L’emergenza allarmante messa in luce da editoriali e servizi televisivi sul mistero inquietante delle baby gang di Caivano e sull’ancora più inquietante assassinio a Napoli del giovane musicista fa capire come la violenza e il disagio giovanile o la barbarie incalzante dei femminicidi appartengono a un fenomeno sociale degenerativo che deve far riflettere l’intera comunità educativa degli adulti di riferimento.
La risposta istituzionale è la seguente: il Consiglio dei Ministri licenzierà il cosiddetto DL Caivano (o anti baby gang) come misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile. Il primo punto prevede l’istituzione, per le grandi città, di un osservatorio sulla devianza giovanile con il compito di combattere la dispersione scolastica e lavorare sulla rigenerazione urbana delle periferie. Segue un piano di interventi strutturali per il Comune di Caivano, con tanto di nomina di un commissario straordinario dotato di 30 milioni di euro da spendere per l’obiettivo. Viene disposta l’assunzione di quindici agenti di polizia locale. La dispersione scolastica sarà invece affrontata introducendo una pena fino a due anni di carcere per i genitori in caso di inadempienza, in aggiunta alla perdita degli assegni di inclusione. Nei confronti del soggetto che era tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi nei suoi confronti è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro, salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto, con conseguente abolizione della vecchia multa da 30mila euro.
Il DL Caivano prosegue poi con una parte dedicata ai minorenni: daspo urbano (ovvero il divieto di accesso a particolari arre della città) e avviso orale del questore anche per i quattordicenni, oltre alla possibilità di vietare l’uso dello smartphone per un periodo comunque non superiore ai due anni, per impedire ai giovanissimi l’accesso a internet, ritenuto origine di ogni male. Aumenteranno le pene per i minori trovati in possesso di armi o sostanze stupefacenti, nella speranza che questo possa fungere da deterrente. Previste anche norme per limitare l’accesso dei minorenni ai siti porno e ci sarà l’arresto in flagranza per reati legati al mancato porto d’armi o al possesso di armi atte a offendere.
Ma questa risposta istituzionale assolutamente punitiva previene realmente le cause che stanno scatenando l’aumento esponenziale di violenza sulle donne e sui minori, rendendo le nostre strade e le nostre case palcoscenici degni di un film horror? Affronta la maleducazione dello stereotipo del gioco sessuale del branco e della preda? Considerare il corpo di un’altra creatura uno strumento di piacere personale è un processo che ha radici profonde in un sistema che precede da millenni la struttura capitalistica della nostra società.
Come si costruisce questa totale mancanza di empatia verso la donna e verso il prossimo fino a farli diventare preda passiva del proprio piacere violento, del piacere sadico di esercitare il proprio potere di sopraffazione?
Erich Fromm nel lontano 1976 scriveva: Dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere molto. In una cultura nella quale la meta suprema sia l’avere, anzi l’avere sempre più, come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; se uno non ha nulla, non è nulla. Nella modalità dell’avere, la propria felicità risiede nella superiorità sugli altri, nell’esercitare il proprio potere, nella capacità di conquistare, depredare, uccidere. Dal momento che la società nella quale viviamo è dedita all’acquisizione di proprietà e al guadagno, la maggior parte di noi considera la modalità dell’avere come la più naturale, anzi l’unico stile di vita accettabile. Per gran parte delle persone riesce particolarmente difficile comprendere la caratteristica della modalità dell’essere.
L’idea che si possa costruire la pace mentre in pari tempo si incoraggia l’aspirazione al possesso e al profitto è un’illusione. L’homo oeconomicus ha sconfitto l’uomo spirituale, che aveva la sua radicalità nel messaggio evangelico e in altri sentieri mistici?
Adam Smith, nella Ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776, segna l’inizio della teoria economica moderna. Parla di una certa propensione della natura umana a trafficare, barattare e scambiare una cosa con l’altra. L’uomo “primitivo” (maschio), quando esce da una condizione di isolamento, manifesta un’innata tendenza all’arricchimento. Il capitalismo, in un’economia di produzione, rispetta il soddisfacimento di un gruppo umano che agisce tramite l’impresa, un’impresa che comporta un impiego dei capitali, un’impresa di produzione che controlla il rendimento col calcolo, sfruttando la forza lavoro dei lavoratori con l’alibi del benessere comune e del progresso. L’avanzare dell’ideologia consumistica fa del consumo l’unità di misura delle relazioni tra le persone. Avere o essere? Conflitto assolutamente vinto dalla prima azione.
