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Interviste

Italiani all’estero: «Vi raccontiamo il nostro COVID-19»

Lo scorso 11 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito quella causata dal COVID-19 una pandemia, constatando che il numero ufficiale dei casi era di 118mila, 114 i Paesi interessati e le vittime oltre 4mila. I dati, a oggi, vanno ben oltre e la preoccupazione di un’espansione del virus in ogni parte del mondo è supportata dalle notizie che ne confermano il rapido evolversi.

Abbiamo chiesto a due ricercatori e a una docente universitaria residenti negli Stati Uniti e a un docente in Germania – da noi intervistati in passato per un’inchiesta sugli italiani all’esterodi inviarci una testimonianza di quanto avviene nei loro Paesi di residenza e sul piano personale. Di seguito, le loro risposte.

Dario Nicetto, San Francisco (USA)

nicetto13 marzo – Si inizia soltanto adesso a percepire la pericolosità del virus COVID-19. Ho come l’impressione che siamo 7-10 giorni in ritardo rispetto all’Italia. Questa settimana sono iniziate un po’ di misure preventive (chiusura di piscine, palestre, scuole) ma i ristoranti sono pieni e, sebbene tutti parlino di social distancing, si vedono ancora assembramenti di persone che, inspiegabilmente, sono consentiti, ma limitati a gruppi di massimo 250. Nella Bay Area, i provvedimenti non sono presi in modo uniforme (almeno fino a qualche giorno fa). I vari Comuni si stanno adoperando per far fronte al virus separatamente e ciò non contribuisce a fronteggiare la situazione in modo omogeneo. I supermercati iniziano a essere presi d’assalto. Scaffali vuoti, carrelli pieni e continuo andirivieni di persone (social distancing, questo sconosciuto).

Le stime indicano che il 40-70% della popolazione USA verrà infettata nei prossimi 12-18 mesi (fonte: University of California San Francisco (UCSF)’s panel on coronavirus, 03-10-2020) e il sentimento generale è che si stia facendo poco a livello federale per fronteggiare la situazione. Intanto, ci è stato consentito di lavorare da casa (remote) quando possibile. Al personale che non può fare altrimenti, invece, è stato indicato di minimizzare le ore di lavoro in laboratorio. Già alcune aziende biotech hanno registrato casi positivi. Se ciò accadesse nell’azienda in cui lavoro, si procederebbe a un drastico shutdown per un periodo indefinito. L’impatto economico relativo al COVID-19 sarà certamente considerevole in tutta la zona. Quanto a me, non ho competenze in virologia, per cui non mi sento di dare consigli, ma come tutti seguo le indicazioni generali e personalmente cerco di evitare luoghi affollati.

Claudia Cosentino, New York (USA)

claudia16 marzo – New York è una città complessa e dalle mille sfumature, la risposta all’emergenza COVID-19 non fa eccezione. Da un lato, le istituzioni hanno dichiarato lo stato di emergenza per poter avere più libertà d’azione, Broadway ha spento le luci, le università sono passate a lezioni online e iniziano a muoversi per ridurre le attività di ricerca. Dall’altro, i negozi, le palestre, i ristoranti, i bar e altri esercizi aumentano la frequenza delle pulizie ma, salvo qualche eccezione, non chiudono. In generale manca uniformità nella risposta e così non si va da nessuna parte. Proprio nelle ultime ore, però, le cose sembrano cambiare… Alcuni stati hanno chiuso le scuole e stanno iniziando a prendere provvedimenti simili a quelli presi in Italia. Anche a New York la scuola pubblica finalmente chiude le porte. Dico “finalmente” perché quello di New York City è un distretto scolastico enorme e la chiusura era stata definita un’ultima risorsa quindi se hanno adottato questa misura vuol dire che finalmente c’è la volontà di combattere il virus con decisione.

