Alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, l’economista, filosofo e poeta Kenneth E. Boulding (1910-1993) scrisse: Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista. Lo studioso inglese è ritenuto il co-fondatore della teoria generale dei sistemi e il precursore dell’economia circolare: un sistema economico organizzato in maniera tale da autorigenerarsi, a garanzia della sua ecosostenibilità.
Il modello dominante dell’economia lineare è caratterizzato dalla catena produzione-consumo-smaltimento, dove quello che viene prodotto è destinato a diventare un rifiuto, che viene smaltito e va a inquinare i suoli, l’aria e le acque, portando al degrado ambientale di vaste zone del pianeta. Nell’economia circolare, invece, gli scarti non diventano rifiuti perché si ritrasformano in materie prime che potranno essere riutilizzate nel circolo produttivo, economico e sociale.
L’articolo scritto da Boulding nel 1966 e intitolato The economics of the coming spaceship Earth diede un impulso importante alla teoria e alle pratiche dell’economia ambientale. Il professore di Oxford, in seguito naturalizzato statunitense, criticava il modello economico predatorio del Cowboy, che agiva in spazi enormi, dove trovava molte materie prime e disperdeva nell’ambiente quantità sempre più crescenti di rifiuti. Il modello futuro dell’economia dell’Astronauta, come lui stesso lo definì, invece, agisce in spazi ristretti e, dal momento che dispone di materie scarse, ricicla i rifiuti che produce per creare nuovi materiali ed energia.
Per conservare l’Astronave Terra, insomma, gli esseri umani devono riorganizzare il modello economico planetario del ciclo della produzione, del consumo e della gestione dei rifiuti in una modalità ecologica. Nell’economia circolare vi sono flussi di materiali biologici, che vengono integrati nella biosfera – l’involucro esterno alla superficie terrestre, composto da atmosfera, litosfera e idrosfera, nel quale si rintracciano le condizioni basiche per la vita animale e vegetale – e quelli tecnici, che bisogna rivalorizzare, evitando che entrino nella biosfera.
Un altro studioso considerato tra i “padri” della circular economy è Walter Stahel. Negli anni Settanta del XX secolo, il 74enne architetto svizzero fu tra i primi a definire un’economia a ciclo chiuso e rigenerativo, considerandone anche l’impatto sulla competitività, sull’ambiente e all’interno della vita societaria. Nella sua opera Economia circolare per tutti (Edizioni Ambiente, 2019), Stahel ci ricorda che la circolarità, il principio che governa la natura, è alla base anche della società circolare e che il capitale umano costituito dalle persone, dalle loro competenze e dalla loro creatività, insieme alla capacità di cura individuale e collettiva, è alla base di questa società circolare e di un futuro sostenibile. Lo studioso immagina, infine, il passaggio da una dimensione locale dell’economia circolare a una globale, capace di affermarsi come opzione predefinita per la futura governance del pianeta Terra.
Ci sono voluti diversi decenni, tuttavia, perché l’economia circolare fosse presa in considerazione anche nelle sedi internazionali, come nel 2014 al World Economic Forum di Davos, e diventasse una reale opzione alternativa al modello dell’economia lineare che ancora domina il mondo e saccheggia le risorse naturali dall’ambiente, restituendole in forma di rifiuti che procurano danni enormi all’ecosistema dell’intero globo terracqueo.
L’economia circolare si oppone all’attuale sistema economico e, soprattutto, alle conseguenze che rischiano di far diventare invivibile il pianeta Terra in un futuro non troppo lontano. I cambiamenti climatici e gli sconvolgimenti che stanno portando sono cronaca quotidiana, mentre le difficoltà per l’approvvigionamento delle materie prime testimoniano l’insostenibile follia dello sviluppo infinito su di un pianeta dalle riserve materiali grandi ma finite. Le risorse non riescono a rigenerarsi a causa dei ritmi di produzione e consumo e, quindi, il risultato è drammaticamente visibile nella crisi ecologica provocata dall’inquinamento e dalla distruzione della biodiversità.
All’insegna del fare meno con meno, bisogna eliminare lo spreco di cibo, rimodellando la filiera degli allevamenti e, mettendo insieme principi nutrizionali ed etici, ridurre il consumo di carne. Va contenuto il risparmio energetico, inoltre, unendo la sufficienza all’efficienza: abitazioni più piccole, diminuzione dei consumi per il riscaldamento, affidandosi anche all’utilizzo delle fonti energetiche alternative, e viaggiare meno. Il riciclo dei materiali usati nella produzione, infine, portano a una diminuzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera che concorre al contenimento del global warming e degli effetti devastanti del cambiamento climatico.
Organizzare l’agire individuale e comunitario secondo i principi e le pratiche dell’economia circolare, insomma, significa adottare uno stile di vita differente, operando quella riconversione ecologica dell’economia – intesa sia dal punto di vista personale sia da quello strutturale e sociale – che i decisori politici, alle prese con la crisi pandemica e ambientale in atto, considerano necessaria per un futuro sviluppo sostenibile. Quest’ultimo concetto, è bene sottolinearlo, si riferisce alla capacità di produrre salvaguardando i sistemi naturali da cui prendiamo le risorse, nel rispetto della loro capacità di assorbire scarti e rifiuti, ma riguarda anche la redistribuzione equa delle risorse e dei beni, senza la quale qualsiasi organizzazione economica non riuscirà ad assicurare la sostenibilità sociale della sua programmazione e, quindi, ad affrontare le sfide e a contenere i danni presenti nell’attuale sistema-mondo globalizzato.