La politica italiana di questi anni ha abituato le persone a una caratteristica tutt’altro che nobile: il trasformismo. Non sorprende ormai più la vacuità di una dichiarazione, non indigna un cambio di casacca, non scandalizza il rinnegamento di un ideale. La capacità di affermare una cosa e operare all’opposto nel giro di poche ore è l’arte peggiore in cui tutte le parti si sono fatte maestre.
Questa ignobile prerogativa è stata spesso associata, in passato, agli esponenti del centrodestra di matrice berlusconiana. Tanti, negli anni, sono stati gli acquisti portati a termine dall’ex Cavaliere e presidente del Milan, abile sul mercato dei calciatori quanto tra i banchi del Parlamento. Così – come per il pallone – i concorrenti ne hanno seguito le gesta, acquisendone il metodo e, talvolta, persino perfezionandolo. A oggi, di fatto, ogni differenza è stata azzerata e riconoscere l’integrità di un politico dal suo curriculum è fatto assai raro.
Nell’epoca della Lorenzin che trova posto ai tavoli dei democratici, dei 5 Stelle che screditano ogni mozione che li ha portati al potere, di Enrico Letta che sventola la bandiera di Israele in compagnia della Lega, di Matteo Salvini che semplicemente recita la parte di se stesso (in contraddizione perenne), PD e 5 Stelle cambiano idea sul debito che blocca Napoli e l’ha soffocata negli anni addietro.
Il trasformismo della nuova alleanza – maturata in occasione del Governo Conte Bis e riproposta per le prossime elezioni comunali – prende una piega insperata fino a qualche stagione fa, quando il Sindaco Luigi de Magistris sfilava, con la cittadinanza a seguito, verso i palazzi di Roma chiedendo giustizia e diritti per la città. Nel 2018, nessuno si dimostrò disponibile ad ascoltare le rimostranze del Primo Cittadino partenopeo, oggi dem e pentastellati bagnano la candidatura dell’ex Ministro Manfredi con il Patto per liberare Palazzo San Giacomo dalla stretta del debito.
È bene ricordarlo: appena tre anni fa, Luigi de Magistris arrivava allo scontro con il governo per chiedere la rimozione del debito di oltre cento milioni di euro contratto dalle precedenti amministrazioni in forza al capoluogo campano a causa del terremoto dell’Irpinia del 1980, poi della successiva emergenza rifiuti. Un ammontare considerevole di denaro per il quale erano state bloccate le casse del Comune guidato dall’ex magistrato ora in corsa per la presidenza della Regione Calabria e, di conseguenza, i servizi essenziali per la cittadinanza.
Né l’asse Renzi-Gentiloni prima, tantomeno il duo Di Maio-Salvini poi avevano accordato a Napoli lo stesso trattamento riservato alla Capitale, con le passività accumulate dal Campidoglio che proprio quest’anno verranno trasferite quasi per intero alle casse dello Stivale. Una situazione grottesca che il trasformismo d’opportunità che ora unisce PD e 5 Stelle ha finalmente riconosciuto.
Così, incapaci di proporre un’alternativa politica alla rivoluzione arancione piombata su Napoli nel 2011, poi confermatasi nel 2016, dem e grillini puntano ad arruffianarsi i napoletani promettendo ciò che spetterebbe a qualunque Sindaco dovesse succedere a de Magistris. Gaetano Manfredi ha fatto leva proprio sul Patto per Napoli firmato da PD, 5S e LeU per sciogliere la riserva e annunciare che correrà per la poltrona di Palazzo San Giacomo contro Alessandra Clemente (demA), Antonio Bassolino e Catello Maresca (cdx).
Proprio la candidata Alessandra Clemente (attualmente Assessore al Patrimonio, Lavori Pubblici e Giovani), che a questo giornale aveva già affidato il suo pensiero sul debito ingiusto che affligge la città di Napoli, ha puntato il dito verso il trasformismo della ritrovata alleanza e, dunque, lanciato la sfida all’ex Ministro: «Se Manfredi ha cambiato idea vuol dire che, finalmente, anche a Roma hanno capito che quello di Napoli è un debito ingiusto, non prodotto in questi anni, ma storico e odioso. Viene da stagioni politiche da rigenerare, che abbiamo combattuto e che dobbiamo puntare a non far mai più ripetere: debiti di commissari di governo, da quello dell’emergenza terremoto ai rifiuti. Bene!».
Il trasformismo, la capacità di affermare una cosa e operare all’opposto nel giro di poche ore: abbiamo aperto così. Sono trascorsi solo dieci giorni dalle seguenti dichiarazioni di Gaetano Manfredi, parole chiare, nette, frasi che disegnavano un quadro implacabile che, però, stranamente, sembra essersi già dissolto: «Il Comune presenta una situazione economica e organizzativa drammatica. Le passività superano abbondantemente i cinque miliardi di euro tra debiti e crediti inesigibili […]. La capacità di spesa corrente è azzerata. Alle aspettative si sostituirebbe la frustrazione. I più deboli pagherebbero il prezzo più alto. Sarebbe una fase lontana dalla mia visione di società e dai miei valori».
Ora che le conseguenze delle passività di cui risulta pendente il capoluogo campano potrebbero incidere sulla capacità di gestione del prossimo Sindaco targato PD, i democratici e il MoVimento si ricordano di prestare ascolto alle necessità della popolazione napoletana. Estinguere il debito potrebbe servire a rilanciare la città dal punto di vista dei servizi essenziali e – a quanto pare – a ribaltare la visione di società e valori dell’ex Ministro Manfredi.
«Non ci potete comprare!»: chiudeva così, Luigi de Magistris, il suo intervento contro il debito ingiusto nell’aprile di tre anni fa, di fronte a tremila concittadini. PD e 5 Stelle ci provano ancora, ci riprovano adesso con un Patto che sa di ricatto, un Patto che chissà se avrà luogo anche se a vincere – il prossimo autunno – dovesse essere la candidata indicata dall’ex magistrato, Alessandra Clemente. Ma si sa, il trasformismo politico non conosce dignità e ciò fa credere che, se Manfredi non dovesse tagliare il traguardo per primo, tutto resterà com’è già, con la città a fare i conti, da sola, con i propri problemi. Napoli e i suoi cittadini, però, meritano più rispetto di quanto la campagna elettorale che sta per partire non stia già promettendo. I candidati sono avvisati.
«Non ci potete comprare!». Sembra di risentirlo, sembra tornare attuale. Chissà chi se ne ricorderà…