E allora se alla domanda “come vivi questa situazione?” poche ore fa avrei risposto “con estrema incertezza”, adesso che le cose si muovono dico “con un pizzico di ottimismo in più”. Io nel mio piccolo evito di andare al ristorante o prendere la metro, faccio la spesa su internet (come già facevo prima, anche se ora ci mette più tempo ad arrivare), riduco il più possibile le uscite ma non le azzero ancora per poter conservare un po’ di energia nel caso dovessimo arrivare alle misure dell’Italia.

Alessandra Dall’Agnese, Cambridge (USA)

ricerca18 marzo Le mie giornate procedevano con regolare normalità: piena di energia, sveglia di prima mattina, un po’ di allenamento per contrastare una vita fatta di molte ore immobile davanti a un microscopio o intenta a studiare e, poi, di corsa al lavoro per scoprire potenziali nuovi meccanismi molecolari causa di diabete e cancro. Sono una ricercatrice biomedica presso il Whitehead Institute for Biomedical Research, istituto di ricerca affiliato al Massachusetts Insitute of Technology (MIT), di Cambridge, negli USA. Confesso che in queste ultime settimane, il mio pensiero è stato spesso rivolto ai miei famigliari e amici in Italia, sapevo che il coronavirus stava mettendo in crisi il Paese ed ero (e sono tuttora) molto preoccupata per loro. Da ricercatrice, so che si tratta di una sindrome respiratoria, con la caratteristica di essere molto trasmissibile e che nei casi più gravi può essere mortale. Purtroppo si tratta di un virus ancora imprevedibile di cui si sa veramente poco, ma che in pochi mesi ha già causato troppe morti nel mondo, mettendo a dura prova il sistema sanitario ed economico di tanti Stati.

Poi, un pomeriggio, così all’improvviso, la comparsa di sintomi che ormai sono di dominio comune. Mi sono immediatamente preoccupata di avvisare chi di competenza nell’istituto dove svolgo il mio lavoro e mi sono subito recata a casa cercando di stare alla larga da tutti. Dopo pochi secondi dal mio arrivo, la mia coinquilina era già sull’uscio con i bagagli in mano pronta a trasferirsi in un albergo vicino, io non ero certo nelle condizioni di lasciare l’appartamento, ovviamente. Era importante ricordare tutte le persone con cui ero entrata in contatto nelle due settimane precedenti. Sebbene già debole, ho quindi incominciato a telefonare e a scrivere per spiegare loro la situazione. Fra queste, c’è stato chi mi ha ringraziato, chi si è arrabbiato e mi ha aggredita, chi è rimasto in silenzio… Tutte reazioni pienamente giustificate, tuttavia devo riconoscere che alcune sono state molto difficili per me da gestire mentre la dannata fame d’aria mi toglieva le ultime energie.

Rinchiusa in casa, a fare i conti sul da farsi, con lo sconforto di essere sola a gestire una situazione più grande di me, inizialmente mi sono sentita un po’ abbandonata e preda assoluta del virus. Per fortuna, non sono mai mancati i contatti con la mia dottoressa, anche attraverso la sua infermiera, entrambe attente a monitorare a distanza la mia condizione di salute, raccomandandomi soprattutto di non andare in nessun ospedale dato che ancora non erano del tutto attrezzati per questa malattia. Sebbene le conversazioni telefoniche fossero brevi, erano un toccasana, sentivo la professionalità di chi stava dall’altra parte, questo mi tranquillizzava e mi permetteva di sfamarmi un po’ d’aria, allentando la tensione. Col passare dei giorni, però, i miei sintomi peggioravano e sono peggiorati fino al punto di dover ricorrere alle cure del pronto soccorso. La mia dottoressa aveva preannunciato ai sanitari il mio arrivo facendo presente che avevo fatto il vaccino dell’influenza così, ad accogliermi, ho trovato un medico e un’infermiera in versione Ghostbuster che mi hanno visitata e fatto vari test, fra cui quello per lo streptococco e quello per l’influenza (A e B) oltre a quello per il coronavirus. I risultati dei test batteriologici e per l’influenza A e B sono arrivati subito: tutto negativo. Test del coronavirus? L’attesa è stata di tre giorni, negativo anche quello ma con una postilla: questo test non esclude l’infezione da coronavirus per la cui diagnosi si devono tenere in considerazione i sintomi del paziente, la sua storia e le informazioni epidemiologiche.