Avere beni, consumare beni e persone nella loro oggettualità. Questo è il diktat socio-ambientale prevalente, il codice antropologico dei rapporti tra gli uomini e le donne. Che fine fanno gli ordini morali del rispetto, del dono, dell’empatia verso il prossimo, della reciprocità nella relazione? Alla paura del mondo e del futuro di cui parlavano Miguel Benasayag e Gérard Schmit nel saggio L’epoca delle passioni tristi, si è sostituita la fame bulimica di cose e di persone fatte cose. I due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza si sono interrogati sull’entità e sulle cause del diffondersi delle patologie psichiatriche tra i giovani, di un malessere diffuso. La fede nel progresso è stata ormai sostituita dal futuro cupo, dalla brutalità che identifica la libertà con il dominio di sé, del proprio ambiente, degli altri. Tutto deve servire a qualcosa e questo utilitarismo condiziona i più giovani e li educa.
L’Associazione Gogreen (onlus nata nel 2010 che sostiene iniziative di charity a favore dell’uomo e dell’ambiente) dichiara che Antropocene è la nuova era geologica caratterizzata dall’impatto sempre più determinante e incisivo delle attività umane sui grandi equilibri della biosfera e da una pressione considerevole sulle risorse naturali, creando delle dinamiche esponenziali su tutti i fronti.
Tra le cause che sembrano essere all’origine di questa ferocia dell’umanità nel distruggere le condizioni della sua stessa vita c’è la cosiddetta “cultura no-limits”, che porta l’uomo a rifiutare ogni limite, facendo della libertà un assoluto. Già Bernard Mandeville, nel 1705, con la sua La favola delle api: ovvero vizi privati, pubbliche virtù ha profeticamente criticato l’apologia del consumo e della crescita. La morale della favola con cui Mandeville conclude è chiara nel suo significato: soltanto gli sciocchi cercano di rendere onesto un grande alveare, in quanto ricchezza e virtù sono incompatibili.
Serge Latouche nel suo saggio Breve storia della decrescita intende per decrescita un’inversione della curva di crescita del prodotto interno lordo e quindi la fine dell’ideologia della crescita, ovvero del produttivismo. Il mito della ricchezza e della produttività svela ogni giorno di più il suo lato oscuro. All’aumento dei consumi corrisponde il degrado morale e sociale della qualità della vita. Bisogna recuperare ciò che è andato perduto. Il sacro non corrisponde certo all’imperialismo maschilista della struttura ecclesiastica cattolica, ma riconduce al messaggio cristiano di amore per il prossimo, amore incarnato nella relazione di ogni creatura con il mondo e con ogni sua forma di vita.
Bisogna dare credito e investire nella “po/etica della relazione”, ricominciare a stare tra le persone, a essere costruttori e costruttrici di pace e di parola non violenta, in ogni quartiere, in ogni palestra, in ogni aula dove il sapere non è colonizzare l’altro in un sistema competitivo di erudizione ma è la sapienza della cura e dell’ascolto, la pazienza della convivenza nella differenza, nella coesistenza pacifica e pacificata del prossimo.
Édouard Glissant scrive nel suo saggio La poetica della relazione che la relazione si allaccia nell’incontro con l’altro, con l’estraneo, riconosciuto come tale. I ragazzi, i nostri figli, tutti i figli, possono essere portatori e portatrici di una cultura diversa, sicuramente disperata e disperante, dove può non esserci posto per l’etica del lavoro, per la fiducia nel futuro e allora siamo noi adulti a dover imparare a dialogare di nuovo con loro per essere interlocutori credibili e affidabili dentro e fuori le istituzioni e ricostruire insieme quel progetto di vita civile che i dati della dispersione scolastica così in ascesa in Italia, e soprattutto al Sud, fanno capire quanto sia lontano e incomprensibile.