno della sua emancipazione dalla famiglia, del superamento del concetto tradizionale di arte, e l’anno, anche, del suo noviziato come fotografo. La fotografia, però, ha inizialmente rappresentato un mezzo per riprodurre meglio i suoi quadri, poi pian piano ha immortalato anche le opere d’arte dei suoi amici, in particolare quelle di Marcel Duchamp con il quale aveva un profondo rapporto di amicizia.
Proprio con Duchamp, Man Ray ha cominciato a frequentare anche Francis Picabia, il Photo-Secession di Stiglitz, e ha fondato nel 1915, anche con Walter Arensberg, la Society of Indipendents Artists a New York, mentre – come scrive Italo Zannier nel suo Occhio della fotografia – Picabia dava vita al movimento dadaista newyorkese, cui avrebbe aderito anche Stiglitz.
La fotografia è stata per Man Ray una scoperta in continua evoluzione. Un esempio è la sua passione per il cliché-verre con cui ha ottenuto disegni molto particolari, grazie alla graffiante vernice distesa sulle lastre di vetro che, a contatto con il foglio di carta sensibile, ne rivelavano per trasparenza le impronte relative. L’artista statunitense, d’altro canto, ha sempre continuato senza sosta la ricerca di nuove tecniche, sperimentando anche l’aerografo. Tuttavia, quelle che possono essere considerate le sue prime fotografie “creative” risalgono al 1920. Tra queste, Transatlantico, Moving sculture, L’inquietudine, Elevage de poussière, Grande vetro e altre.
In quello stesso anno, Man Ray ha realizzato il grande desiderio di trasferirsi a Parigi dove, come scrive Zannier, accolto trionfalmente dagli amici dadaisti e surrealisti ha messo subito a profitto la sua esperienza di fotografo, aprendo un atelier per la fotografia di moda e per il ritratto, settore in cui si è applicato soprattutto per gli artisti e gli intellettuali di sua conoscenza, componendo un nuovo Panthéon di personaggi celebri. Ray, però, è andato anche l’oltre l’utilizzo dell’apparecchio fotografico, creando immagini come i photogenic drawings di Talbot. Immagini, le sue, che però hanno preso il nome di Rayographs, di cui alcune pubblicate in un portfolio dal titolo Les Champs Délicieux. Queste, a differenza di quelle di Talbot, avevano una tridimensionalità che nessun’altra possedeva, grazie alle ombre sfumate degli oggetti appoggiati sulla carta fotosensibile e alle trasparenze illuminate lateralmente.
L’arrivo delle truppe naziste in Francia, nel 1940, però, hanno spinto Ray a fuggire prima a Lisbona, poi in America, continuando il suo lavoro di fotografo di moda tra New York e Hollywood. Nel 1950, infine, è rientrato a Parigi dove è rimasto fino alla sua morte avvenuta il 18 novembre del 1976. Come scrive Lara Vinca Masini, con Man Ray nascono i collages ai limiti dell’astratto, i ready-made, i rayogrammi e le solarizzazioni in cui la fotografia è usata per ottenere una sorta di misteriosa scrittura della luce, alla ricerca di una qualità sconosciuta, ma non per questo meno vera, delle cose.
Man Ray, infatti, con la sua arte, ha proposto un nuovo modo di intendere la fotografia e perseguendo ogni genere di “trasgressione” ha sempre cercato di allontanarsi il più possibile dalla sua tradizionale ipotesi documentaria.