Tenuto conto di queste ultime considerazioni, essendo i miei sintomi uguali a quelli che si manifestano in soggetti con COVID-19, essendo stata esposta al contagio in quanto a stretto contatto con persone malate e provenienti da tutto il mondo, tra cui la Cina, sembra proprio che io sia affetta da COVID-19. Devo anche sottolineare che, in breve, ho cominciato a sentire una grande solidarietà intorno a me: telefonate, messaggi, videochiamate ed e-mail si susseguono in modo talmente serrato, tanto che il mio lavoro principale sembrerebbe quello di rispondere alle tantissime dimostrazioni di affetto. Oggi ho persino ricevuto un pacco pieno di cibo dal Texas inviato da un mio caro collega. Il supporto di parenti e amici mi ha dato e mi dà molta forza per combattere contro il virus. Il mio pensiero ora va a tutti coloro che stanno affrontano questa malattia, li vorrei incitare a lottare e a non mollare: coraggio!

Oggi è il primo giorno in cui sto un po’ meglio e la mia mente si sta di nuovo concentrando sul lavoro di ricerca, da casa per ora. Sapete quale sarà la mia prossima sfida? Non ci vuole troppa fantasia per immaginarlo e so che avete indovinato! Esatto: ho già scritto al mio mentore una richiesta per poter lavorare per combattere questo virus super infettivo e sto elaborando un nuovo progetto prima ancora di ricevere la sua risposta. Non sono un’immunologa, ma sono sicura che da più punti sarà studiato, prima sarà debellato. Tutti insieme, riusciremo a togliergli la corona e a sconfiggere il virus!

Approfitto da qui per ringraziare tutti coloro che mi hanno dimostrato solidarietà, vicinanza e affetto e, fra le persone a cui dire grazie, oltre al mio mentore, ci sei anche tu Antonio, che mi hai permesso di raccontare questa storia fatta di normalità e di speranza. #andràtuttobene

Pancrazio La Spina, Baviera (Germania)

covid-1918 marzo Le autorità federali adottano continuamente misure mirate a contenere l’estendersi dei contagi, in effetti come in altri Paesi della UE. Le scuole di ogni ordine e grado sono chiuse sino a dopo le ferie di Pasqua, che in quasi tutti i Bundesländer hanno una durata di 2 settimane per cui gli studenti avrebbero goduto di un periodo di ferie già previste dal 6 al 18 aprile. Ciò significa che, ad esempio, in Baviera, hanno 5 settimane libere. Quanto alla vita privata, da alcuni giorni, e prevedibilmente per qualche tempo ancora, vediamo di rado i due nipoti più giovani che abitano quasi porta a porta con noi ma i quali si astengono, con grande e mirabile disciplina, dal venire dai nonni, cosa che sinora hanno fatto giornalmente, più volte, sia per i pasti dopo la scuola e il Kindergarten, sia per giochi e qualche trasmissione televisiva per ragazzi a prima sera prima di cena. Ecco, questa è la rinuncia, un po’ dolorosa: il non potersi vedere, se non che per poco e a distanza, rinuncia da loro rispettata mirabilmente, come saggi giovincelli, e da noi nonni sopportata. Per il resto, abitiamo in una città giardino, con molti spazi e molto verde, anche blu (rido) per un lago in area urbana che si presta per passeggiarci intorno.

Tutto sommato, si vive attualmente a “piccola fiamma”. Sia le autorità che gli operatori hanno interdetto, ovvero disdetto, viaggi per l’estero e l’interno nel prossimo futuro. Noi personalmente avevamo previsto mesi fa un viaggio organizzato nello Schleswig-Holstein per l’inizio di maggio. Probabilmente non se ne farà nulla. E ci dispiacerebbe. Non rimane che attendere gli eventi.

Italiani all’estero: «Vi raccontiamo il nostro COVID-19»
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