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Le bianche torri di Miramar

Sarah Brandi di Sarah Brandi
30 Giugno 2021
in Viaggi
Tempo di lettura: 3 minuti
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O Miramare, a le tue bianche torri
attedïate per lo ciel piovorno
fósche con volo di sinistri augelli
vengon le nubi.

O Miramare, contro i tuoi graniti
grige dal torvo pelago salendo
con un rimbrotto d’anime crucciose
battono l’onde.

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Sono queste le strofe che aprono Miramar, un componimento contenuto nella raccolta Odi Barbare, scritto dal poeta Giosuè Carducci nel 1878 per raccontare la tragica fine dell’arciduca Francesco Massimiliano D’Asburgo in Messico per fucilazione. Il verseggiatore italiano dà vita alla sua poesia descrivendo le bianche torri del Castello di Miramare, dimora dello sfortunato Massimiliano localizzata a 8 km a nord-ovest da Trieste. Situato sulla punta del promontorio di Grignano, uno sperone carsico a Dirupo, Schloss Miramar, in tedesco, è diventato uno dei simboli del capoluogo friulano e accoglie dal 1955, anno in cui è stato convertito in museo, innumerevoli visitatori che si perdono tra le sue stanze e il parco.

Più che presentarsi come una vera e propria roccaforte, l’edificio è il perfetto esempio di residenza principesca del XIX secolo. Voluta dall’arciduca d’Asburgo per ospitare lui e la sua consorte Carlotta di Belgio, la rocca fu costruita secondo il progetto dell’ingegnere austriaco Carl Junker tra il 1° marzo 1856, giorno in cui fu posta la prima pietra, e il 1860, anno in cui la nobile coppia vi si stabilì definitivamente. Tuttavia, nel 1864 i due lasciarono il luogo per salpare alla volta del Messico, di cui Massimiliano sperava di diventare imperatore, trovando invece la morte. Carlotta, in cambio, vi fece ritorno per un breve periodo ma fu rinchiusa a causa della sua pazzia. Il castello tra il 1869 e il 1896 ospitò per diverse volte anche quella che da tutti è conosciuta come la principessa Sissi. Inoltre, dal 1930 al 1937, fu residenza del Duca Amedeo D’Aosta, che modificò l’assetto dell’ala sinistra del secondo piano. Durante la Seconda Guerra Mondiale, infine, fu prima quartiere generale per le truppe neozelandesi e poi per quelle inglesi e americane.

La sua posizione, su un dirupo che dà sul mare, ne ispirò il nome, che proviene dallo spagnolo mirar el mar, e fu scelto dal suo fondatore poiché la vista della dimora gli riportava alla mente quella dei castelli spagnoli affaccianti sulla costa dell’Oceano Atlantico. Miscuglio di stile gotico, rinascimentale e medievale e composta da due piani, il primo più modesto e familiare e il secondo più sfarzoso, la residenza nobiliare vanta venti stanze. Da sempre elemento molto caro a Massimiliano, il mare fu anche d’ispirazione per la decorazione di questi ambienti, opera degli artigiani Franz e Julius Hofmann, che per l’appunto ricordano quelli di velieri e galeoni. In particolare, il colore delle acque è rintracciabile nell’azzurro delle tappezzerie del pianoterra e nel nome di alcuni ambienti come la Sala della Novara, la cui denominazione deriva dall’imbarcazione che compì il giro del globo per ordine dell’arciduca. Anche la stanza da letto di quest’ultimo e il suo studio rivelano la passione per gli abissi, poiché entrambi sembrano riprodurre negli arredi la cabina di una nave.

Oltre che per le sue stanze incantevoli, tra le quali vanno ricordate la biblioteca ricca di volumi ottocenteschi e la Sala del trono, il Castello Miramare è noto anche per il suo famoso parco di ben ventidue ettari. Un vero e proprio bosco, con giardini all’inglese e all’italiana, che si protende verso il mare e ospita innumerevoli esemplari vegetali. Decorato da laghi e statue, tale distesa fu fortemente voluta da Massimiliano, amante della botanica. Leggenda narra che non avendo potuto godere di questa meraviglia in vita, l’arciduca vi sia ritornato da morto come fantasma e vi passeggi pacificamente ogni notte, curandone la vegetazione.

Per chi passa da Trieste una visita al Castello di Miramare è d’obbligo, per godere delle sue bellezze e della sua vista mozzafiato, ma soprattutto per rivivere la storia di quelle torri bianche che ispirarono Carducci.

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