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Vaccino: se i paesi poveri restano senza, nessuno sarà al sicuro

Chiara Barbati di Chiara Barbati
10 Febbraio 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 4 minuti
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Come era prevedibile, la distribuzione del vaccino anti-COVID non si è rivelata meno difficile della ricerca dei preziosi farmaci, così la disparità tra paesi ricchi e paesi poveri, tra governi tutelati dal denaro e luoghi in via di sviluppo, è stata quasi inevitabile. Qualche settimana fa abbiamo criticato la richiesta di Letizia Moratti di organizzare la distribuzione del vaccino in base al prodotto interno lordo di ogni regione, indignati dall’impudica arroganza con cui si è provato a sostenere di favorire i luoghi più benestanti a discapito di quelli più abbienti. La notizia, che ha fatto parlare proprio per l’ingiusta iniquità di quelle parole, ha generato molto sdegno da parte dell’opinione pubblica che si è sentita coinvolta in prima persona. Tuttavia, come accade spesso quando i torti non ci colpiscono direttamente, anzi, quando siamo chi da essi trae vantaggio, è molto più difficile richiedere giustizia.

È esattamente ciò che sta succedendo con la distribuzione dei vaccini non all’interno dei vari paesi, ma tra di essi e, soprattutto, tra i paesi ricchi e quelli poveri. L’evidente disparità tra chi può pagare e chi non può è iniziata quando le sperimentazioni non erano ancora concluse, ma gli Stati ricchi stavano prenotando già molte più dosi del necessario. Una mossa certamente lungimirante, quella di assicurarsi più farmaci di più compagnie, in modo da non rischiare di non averne a sufficienza nel caso una sperimentazione fosse fallita, ma anche una mossa molto egoista da parte di quei paesi che hanno potuto permettersi di spendere tanto, lasciando poche briciole a chi, invece, non ne aveva la facoltà.

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Oggi, le notizie in arrivo in merito ai vaccini sono – per noi – piuttosto rassicuranti. Le ultime dichiarazioni dell’Unione Europea riguardano l’obiettivo di vaccinare il 70% della popolazione adulta entro l’estate. Dopo settimane di ritardo nella consegna, infatti, sia Pfizer che BioNTech hanno aumentato la produzione, garantendo all’Europa 75 milioni di dosi in più del previsto entro l’estate e 600 milioni entro la fine dell’anno. Anche gli Stati Uniti procedono piuttosto velocemente con le somministrazioni, ma nel resto del mondo cosa succede davvero?

Secondo il vaccine tracker del Financial Times, le persone vaccinate hanno superato i casi registrati di COVID-19. Secondo gli ultimi dati, l’immunizzazione per ora ha coinvolto 133.055.494 individui, mentre i nuovi contagi ufficiali sono inferiori, 106 milioni. È innegabile che questi numeri siano estremamente rassicuranti, soprattutto in seguito alle titubanze nei confronti delle tempistiche di produzione e distribuzione del vaccino. Tuttavia, i numeri mondiali non sono rappresentativi di una distribuzione equa tra i paesi. Se ieri, in Italia, hanno ricevuto il vaccino – tra prima e seconda dose – 60.499 cittadini, nei Paesi poveri non si superano le 25 dosi al giorno.

La disponibilità dei farmaci è solo la punta dell’iceberg delle ingiustizie: anche il prezzo del vaccino cambia in base al paese a cui è destinato. Se in Europa, infatti, una dose di AstraZeneca è venduta a due dollari, per averne accesso in Sudafrica sono necessari 5 dollari, 7 in Brasile e addirittura 17 in Uganda, rendendo dunque le vaccinazioni un lusso che i paesi in via di sviluppo non possono permettersi. Alla luce di questi dati, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus ha definito la situazione una catastrofe morale. Si parla di vero e proprio nazionalismo farmaceutico, di un sistema che non tiene conto del benessere comune e tenta di salvaguardare solo il proprio orticello. Il problema morale non si pone soltanto nei confronti dell’evidente disparità di dosi distribuite per numero di abitanti, ma anche, come ha sottolineato Ghebreyesus, nel fatto che persone giovani, sane e non a rischio dei paesi ricchi verranno vaccinate prima di operatori sanitari e anziani nei paesi in via di sviluppo. E, anzi, questa evidente ingiustizia è già in corso.

Non sono stati, d’altronde, solo le nazioni più benestanti ad accaparrarsi egoisticamente molte più dosi del necessario, ma le stesse case farmaceutiche ne hanno favorito la precedenza. La maggior parte di esse ha fatto in modo che le agenzie regolatorie dei paesi più ricchi approvassero il loro vaccino prima dell’OMS, favorendo quindi una distribuzione prioritaria solo per certi Stati e non per il mondo intero. Si è creato, dunque, un sistema infinitamente iniquo, che tralascia la solidale e necessaria cooperazione internazionale in favore delle logiche del denaro: in parole povere, chi offre di più, sopravvive.

L’OMS ha tentato di mettere un freno alle ingiustizie ma il COVAX, la struttura creata appositamente per garantire una distribuzione equa, è in forte ritardo sui programmi e, soprattutto, soffre di una mancanza di fondi. Gli stanziamenti nazionali sono stati piuttosto contenuti e provenienti principalmente dall’Europa: gli Stati Uniti di Trump, infatti, hanno rifiutato qualunque legame con l’OMS e solo un intervento della nuova amministrazione potrà cambiare le cose. Intanto, però, l’obiettivo di COVAX di distribuire in modo equo 2 miliardi di dosi in tutto il mondo entro la fine dell’anno non sembra solo lontano, ma probabilmente irraggiungibile.

Il comprensibile seppur immorale bisogno di accaparrarsi il maggior numero di dosi nel minor tempo possibile non rappresenta solo un’ingiustizia sociale. Oltre a macchiare i Paesi ricchi di sgradevoli peccati e a condannare milioni di persone a patire la pandemia molto più di quanto non stiano già facendo, la corsa ai vaccini non salverà nessuno dalle conseguenze di una distribuzione iniqua. Lasciare che il virus proliferi in zone del mondo in cui l’immunizzazione tarda ad arrivare, e il distanziamento sociale è improponibile utopia, favorirà lo sviluppo di nuove varianti che minacceranno anche i vaccinatissimi paesi sviluppati.

Se le implicazioni morali non scalfiscono il capitalistico egoismo dei governi più ricchi, almeno l’istinto di sopravvivenza dovrebbe guidarli verso decisioni più coscienziose. Sono numerosi gli scienziati che avvertono dei pericoli che tale iniqua distribuzione comporta e solo una cooperazione internazionale può porvi rimedio. Intanto, mentre le vaccinazioni restano un’incertezza e i paesi si contendono il prezioso siero salva-vite, la pandemia che stiamo vivendo non riconosce confini politici e differenze economiche. Questo virus continua a rappresentare una minaccia globale e non è possibile credere che l’azione individuale dei singoli Stati possa bastare a salvaguardare il territorio all’interno dei confini. Solo una coordinata, vasta e soprattutto equa azione internazionale può salvarci.

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